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Un Natale pieno di libri, tra arte, filosofia, letteratura e psicoanalisi

Davide D'Alessandro

Sgarbi, Prezzolini, Don Giovanni, Serres, Platone, Habermas, Marx, Chomsky, Scott Fitzgerald, Dante, Lacan, Recalcati e due Riviste. Il piacevole rito della lettura e del regalo in uno spazio di semi-vacanza per riprenderci il tempo della meditazione…operosa

A poche settimane dal Natale un piacevole rito mi chiama: quali libri segnalare per quella parte dell’anno di semi-vacanza, quando è possibile fermarsi un po’ e godersi qualche pagina senza il frastuono del quotidiano, per riprenderci il tempo della meditazione…operosa? L’anno scorso, il 21 dicembre, scrissi un articolo dal titolo: Tre libri per Natale (e tre per tutta la vita). Arpino, Canetti, Veneziani. Poi Dante, poi basta… Quest’anno sento la necessità, e non a caso mi avvio con netto anticipo, di segnalarne qualcuno in più. Da leggere, da regalare, da ri-leggere.

Comincio con Vittorio Sgarbi. Signori, giù il cappello! Il Novecento. Dal futurismo al neorealismo, edito da La nave di Teseo, è un libro intelligente e colto, un bisogno dell’anima tra parole e immagini. È la storia di un secolo privo di chiacchiere, ma denso di contenuti. E di bellezza. Franco Cordelli vi introduce in un paesaggio che faticherete ad abbandonare: «La storia del Novecento italiano di Sgarbi ha, mascherata, la forma del diario, al presente e al passato. È una storia in prima persona. L’autore c’è anche quando non c’era, anche se non era ancora nato. Tuttavia la sua presenza è in punta di piedi. Egli appare, fulmineo – come dovesse spostarsi al più presto in altro luogo, presso un’altra opera, o un’altra persona».

Giuseppe Prezzolini, Ideario, edito da Aragno, è un libro da ri-leggere perché ci dice chi siamo e che cosa siamo sempre stati. Come uomini e come italiani. Un esempio? «I mediocri hanno bisogno di società. Il silenzio li spaventa più del rumore. Non comprendono la gioia che in compagnia. Per festeggiare una nascita, per piangere un morto, per ricordare un anniversario occorrono loro dei compagni. Esser soli li atterrisce, la prigione li spaventa, e compiangono i frati per il silenzio in cui vivono».

Umberto Curi con Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, edito da Bollati Boringhieri in una nuova versione riveduta e ampliata, ha ri-scritto uno dei suoi libri più intensi: «Nonostante il cospicuo numero di scritti dedicati al grande mito moderno, non si può dire che la figura di Don Giovanni sia stata interpretata in una prospettiva filosofica, e con strumenti analitici idonei a far emergere l’insospettabile pregnanza speculativa». Lui l’ha fatto. Con una scrittura avvincente e una matrice stilistica da studioso vero.

Michel Serres, Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere, sempre per i tipi di Bollati Boringhieri, fa i conti con la forza aggressiva della tecnologia, ma non se ne difende: «Se Montaigne avesse dovuto spiegare quali modi aveva una testa per arrivare a essere “ben fatta”, fatta a puntino, avrebbe disegnato uno scomparto da riempire e si sarebbe riaffacciata la testa piena. Disegnandola oggi, questa testa vuota cadrebbe ancora nel computer. No, non tagliamola per rimpiazzarla con un’altra. Non angosciamoci di fronte al vuoto. Andiamo, coraggio…».

Due libri di Roberto Luca, entrambi editi da Marsilio: Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia e Labririnti dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio di Massimo Cacciari. L’autore è uno studioso raffinato del pensiero antico e ci fornisce le chiavi per entrare in quel teatro, nel lessico d’amore dei poemi omerici, nelle microstorie omeriche, nell’enciclopedia dell’eros antico, con pagine deliziose sul Simposio e sulla metafisica e fenomenologia di eros: «Con estrema efficacia Platone afferma l’emozionale slancio che attiva il ricordo: la vista della bellezza corporea suscita, immediatamente, una smania di cui l’individuo non è consapevole. Egli avverte, tuttavia, il carattere soprannaturale che promana da questa bellezza, soltanto che, al principio, è condotto a identificare nell’oggetto bello il “fine” del suo impulso amoroso, perché accanto a esso riesce a trovare pace ai suoi tormenti e può gustare il dolcissimo piacere della vicinanza».

