Militari impiegati nell'operazione Strade sicure a Roma (foto LaPresse)

Contro il mercato della paura

Claudio Cerasa

I micro casi di cronaca nera si sono impossessati dell’agenda mediatica e stanno alimentando un mostro a tre teste chiamato “insicurezza”. Problema: ma siamo davvero un paese insicuro? Indagine su una grande balla italiana

Il mercato della paura è il cugino del mercato del malumore e quando il sonno della politica (il congresso del Pd, zzzz) apre immense voragini sui giornali, crea sconvolgenti vuoti sui telegiornali e genera panico totale nei talk-show succede sempre quello che stiamo vedendo in questi giorni: i piccoli casi di cronaca nera si impadroniscono dell’agenda del nostro paese e improvvisamente il mondo dell’informazione entra in un cortocircuito letale all’interno del quale si alimenta un mostro chiamato insicurezza.

 

 

A guardare con attenzione le notizie meglio valorizzate nelle ultime settimane dai giornali, dai telegiornali, dai talk-show e dalla classe politica, l’impressione è che l’Italia sia un paese integralmente dominato da giovani tossici pronti a uccidere il loro prossimo con una spranga, figli inevitabilmente destinati a essere rinchiusi in una valigia e gettati in mare, uomini pronti a uccidere le proprie compagne dopo averle likate su Facebook, padri tentati dall’uccidere i propri figli facendoli precipitare in un burrone, baristi o farmacisti destinati a essere preda di un qualche rapinatore senza scrupoli. Il sottotitolo di ogni notizia e di ogni articolo è più o meno sempre lo stesso: l’Italia è un paese sempre più insicuro che per colpa di una politica assente, che non sa rispondere come dovrebbe all’emergenza sicurezza, sta precipitando verso un baratro senza ritorno. Il ritorno poderoso della cronaca nera sulle prime pagine dei giornali e sulle copertine di molti talk-show è una scelta editoriale legittima ma che si fonda su un falso storico che nessuno ha il coraggio di denunciare, perché dicendo la verità su questo tema sarebbe più complicato per tutti trasformare episodi di cronaca locale in casi di scandali nazionali.

 

La verità riguarda la risposta a una domanda precisa: ma l’Italia è o non è un paese insicuro? Qualche giorno fa abbiamo letto un bellissimo corsivo sulla Stampa di Mattia Feltri, che ha ricordato che gli omicidi in Italia calano ininterrottamente dal 1992, quando furono quasi tremila e cinquecento e che le rapine diminuiscono da tre anni. Dopo aver letto il corsivo di Feltri abbiamo preso tutti i dati messi a disposizione dall’Istat, dall’Eurostat e dal ministero dell’Interno, li abbiamo miscelati con un bellissimo rapporto sulla “Criminalità predatoria” realizzato nel novembre del 2016 dall’Associazione bancari italiani e abbiamo messo insieme un po’ di numeri per smontare una delle grandi fake news che tengono in ostaggio il nostro paese: l’insicurezza dell’Italia. La premessa ce la offre l’Istat, con un rapporto sulla sicurezza presentato il 7 dicembre 2016.

 

Pronti? Via. “Il complesso degli indicatori soggettivi e oggettivi che misurano l’evoluzione della sicurezza nel nostro Paese mostra una generale tendenza al miglioramento. Continua la diminuzione degli omicidi, ma non nel caso delle donne vittime dei partner (o ex partner), e inizia a consolidarsi il calo dei reati predatori, con l’unica eccezione delle truffe informatiche. Nel contesto europeo, l’Italia si colloca tra i paesi con la più bassa incidenza di omicidi, mentre per quanto riguarda i furti e le rapine la situazione è ancora problematica. E’ sostanzialmente stabile la percezione della sicurezza, rispetto al 2009, mentre sono in miglioramento nel 2016 gli altri indicatori soggettivi. Diminuisce la preoccupazione per sé o per altri della propria famiglia di subire una violenza sessuale e si notano meno di frequente segni di degrado sociale nella zona in cui si vive. Inoltre, sono in calo alcune forme di violenze sessuali subite dalle donne”. Basterebbe questo ma l’Istat va oltre. “In Italia, gli omicidi segnano una continua diminuzione dagli anni ’90, quando il tasso raggiungeva il livello di 3,4 omicidi per 100 mila abitanti. Nel 2015, sono state uccise 469 persone (pari allo 0,8 per 100 mila abitanti), un numero che è diminuito di 4 volte in 25 anni. La diminuzione ha caratterizzato anche i tentati omicidi, 2 ogni 100 mila abitanti nel 2015, con un andamento analogo a quello degli omicidi (erano 3,9 ogni 100 mila abitanti nel 1991), sebbene più oscillante nei diversi anni”.

