Il dilemma dell'asse franco-tedesco

Matteo Scotto

La storia non si ripete quasi mai e l’asse franco-tedesco di oggi presenta alcuni tratti peculiari non privi di rischi, sia interni sia esterni all’alleanza

A sentire la conferenza stampa congiunta della Cancelliera Angela Merkel e del neoeletto Presidente francese Emmanuel Macron dopo il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, pare tutto inconfutabile: l’Europa è ripartita. Grazie anzitutto all’asse franco-tedesco, che dopo tanti anni di malintesi, si trova nuovamente sintonizzato sul canale europeo. “Quando Francia e Germania non sono d’accordo, l’Europa non avanza”, ha affermato Macron. In effetti, la storia è dalla sua parte. Ogniqualvolta i capi di Stato francese e tedesco si sono dati la mano, come ci ricorda la foto solenne di Kohl e Mitterand al cimitero Douaumont di Verdun — a commemorare una battaglia che ha fatto qualcosa come 800000 morti in dieci chilometri quadrati — l’Europa ha funzionato. Da un po’ difatti l’integrazione europea si era inceppata. A detta di molti proprio a partire dall’uscita di scena politica di Kohl e Mitterand, più di vent’anni or sono, ultimi due baluardi del vero sogno europeo, che con il Trattato di Maastricht favorirono l’ultima grande conquista del processo d’unificazione in Europa. Da quel momento in poi l’integrazione europea è stata spesso un compromesso al ribasso, fino al punto bassissimo raggiunto con il fallimento del Trattato sulla Costituzione redatto nel 2003, con la Francia prima rinunciataria. La Cancelliera Angela Merkel, nel corso dei suoi vari mandati, ha consolidato l’Europa dei piccoli passi e dei passi di lato, non potendo contare, da Chirac in avanti, sull’alleato francese. Vento che è senza dubbio cambiato, con Macron e il suo entourage, a partire dal primo ministro Édouard Philippe, affini al mondo tedesco e pronti a sedersi al fianco della Kanzlerin per un’Unione più compatta. Tuttavia, la storia non si ripete quasi mai e l’asse franco-tedesco di oggi presenta alcuni tratti peculiari non privi di rischi, sia interni sia esterni all’alleanza. Il primo riguarda l’UE nel suo complesso, che con 28 paesi rappresenta una difformità di interessi, con annesse difficoltà di negoziazione, per cui l’asse franco-tedesco non è mai stato messo veramente alla prova. Fino al 1992, quando l’attuale UE contava appena 12 membri, Francia e Germania si sono mosse tra le fila di pochi paesi, quasi tutti parte del vecchio blocco dell’Europa occidentale. Andrà dunque ancora testato se l’UE a 28, da est a ovest e da sud a nord, con una divergenza d’intenti geopolitici mai vista prima d’ora, ben digerisca una guida franco-tedesca. Ciò riguarderà in particolare i paesi dell’Europa orientale, che potrebbero guardare con sospetto un vertice di vecchio stampo occidentale, e in minor misura i paesi dell’Europa meridionale, critici delle politiche di rigore economico promosse dalla Germania. Il secondo rischio riguarda i metodi con cui Francia e Germania intenderanno procedere sul fronte dell’integrazione. Finora, la guida monocolore tedesca, ha preferito un’Europa intergovernativa, quella dei veti e dell’unanimità, la stessa che ai tavoli dei negoziati avvantaggia i singoli paesi, specie quelli più rilevanti. La Francia potrebbe in tal senso seguire, attratta da un sistema in cui anche lei tornerebbe a dettarne agenda e decisioni. Se così fosse, assisteremmo a un asse franco-tedesco “chiuso”, poco disponibile ad aprirsi a una logica federale, più adatta a compendiare i reali interessi europei. Inutile dire, come la stessa Merkel ha ricordato, che l’asse franco-tedesco dovrebbe rimanere “aperto”, condizione necessaria alla sua efficacia e a una vera armonizzazione di politiche comunitarie oggi fondamentali.  Eppure in Europa si sa, tra il dire e il fare, ci sono di mezzo mari, montagne, fiumi e laghi.