Quei giusti rilievi dell'Abi sul Bail-in

Carlo Torino

Le osservazione dell'Abi e le richieste di modifica all'impianto normativo del Bail-in sono ampiamente condivisibili, e bene mettono in luce l'esigenza di avere un settore bancario più trasparente e opportunamente (non eccessivamente) capitalizzato.

I rilievi dell’Abi in sede di definizione dei requisiti (prudenziali) di patrimonio, imposti agli istituti nazionali nell’ambito delle nuove regole in materia di risoluzione e risanamento delle banche in crisi (Brrd), sembrano essere del tutto condivisibili. E la posizione espressa dal direttore dell’Abi, Giovanni Sabatini, appare in perfetta sintonia con la profonda esigenza di una maggiore chiarezza che a grado a grado si è venuta a intensificare nei vertici degli istituti di credito nazionali.

Certo, perché il livello di pervasività della direttiva – per non dire di un certo ermetismo normativo –, che viene articolandosi sulla base di un edificio composito di indicazioni, standard tecnici, metodologie di calcolo, ecc.; emanati da un folto gruppo di istituzioni e organismi, espressione della più eterogenea burocrazia continentale: Eba, Bce e Commissione, Fsb ecc. - non sempre tra loro in armonia. Quel livello, dicevamo, è divenuto oramai intollerabile. 

Ciò che nella sostanza l’associazione delle banche Italiane domanda è che vi sia certezza (e trasparenza) nella determinazione dei criteri che stabiliscano natura e composizione di quel cuscinetto di capitale - e passività suscettibili di assorbire le perdite - in caso di risoluzione dell’istituto, e preventiva applicazione del principio del bail-in: i cosiddetti parametri Mrel.  

Ma non basta. L’Abi rigetta, e chiede che sia modificato, il principio di retroattività nell’applicazione del bail-in; in modo particolare per quelle passività (obbligazioni senior) emesse in antecedenza al gennaio 2016, escludendo dal computo del Tlac (il complesso delle passività suscettibili di essere impattate) gli obbligazionisti retail.

Le osservazioni di Giovanni Sabatini andrebbero supportate con un più ampio coinvolgimento istituzionale. Troppo flebili sono state infatti sinora le obiezioni su di un tema che, data la sua complessità, tende di fatto a pesare non poco sugli indici di redditività degli istituti: penalizzando soprattutto quelli di minori dimensioni (o non sistemici). È questo un punto fondamentale che merita di essere ribadito: il costo (in termini di personale e tempo) di una regolamentazione spesso oscura e pervasiva, che sottrae notevoli risorse al credito.

Anche l’auspicio che nell’intento di "isolare" il rischio bancario - evitando ripercussioni sul tessuto economico - le autorità europee definiscano strumenti specifici (senior non-preferred) - espressamente suscettibili di assorbire le perdite -, va nella giusta direzione di una maggiore chiarezza normativa, e certezza nei diritti degli investitori.     

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