Antonio De Simone ha dedicato la vita di fervente studioso e scrittore di libri a Jürgen Habermas, come a Simmel e a Weber. Sul primo non si può tacere di Destino moderno. Jürgen Habermas. Il pensiero e la critica, edito da Morlacchi. Settecento pagine per raccontare la grandezza di un filosofo, l’intrico di mito, illuminismo e dominio, la soggettività, il disincanto moderno e la razionalizzazione, l’ontologia del presente, la ragione comunicativa, la teoria critica e il diritto, la complessità sociale, il destino dell’occidente e le forme di vita. Scrive De Simone: «L’implicita ambizione di questo libro, che si rifà ad altri tratti salienti del mio discorso filosofico, è quella di avviare il lettore contemporaneo in un sentiero che lo possa condurre, nello spirito del tempo, ad avere davanti un’opera che lo “guidi” in una famiglia di pensiero utile “per leggere Habermas”, per stimare la sua estrema ricchezza di sapere e prendere eventualmente una posizione critica nei suoi confronti, anche “contra” Habermas: un passaggio che potrebbe delineare il percorso ulteriore del “dopo” Habermas nella scena filosofica e politica contemporanea».

Roberto Finelli, Per un nuovo materialismo. Presupposti antropologici ed etico-politici, edito da Rosenberg & Sellier, intende dare seguito ad altri due fortunatissimi libri, Un parricidio mancato (dedicato a un’analisi critica eterodossa del rapporto del giovane Marx con Hegel e Feuerbach), e Un parricidio compiuto (sulla relazione risolta del Marx maturo con Hegel). Qui notevoli appaiono i capitoli su Freud e Spinoza come quello sulla critica all’arcaismo dell’Essere di Heidegger, sostando su Guido Calogero ed Ernst Cassirer. Spiega l’autore: «Due saggi sull’opera di Freud perché è di lì che si avvia una fondazione scientifica dell’antropologia verticale e di tutte le relazioni che strutturano il sistema umano dell’interiorità».

Noam Chomsky, con Venti di protesta. Resistere ai nemici della democrazia, edito da Ponte alle Grazie, risponde alle domande di David Barsamian cercando di diradare, da gran maestro, la nebbia che ci avvolge. In dodici interviste passa dal terrorismo internazionale all’ascesa delle destre populiste, dal Medio Oriente al dramma dei profughi. Leggiamolo: «La democrazia va erodendosi per effetto della concentrazione del potere economico, che si traduce a sua volta, come di consueto, in potere politico, ma anche per ragioni più profonde. La dottrina pretestuosa è che trasferendo il processo decisionale dal settore pubblico al “mercato” si promuove la libertà individuale; ma le cose stanno diversamente».

F. Scott Fitzgerald e l’Italia, edito da Giuliano Ladolfi, è un prezioso volumetto scritto da Antonio Merola, cofondatore di “YAWP”, giornale di letterature e filosofie: «L’Italia e Fitzgerald non si sono mai guardati di buon occhio: se volessimo trovare una causa mitica a questa storia, come gli antichi romani che giustificavano l’odio dei Cartaginesi con l’abbandono di Didone da parte di Enea, potremmo dire che cominciò nel 1924 quando lo scrittore prese a pugni un tassista romano in preda a una sbronza. In realtà, la vicenda editoriale di Fitzgerald nel nostro paese è molto complessa e si muove tra le principali personalità che avevano diritto di parola sulla cultura americana nel novecento: Elio Vittorini, Cesare Pavese, Fernanda Pivano e Nemi d’Agostino, solo per citare alcuni nomi».

Dante, Lacan. «Dolce padre», edito da Orthotes, è un’indagine seria e meticolosa di Piergiorgio Bianchi sull’opera di Dante con gli occhi di Lacan. Scrive l’autore: «Anche Dante è un soggetto diviso dal suo desiderio. Manca del sapere sulla propria esistenza, ma non cede per questo alla narrazione del vissuto, neppure quando le parole evocative di uno spirito lo toccano in maniera singolare. Se la selva oscura è, e resta, la condizione dell’umanità, la cifra reale a cui ci riporta l’allegoria, invita il lettore a tenere conto di quanto renda l’esistenza insensata e crudele, facendo risuonare problematico e oscuro quel ben ch’i’ vi trovai (Inf. I, 8)».

