EUPORN - IL LATO SEXY DELL'EUROPA

Nella casa di Strasburgo c'è la lista delle cose da fare

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La generazione D dell’Unione europea va incontro all’inverno con due obiettivi: rafforzarsi e rafforzare il popolo ucraino

Chi ci avrebbe pensato, prima del 24 febbraio, che Josep Borrell, il capo della diplomazia dell’Ue, avrebbe cercato di dare una spinta alla politica estera europea tanto da far sussurrare il Parlamento di Strasburgo che incredulo, tra chi si complimenta e chi è preoccupato, esclama: si è messo in testa di fare il ministro degli Esteri dell’Ue. La guerra della Russia contro l’Ucraina ha spaventato e svegliato, ha motivato e pietrificato, ogni paese ha avuto la sua reazione, e Borrell sta cercando di indicare una strada. Lunedì, i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno dato il via a una missione di addestramento per i soldati ucraini: quindicimila uomini dell’esercito di Kyiv partiranno a metà novembre per imparare da addestratori europei come usare armi in guerra. La missione durerà due anni, i soldati avranno due quartier generali, uno in Polonia e uno più piccolo in Germania, che saranno integrati con la formazione che già fornisce il Regno Unito. L’idea di una missione tutta europea è stata proprio di Josep Borrell, che in un periodo di calma agostana aveva fatto la proposta quasi sconvolgente e senza precedenti. Sono serviti due mesi per mettere un po’ ordine, per trovare un accordo, tranquillizzare i paesi che temono che la guerra possa oltrepassare i confini ucraini, e soprattutto per scovare il denaro necessario. Il finanziamento sarà garantito dalla Peace facility dell’Unione europea, con un esborso da 500 milioni di euro. Borrell ha commentato: “Abbiamo dato un impulso decisivo al nostro sostegno all’Ucraina per difendersi dall’aggressione illegale della Russia. La Missione di assistenza militare dell’Ue addestrerà le Forze armate ucraine affinché possano continuare la loro lotta coraggiosa”.

 

L’esercito di Kyiv è riuscito a ottenere risultati importanti sul campo di battaglia, in un settembre sorprendente è riuscito a contrattaccare a est, riprendendo regioni del Donbas che la Russia dava per acquisite. Poi, in modo più silenzioso, ha cominciato ad avanzare a sud, a Kherson. Pochi comunicati, soltanto tante angurie, il simbolo della regione. Le Forze armate di Kyiv tengono nascosta la controffensiva delicata del sud, dove combattono contro uomini armati meglio e meglio addestrati rispetto alle truppe sparute che a est si sono date alla fuga lasciandosi dietro di tutto. Comunicano poco, anche per motivi di sicurezza, ma l’avanzata determinata ha spaventato la Russia a tal punto che Mosca ha iniziato a evacuare i cittadini che abitano nella zona, che sono ucraini, ma secondo il Cremlino sono ormai russi, perché annessi in seguito a un referendum fittizio esteso a Kherson e ad altre tre oblast: Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk. Nelle quattro regioni, è stata introdotta la legge marziale con un decreto firmato dal presidente russo Vladimir Putin: il capo del Cremlino lo ha detto durante un Consiglio di sicurezza trasmesso in diretta e durante il quale mostrava un umore al limite del cordiale. Il bombardamento martellante delle strutture ucraine gli ha ridato fiducia, la strategia del generale Sergei Surovikin di bombardare la rete elettrica e idrica dell’Ucraina e di renderla un paese invivibile lo fa sentire più forte e le armi che arrivano dall’Iran lo mettono nelle condizioni di dire che la Russia ha ancora cartucce da usare. Ma ieri l’immagine degli ucraini portati via da Kherson in autobus malconci e con le facce torve e spaesate cozzava con il suo umore e il suo mantra: va tutto secondo i piani. Il premio Nobel per la Pace, Dmitri Muratov, è intervenuto a Strasburgo a un seminario dedicato alla libertà di stampa: “Safeguarding Media Freedom: il ruolo dell’Unione europea”, ha detto che in questo momento il destino della terra dipende dalla volontà di un singolo uomo, e questo non è accettabile. L’Ue può fare molto per cambiare questo paradigma, per sovvertire il capriccio mortale di Vladimir Putin. Molto, a partire dalla sua politica di difesa e sicurezza. 


Difendersi secondo Roberta Metsola. La presidente del Parlamento europeo ha un’idea precisa di quel che significa oggi garantire la sicurezza per gli europei e i suoi alleati. “Pace e democrazia non sono scontate”, ha detto Roberta Metsola, ricordando l’enormità che sta accadendo su questo nostro continente che da settant’anni era il luogo della pace e ora è il luogo della guerra. L’Europa non era del tutto impreparata, la Bussola strategica dell’Ue per la sicurezza e la difesa, insieme con l’Analisi del divario degli investimenti nella difesa, “costituiscono una base solida per rafforzare la nostra architettura  entro il 2030”. Le spese per la difesa aumentano perché l’Ue deve recuperare la capacità industriale che serve per difendersi, ma alcuni progetti sono già operativi, e la Metsola ha fatto l’elenco: “La forza rapida dell’Ue fino a 5.000 uomini, le esercitazioni su terra e su mare, il potenziamento della mobilità militare in Europa e al di fuori, la progettazione di missioni e operazioni di gestione delle crisi più incisive e lo sviluppo di processi decisionali più rapidi e flessibili”. C’è stato un andamento iniziale lento, ha detto la Metsola, l’Ue non aveva la testa sul proprio hard power, ma l’assetto di guerra e di difesa dell’Ucraina è stato infine trovato e vale “3,1 miliardi di euro di equipaggiamenti militari difensivi letali”. Ora gli arsenali vanno riempiti di nuovo e ci vuole una progettualità molto diversa rispetto al passato, ma è la testa degli europei a essere cambiata: nei confronti della Russia e della sua minaccia multiforme che va dalle bombe alla propaganda, certo. Ma Metsola ha anche sotterrato l’antico e fastidioso dibattito che da sempre avvolge la difesa europea: non siamo concorrenti della Nato, ha detto, lavoriamo insieme perché la pace e la democrazia non sono più da darsi per scontate. 
 

