Irvin D. Yalom

Irvin D. Yalom, per diventare se stessi

Davide D'Alessandro

I libri dello psichiatra statunitense hanno una matrice comune: il senso per l’ascolto dell’altro, per la parola e il silenzio dell’altro, per la scrittura dell’altro, per il dolore dell’altro, per il sogno dell’altro

Quando ho letto Fissando il sole, prima di scriverne ho sognato l’autore, Irvin D. Yalom. Era il mio analista e a me, che ero in analisi didattica, ripeteva alla fine di ogni seduta, dopo un attimo di silenzio: “Ascoltate i vostri pazienti, lasciate che siano loro a insegnare a voi. Per diventare saggi dovete rimanere studenti”. Nella realtà, non nel sogno, avevo letto queste parole nella bandella di Il senso della vita. Erano le parole di John Whitehorn, mentore di Yalom negli anni giovanili trascorsi al Johns Hopkins Hospital di Baltimora. È come se tutti i libri di Yalom, editi in Italia da Neri Pozza, recassero questa etichetta, questo biglietto da visita, questa massima. La cura Schopenhauer, Le lacrime di Nietzsche, Il problema Spinoza, Il dono della terapia, Sul lettino di FreudCreature di un giorno, fino all’ultimo, Diventare se stessi, hanno una matrice comune: il senso di Yalom per l’ascolto dell’altro, per la parola e il silenzio dell’altro, per la scrittura dell’altro, per il dolore dell’altro, per il sogno dell’altro. Egli, che si sente prossimo alla fine, attraverso gli altri avverte il principio: «Di quando in quando rileggo Charles Dickens, che ha sempre avuto un posto di primo piano nel mio pantheon di scrittori. Di recente una frase straordinaria tratta da Storia di due città ha attirato la mia attenzione: “Poiché, quanto più m’avvicino alla fine, viaggio come in circolo e m’avvicino sempre più al principio. Mi pare che la vita si spiani e si faccia più agevole. Il mio cuore è adesso commosso da molte memorie che a lungo erano rimaste sopite”. Questo passo mi commuove profondamente: dato che mi sto davvero avvicinando alla fine, io pure mi ritrovo sempre più vicino al principio. I ricordi dei miei pazienti innescano sempre più spesso i miei ricordi, il lavoro sul loro futuro richiama e sconvolge il mio passato, e mi trovo a riconsiderare la mia storia».

Yalom è stato ed è anche attento lettore di filosofia, di un particolare tipo di filosofia: «Le mie letture filosofiche sono sempre state concentrate sulla Lebensphilosophie, la scuola dei pensatori interessati al significato e ai valori della vita. Tra loro sono inclusi molti antichi greci, Kierkegaard, Sartre e, naturalmente, Nietzsche. Solo in seguito scoprii Arthur Schopenhauer, le cui idee sull’influsso inconscio della pulsione sessuale anticiparono in parte le teorie di Freud. Secondo me Schopenhauer preparò il terreno per la nascita della psicoterapia. Come dice Philip, un personaggio del mio romanzo La cura Schopenhauer: “Senza Schopenhauer non avrebbe potuto esserci Freud”».

Non avrebbe potuto esserci la lettura della nostra storia, di ogni singola storia. Perché di storia si tratta. La mia, la tua, la sua. La storia della gioia e del tormento, del buio e della luce, del sorriso strappato e non dato, di una ferita mai sanata, di un senso di colpa mai risolto. Come “quella sacca di colpa che mi tenevo dentro ormai da settantatré anni” e che scoppia alle tre del mattino dentro il sonno cupo di Yalom, che soffoca di pianto nel cuscino. Come la storia piena di storie vissute in questo libro che racconta i movimenti dell’umano, le contorsioni dell’umano, le fughe e i ritorni, la vita breve e turbolenta dei gruppi d’incontro, un ragazzo che amava l’azzardo, una breve storia sulla rabbia, l’incontro e il matrimonio con Marilyn, gli anni del Johns Hopkins, il modo di affrontare la morte con Rollo May e il «ricordo di aver detto a Rollo quanto fossi rimasto colpito dal passo di Macbeth in cui il protagonista dice: “La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore che s’agita e pavoneggia per un’ora su un palco, e poi non se ne sa più nulla”».

Ma Diventare se stessi è anche un libro sui precedenti libri, sulla loro genesi e sulla confessione di un privilegio: “Siamo anche privilegiati dal nostro ruolo di ‘custodi’ di segreti, dei quali ogni giorno i pazienti ci onorano e che spesso non hanno mai condiviso in precedenza. I segreti offrono una visione particolare della condizione umana, priva di fronzoli sociali, giochi di ruolo, spavalderie o atteggiamenti istrionici. Divenire i custodi di simili segreti è un privilegio riservato a pochi. A volte i segreti mi colpiscono profondamente e, quando me ne torno a casa, abbraccio mia moglie e faccio l’elenco delle fortune che ho avuto. Inoltre il nostro lavoro ci dà l’opportunità di trascendere noi stessi e affrontare la conoscenza vera e tragica della condizione umana”.

Credo dia anche l’opportunità di guardare negli occhi quel povero attore, di accompagnarlo, per un’ora o poco più, sul palco della vita e di recitarla insieme, la vita, per cercare almeno di carpirne l’intimo segreto, quello che non si può rivelare ma c’è, hai voglia se c’è, sennò vivere che vale? Io non so se, come sostiene The Guardian, Diventare se stessi sia uno dei migliori libri dell’anno. So che Neri Pozza ha tutti i libri di Yalom in catalogo, libri capaci di trasformarsi in farmaco. Per chi è distratto, per chi è in pena, per chi è angosciato, per chi non trova la strada (ammesso che vi sia una strada da trovare). Non è un farmaco che guarisce (la vita, non la morte, si sconta vivendo, avrebbe dovuto dire Ungaretti), ma aiuta a vivere, aiuta a scontarla vivendo.