Dante lo si deve leggere sempre, non solo a Natale, ma a Natale non si può non regalare il nuovo “Diamante” della Salerno Editrice, a cura di Enrico Malato. Grande emozione per come il capolavoro per eccellenza, La Divina Commedia, abbia trovato la sua forma e restituito la sua strepitosa bellezza all’interno di un cofanetto elegantissimo. Due libri rossi con fine dicitura in oro. In uno Inferno, Purgatorio e Paradiso, nell’altro un Dizionario della Divina Commedia, che inizia con ab e termina con zuffa, “con li occhi e col naso facea zuffa”, una enciclopedia dantesca  con tutti i riferimenti ai personaggi inimitabili, ai luoghi, agli accenti mitologici, storici, astronomici. Un’opera infinita che sta nel palmo della mano, «il più bel libro della letteratura mondiale» ha detto Borges che, non soddisfatto, ha aggiunto: «La Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa privarci del dono più grande che la letteratura possa offrirci».

Di Rossella Valdrè mi sono già occupato per suggerirvi La morte dentro la vita, edito da Rosenberg & Sellier, ma Sulla sublimazione. Un percorso del destino del desiderio nella teoria e nella cura, edito da Mimesis nel 2015, è un testo da ri-leggere se abbiamo a cuore un concetto, quello di sublimazione, appunto, che rischia di essere…sublimato con eccessiva fretta. Scrive Valdrè: «È scomparsa la sublimazione? O è semplicemente meno frequente il termine nel nostro attuale linguaggio psicoanalitico, mantenendo il concetto tutta la sua validità? La diamo forse per implicita, tanto da non nominarla, o viene meno menzionata perché ritenuta obsoleta, una specie di reperto dell’archeologia della psicoanalisi? Quando un termine sparisce dal linguaggio, senza venire adeguatamente sostituito da un altro di significato analogo, si ha ragione di supporre che il concetto, l’idea che rappresenta vada dileguandosi e abbia meno bisogno di venire definita con la parola. Ciò che esiste, in fondo, è ciò che viene nominato». Ma…

A una Clinica delle passioni si dedica Massimo Termini, edito da Astrolabio, con la presentazione di Antonio Di Ciaccia, che dichiara: «Questo libro mostra la giustezza dell’idea di Lacan. E lo mostra con una scrittura, a sua volta, singolare. Non si tratta di un compendio e ancor meno di un manuale. Con uno stile molto personale l’autore, sempre tenendosi al filo rosso dell’orientamento di Jacques-Alain Miller, senza indulgere troppo nelle circonvoluzioni che Lacan fa nella sua propria ricerca, lega la tematica degli affetti e delle passioni alla clinica psicoanalitica con una scrittura che è quasi quella di un Diario».

Nicolò Terminio, invece, con Introduzione a Massimo Recalcati. Inconscio, eredità, testimonianza, edito da il melangolo, affronta il percorso di vita, di psicoanalisi e di scrittura del noto psicoanalista lombardo. Lo fa sviscerando i suoi testi, attenendosi alla sua lezione che viene da un’altra lezione: quella di Lacan. Scrive l’autore: «In tutte le sue opere Recalcati ripercorre le torsioni concettuali di Lacan (e non solo di Lacan) per ritrovare la logica della soggettivazione. È nel movimento della soggettivazione che – secondo Recalcati – si dà la possibilità di intrecciare in modo fecondo l’esperienza del desiderio con l’essere di godimento di ciascuno».