Il premio Sakharov. La forza dell’Ue è nel dibattito, che a volte si fa sfiancante, a volte sterile, spesso essenziale. Si è dibattuto molto anche sull’assegnazione del premio Sakharov, ma sui dettagli, più che sui contenuti. I popolari volevano che il premio fosse assegnato al popolo ucraino e al presidente Volodymyr Zelensky; i socialisti erano d’accordo con l’assegnazione del premio a una figura ucraina ma preferivano una formulazione differente: “Il popolo ucraino rappresentato dal suo presidente”. Il gruppo Renew Europe non ha fatto nessuna difficoltà e così ieri il premio intitolato al dissidente sovietico e dedicato alla lotta per i diritti è stato assegnato al “coraggioso popolo ucraino rappresentato dal presidente eletto, i suoi leader e la società civile”: basta cucire i dettagli, sfumare i colori, e viene fuori il punto giusto di blu Europa. Il popolo ucraino che ha ricominciato a vivere, lavorare, resistere, piangere, cantare nei rifugi che si snodano sotto le strade di Kyiv e di tutte le città ucraine per sfuggire alle bombe, ha dato prova di coraggio, ma anche di ironia contro la tragedia, di sfrontatezza contro l’apatia. Ha cercato di far capire in tutti i modi di essere un popolo unicamente europeo, pronto a raggiungere la famiglia dei vicini occidentali. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola si è congratulata con gli ucraini, dicendo che “stanno difendendo ciò in cui credono, combattendo per i nostri valori, tutelando la democrazia, la libertà e lo stato di diritto, rischiando le loro vite”. L’Ucraina e i suoi abitanti si trovano al centro dei cambiamenti europei e mondiali, prima loro malgrado, poi hanno deciso di diventare protagonisti, proprio per non lasciare a un solo uomo il destino della terra. Della comunicazione, spesso sarcastica, mordace, irriverente, combattiva, hanno fatto uno dei loro obiettivi principali per farsi conoscere e anche per contrastare la disinformazione del Cremlino. Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e organizzatrice del seminario sulla salvaguardia della libertà di stampa, ha detto che il regime di Vladimir Putin punta molto “sulla distorsione delle informazioni, sul rovesciamento della realtà e della storia, nel tentativo costante di criminalizzare il popolo e il governo ucraino”. Le modalità di propaganda sono raffinate e subdole, ma Kyiv ha risposto con determinazione e coraggio e il messaggio è stato: guardateci, siamo noi i coraggiosi, siamo noi che stiamo combattendo per la nostra libertà e i valori che sono nostri, certo, ma sono anche i vostri.  Mestola ha dedicato il premio agli “ucraini che combattono sul campo. Quelli che sono stati costretti a fuggire. Quelli che hanno perso parenti e amici. Per tutti quelli che si alzano e combattono per ciò in cui credono. So che il coraggioso popolo ucraino non si arrenderà” e poi ha promesso: “Non lo faremo nemmeno noi”.


La generazione D. Il punto perfetto di blu Europa l’ha scelto anche Zuzana Caputova per parlare al Parlamento europeo delle sfide – che sono molte – delle speranze – che sono forti – di questa Unione che sta per entrare nel suo inverno più buio degli ultimi anni. Caputova è idealista e pragmatica e ha detto che bisogna mettere ordine per affrontare le crisi, e che bisogna sbrigarsi, perché poi si accumulano, e finiranno per sommergerci. C’è la resistenza, ci sono le battaglie e poi ci sono anche i doveri, che ciascun paese deve avere ben in mente. Primo, non si possono accantonare le preoccupazioni: sull’energia, ha detto Caputova, bisogna reagire e rendersi indipendenti dalla Russia. La Slovacchia ha fatto i compiti e se prima dipendeva dal gas russo per il 75 per cento, ora la dipendenza è scesa al 30 e farà di meglio. Secondo, gli impegni vanno rispettati: quando si entra nel club europeo bisogna stare ai patti che sono privilegi e non oneri. Terzo, gli errori vanno corretti: bisogna fare in modo che chi entra nel club europeo rimanga fedele allo stato di diritto. Quarto, le missioni vanno identificate: “La protezione della democrazia – ha detto Caputova – è la missione della nostra generazione di leader”.
 

Di questa protezione fanno parte la libertà di stampa, la difesa, la politica estera, fa parte la nuova idea d’Europa che dovrà venire fuori se vuole resistere. Alla mensa, dove giornalisti ed eurodeputati pranzano molto vicini, ci sono due servizi diversi di piatti. Uno è nuovo, con lo stemma del Parlamento europeo in blu, non proprio Europa, ma simile. Altri sono più antichi con delle decorazioni marroni. Sono i piatti di un’altra Unione, iniziata anni fa, con altre missioni e altre generazioni. Li abbiamo rigirati entrambi nelle mani, e oggi tintinnano allo stesso modo.