Cesare De Michelis, le parole e i libri

Davide D'Alessandro

L’Edizione fuori commercio di Marsilio ricorda la straordinaria figura del suo presidente. In tanti ne esaltano la professionalità e le qualità umane. Nell’intervista inedita a Stefano Lorenzetto, confessa: “Vivere è solo una faccenda complicatissima, non un giudizio morale sui nostri comportamenti. Sono sicurissimo che Dio esiste. Ma sono altrettanto sicurissimo che non si occupa di me. Se lo facesse, non sarebbe serio»

Non ho tralasciato una virgola di Parole per Cesare, l’Edizione fuori commercio di Marsilio, scaricabile gratis in rete, per ricordare il suo genio e la sua anima. Cesare, ovviamente, sta per De Michelis e se egli è stato un libro, questo libro ne restituisce la forza, il marchio di fabbrica, l’essenza. Basta leggere uno dei ricordi dei tanti che l’hanno conosciuto, frequentato e stimato per cogliere il vuoto e il buio rimasti dopo la sua scomparsa. Basta leggere l’orazione funebre di Massimo Cacciari per capire che Venezia e l’Italia hanno perso, il 10 agosto scorso, un’intelligenza viva, uno straordinario creatore e realizzatore di sogni, uno che diceva di non sognare. Da Magris a Tamaro, da Ferrara a Riotta, da Fini a Mughini, da Mieli a Veneziani, da Isotta a Giavazzi, fino all’ex Presidente Napolitano, tutti hanno evidenziato l’altezza e lo spessore di un uomo che diceva di non averne. È stato un libro, Cesare De Michelis, rispondendo alla chiamata, aderendo fedelmente alla vocazione, spendendo la vita a promuovere la civiltà delle lettere e delle idee, mettendola dentro i libri, leggendone due e mezzo al giorno per decenni, insegnando all’Università, fondando giornali e riviste. Senza avere la psiche. Lo spiega nella bellissima intervista inedita a Stefano Lorenzetto, In cerca d’autore, che chiude il volume: «Non ho la psiche, ti dico. Tutti quegli affari fastidiosissimi che tormentano l’esistenza degli uomini, io non li ho. Io non sogno. Io non ho complessi. Io non ho tabù. Sono una persona piatta, capisci? La psiche è lo spessore. E non ho neppure una chiave. Non ho cassetti chiusi, né a casa, né in ufficio, come non li avevo in università. Non tengo ripostigli inaccessibili. Non ho segreti. Tutte le grandi emozioni della vita mi sono apparse per quello che erano. Il braccio è rotto? Se si riesce a riparare, bene. Altrimenti si butta il braccio. È stata una conquista, farlo capire agli altri. Se uno nasce focomelico, lo trattano bene, gli danno la pensione. Ma a uno che non ha la psiche, non crede nessuno. Ti dicono: “Non è vero che tu non sogni. È che non ti ricordi di aver sognato”. Ma lo saprò io, se sogno oppure no, scusa! Mi trattano malissimo».

Andando avanti trovo la definizione più efficace per spiegare dove siamo finiti: «Non sappiamo com’è fatta la società, è esplosa, assistiamo a una frammentazione di ruoli e anche d’interessi. Sai qual è la ragione per cui siamo immersi nel disastro politico che è sotto gli occhi di tutti? Non c’è più nessuno che pensa, che disegna qual è la società ideale che vorremmo. Perché non è affatto semplice costruirla. Siamo incapaci di avere chiavi d’interpretazione dei grandi fenomeni sociali, e questo rende anche molto difficile il mestiere dell’editore. Le ideologie erano insopportabili, ti fornivano uno strumento precotto di lettura di tutto quello che volevi tu. Ma senza le ideologie il rischio è che tutto va bene e che tutto va male».

È stato un libro ed è stato socialista, Cesare De Michelis, e rimembra con emozione il “dammi del tu, compagno!” che Pietro Nenni, seduto in piazza San Marco, rivolse a lui ragazzino. Poi, fece in tempo, attraverso la parabola e le sofferenze vissute dal fratello Gianni, a scoprire che «la politica è un gioco crudele. Assomiglia agli scacchi. L’obiettivo della politica è uccidere gli avversari, anche sacrificando un po’ dei tuoi. Tutte quelle cose che ci siamo detti, la lealtà, la serietà, la generosità, in politica non contano. È un gioco di potere e, come tutti i giochi di potere, se non lo riempi di valori, di etica, alla fine diventa un esercizio sterile e anche stupido».

Allora meglio i libri, meglio rincorrere gli autori, meglio sottoporsi al tradimento abituale di alcuni di loro, meglio vederne altri esplodere con milioni di copie vendute partendo da un manoscritto rifiutato da tutti, da tutti ma non da lui. È stato un libro ed è stato un uomo fedele, De Michelis: «Sono stato fedele a Dio. Lo sono ancora. Poi un editore è fedele anche ai suoi libri, li promuove e li difende strenuamente, fino all’ultimo, perché sa che il suo unico patrimonio è il catalogo, destinato a durare oltre l’aleatorietà del presente». Chiudendo l’intervista con Lorenzetto, fa riferimento al male che lo ha divorato: «Vivere è solo una faccenda complicatissima, non un giudizio morale sui nostri comportamenti. Il padreterno ha creato la vita, che ha dentro di sé anche la morte, compresa quella dei neonati di sei mesi e delle mamme di sei figli. Non è che può mettersi a correggere la Creazione per evitarci i tumori. Sono sicurissimo che Dio esiste. Ma sono altrettanto sicurissimo che non si occupa di me. Se lo facesse, non sarebbe serio». La prima pagina del volume ha una foto in bianco e nero. De Michelis apre un portone e si volta per offrire la sua ultima immagine. Poi avrà varcato quella porta e avrà visto la luce. Il buio è per quelli che restano.