 

Si dirà: ma se non c’è un problema di sicurezza, ci sarà allora un problema legato alla percezione della sicurezza, sennò che senso avrebbe parlare a ogni ora del giorno dell’omicidio di Sarah Scazzi o della necessità di allargare il perimetro della legittima difesa? Scrive ancora l’Istat: “Anche sul fronte delle percezioni della popolazione emerge una situazione complessivamente positiva, si segnala una minore preoccupazione di subire una violenza sessuale, un più basso livello di degrado e una sostanziale stabilità delle persone che si sentono sicure”. E per di più, ma guai a dirlo, “una netta diminuzione riguarda l’indicatore sulla preoccupazione di subire una violenza sessuale: nell’arco di sei anni la preoccupazione, per sé o per qualcuno della propria famiglia, è diminuita, passando dal 42,7 per cento del 2009 al 28,7 per cento del 2016”. L’Italia del Far West non esiste ma l’emergenza sicurezza è diventata una nuova leva da usare come un manganello contro la casta della politica e in nome di questo principio si è perfettamente legittimati a trasformare l’episodio di cronaca in quello che diventa giorno dopo giorno lo specchio o l’anima di un paese. E di conseguenza si può fare anche a meno di guardare in faccia la realtà.

 

Cambiamo documento e andiamo a prendere la relazione sullo stato della sicurezza in Italia presentata il 15 agosto del 2016 dal ministero dell’Interno. Dal 2011 al 2015 è successo questo: il numero totale di reati commessi è sceso del sette per cento; il numero totale dei furti è sceso del 9,2 per cento; il numero di rapine commesse è sceso del 10 per cento; il numero di omicidi commessi è sceso dell’11 per cento passando dai 555 casi del 2011 ai 398 del 2015 (in tutta Italia ogni anno vengono uccise più o meno la metà delle persone uccise in un anno a Chicago, nel 2016 i morti sono stati 762); e confrontando i dati dei primi sei mesi del 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il totale dei delitti commessi è passato da un milione e 347mila, a un milione e 129 mila (-16,2 per cento).

  

Passiamo al terzo documento, quello dell’Abi. Il dossier è stato strutturato sulla base dei dati operativi del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Riguarda la sicurezza di ambienti come le poste, le tabaccherie, le farmacie, gli esercizi commerciali, i distributori di carburante, il trasporto valori. Tenetevi forte. Punto primo: le rapine denunciate in Italia nel corso del 2015 sono state 34.957, pari ad un decremento del 10,9 per cento rispetto al 2014. In calo anche il tasso di rapine ogni 100 mila abitanti, passato da 64,6 rapine ogni 100 mila abitanti nel 2014 al 57,5 nel 2015. E non solo: “Il decremento registrato per il totale dei reati ha caratterizzato quasi tutte le categorie principali, tra le quali in particolare i furti di motocicli/ciclomotori (-9,9 per cento), i furti in abitazione (-8,6 per cento) e i furti con strappo (-7,2 per cento). L’unico incremento è stato registrato per i furti ai distributori di carburante (+2,4 per cento rispetto al 2014). Nel 2015 le rapine ai danni degli sportelli bancari sono state 772, pari a un calo del 2,4 per cento rispetto al 2014. Il trend degli ultimi anni mostra un continuo calo delle rapine in banca, rallentato solo da una stabilità dei casi che aveva contraddistinto il 2013. Le rapine consumate sono state invece 536, pari a un calo dell’8,7 per cento. Continua, inoltre, ad aumentare la percentuale di rapine fallite: si è passati, infatti, dal 17 per cento del 2010 al 30,6 per cento del 2015”.

 

Sintesi a uso e consumo delle infografiche dei talk: tra il 2015 e il 2014 le rapine ai danni degli esercizi commerciali sono diminuite del 13,9 per cento e i furti ai danni degli esercizi commerciali del 4,4 per cento. Tutto questo elenco di numeri, che difficilmente avrete trovato su altri giornali, non vuole dimostrare che in Italia non esista un problema legato alla sicurezza: esiste, e naturalmente il rischio terrorismo mescolato all’aumento dell’immigrazione clandestina può contribuire a generare una sensazione di insicurezza. Quello che non esiste è invece un caso Italia, una qualche grave anomalia relativa alla protezione del nostro paese. L’emergenza sicurezza è entrata a far parte della nostra agenda quotidiana – come in tutti i paesi europei e occidentali – ma l’Italia non è un paese insicuro e far credere il contrario significa alimentare una grande fake news. E alimentare le fake news di solito aiuta non a fare i conti con la realtà ma a regalare voti ai populisti e agli irresponsabili specializzati nel capitalizzare il mercato della paura.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.