Ma non esistono soltanto i libri. Esistono anche i libri-riviste e devo dire che l’ultimo numero di aut aut, Il Freud che abbiamo rimosso, edito da il Saggiatore, e l’ultimo de La Psicoanalisi, edito da Astrolabio, hanno i crismi dell’eccellenza per il modo in cui scrutano, facendo ricorso a studiosi di primissimo livello, dentro la nostra psiche. Nel primo, Pier Aldo Rovatti osserva: «In Freud dovremmo andare a cercare un generale spiazzamento delle nostre abitudini di pensiero, scavando nella sua opera, decostruendo gli apparenti punti fermi, accorgendoci che anche lui in realtà tenta continuamente di liberarsene. Dovremmo dunque operare una sovversione linguistica e concettuale che si identifichi non con i suoi punti di approdo, che vengono sempre dichiarati provvisori, ma con il tentativo di forare il sapere acquisito della psicoanalisi stessa, e anche con il previsto fallimento di tale impresa. Ecco, forse, il Freud che abbiamo rimosso e che continuamente rimuoviamo. È complicato (per usare un eufemismo) spingersi su questa via. Soprattutto comporta un lavoro critico inattuale, se lo misuriamo con gli standard teorici di oggi e se consideriamo che il profitto prevedibile è assai scarso, almeno all’apparenza. Si potrebbe intanto cominciare a smontare la famigliarità che la parola stessa “rimozione” ha acquisito nel discorso psicoanalitico normale».

Nel secondo, dal titolo Letteratura e Letterarietà, spicca il ricordo di Judith Miller, figlia di Lacan, scomparsa tra il 6 e il 7 dicembre scorso. Antonio Di Ciaccia, nella nota editoriale spiega che «abbiamo pensato di ricordarla dedicandole questo numero. Il lettore vi troverà un suo testo dal titolo Scientismo, rovina della scienza. Éric Laurent, che riprende il testo, mostra in che modo Judith sia stata capace di rivelarsi una valida guida alla lettura di Lacan». Ma non perdetevi L’oro in bocca della lituraterra, di Jacques-Alain Miller, titolo meno che mai enigmatico, titolo che riconduce all’oggetto letterario, alla lettera. Quando chiesero a Lacan: «Maestro, come dobbiamo prendere questa sua Lettera?», egli rispose: «Alla lettera». Non era affatto enigmatico…

E per chi pensa che fosse e sia ancora enigmatico e, peggio, incomprensibile, arriva in soccorso Glossario Lacaniano, di Carlo Viganò, edito da Aracne. Da Adolescenza a Valutazione ed evidenza clinica, tante voci per elucidare una sola voce.  Un libro che «nasce dal desiderio di riflettere in modo specifico su quei temi del linguaggio lacaniano che presentano aspetti peculiari a partire dai suoi scritti e che lasciano in noi spazi ampi di studio e approfondimento, intrapresi per altro in progetti di formazione permanente o in seminari strutturati».

Scrive Angelo Villa nell’introduzione: «Jacques Lacan diceva che la vita sogna la morte. È altrettanto vero però anche il contrario: la morte sogna la vita. Lo intuiamo dalle cose e dai segni che rappresentano l’eredità, volontaria o involontaria che sia, di chi è scomparso. Da lì le parole che vi sono rapprese ci parlano, non smettono di parlarci. Per chi vuole indagarne il senso, per chi desidera interpretarne il significato, non in nome di un’ermeneutica intellettuale, ma per metterle in dialogo con quelle attraverso cui noi stessi ci sforziamo di assegnare alla nostra esistenza una direzione, al nostro agire un fine. Un movimento dialettico che vale più dello stordirsi con la droga dei ricordi, dell’eccitarsi con l’enfasi roboante. L’eredità di Carlo è indubbiamente ricca, non sono certo io il primo a riconoscerlo. Composita, sfaccettata, paradossale, azzardata. Probabilmente esagerata. Come l’amore richiede, insisto, ripeto. E quindi inquieta, avida, anticonformista. Osare, per istinto e per convinzione: Carlo Viganò aveva ben colto come essere psicoanalista, in un’epoca che viene datata come postfreudiana, comportasse questa disposizione. Pena altrimenti la riduzione della disciplina del maestro al rango di una terapia tra le altre. Dubito di quelle esistenze esemplari che si additano come modelli alle generazioni future: quando un amore le attraversa, corrode la pretesa perfezione che le immobilizza. Ricevono il dono di quella mancanza per il cui tramite incominciano a respirare e far respirare anche le vite che stanno loro attorno. Così è anche per la psicoanalisi, così è stato Carlo per chi lo ha conosciuto».

Buon Natale! Buoni libri!