EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Cosa ci apparecchia Macron da presidente dell'Europa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il ministro Beaune ci racconta  le ambizioni e le promesse del semestre francese. Ma quanto conta che ci siano anche le elezioni per l’Eliseo? Non poco

La presidenza del Consiglio dell’Unione europea è sempre un appuntamento ambizioso per i paesi membri. Si assume di rado, vale sei mesi, è un lavoro importante in cui  ogni stato proietta l’immagine dell’Unione europea che ha in mente: e si sa che ci sono ventisette modi diversi di immaginarla. Se però il semestre capita nelle mani della Francia di Emmanuel Macron  sembra la chiusura del cerchio: la messa in scena di una Sorbona 2.0. Tra Macron e l’europeismo c’è un rapporto complesso, è stato il primo politico ad aver impostato la sua campagna elettorale nel 2017 attorno ai valori europei, a sovrapporli a quelli francesi, a estenderli, ad ampliarli fino a perdere i confini di quello che era francese e quello che era europeo. In tanti in Ue, soprattutto dal coro sovranista, digrignavano i denti e malignavano: eccola, la solita Francia imperialista. E’ vero, l’europeismo del racconto macroniano è impregnato di francesità, ma la grandeur usata finora soltanto per raccontare la Francia per la prima volta è stata usata per raccontare l’Europa. Erano i tempi in cui si giocava a prendere le distanze dall’Ue, in cui si facevano le campagne elettorali parlando di exit, accusando Bruxelles di tutto: dei migranti, dei tappi di sughero,  della burocratizzazione, della curvatura delle banane, dei vincoli economici. Tutto. Erano i tempi dei sovranisti in ascesa, della Brexit, di Donald Trump già alla Casa Bianca che in Francia Marine Le Pen vedeva come la prova del trionfo dei nazionalismi.

 

In questo scenario oscuro, si è fatto largo Macron, con un’antipatia cortese, una spocchia irresistibile, una storia d’amore che faceva chiacchierare moltissimo, che sussurrava (sì, lui spesso sussurra, soprattutto quando vuole essere ascoltato): ma quanto è bello essere europei, non sarebbe più bello esserlo ancora di più? Vinse con l’europeismo e qualche mese dopo nel grande anfiteatro della Sorbona annunciò le sue proposte di rilancio europeo.  Uno scossone per tutta l’Europa. Un terremoto per Angela Merkel e la teoria del portare avanti le relazioni europee con la calma di un’inerzia efficiente. “La sovranità, l’unità e la democrazia sono inseparabili per l’Europa. Abbiamo girato pagina nella costruzione dell’Ue”, disse Macron. Il semestre che si appresta a presiedere dal primo gennaio sarà l’evoluzione di quel discorso del 2017. C’è chi ha detto che il presidente francese si è spesso atteggiato a presidente dell’Europa e questi sei mesi saranno un po’ la sua occasione di esserlo davvero. Rilancio, potenza e appartenenza saranno le tre parole chiave del semestre, reso più frastagliato da una coincidenza che spaventa un po’: le presidenziali in Francia che si terranno ad aprile. Ci siamo fatte guidare alla scoperta di questa presidenza doppia, tra le sfide, le ambizioni, le scommesse, da un accompagnatore d’eccezione, che conosce più di chiunque altro l’architettura avveniristica di questo semestre perché l’ha costruita: Clément Beaune, ministro francese per gli Affari europei. 

 

La ricerca di un’Ue più indipendente su difesa e digitale. “Possiamo contare su un forte contributo dell’Italia” 

 

Cosa ci dice Clément Beaune. Beaune è l’alfiere dell’europeismo di Macron, già suo consigliere all’Eliseo e ora ministro. Per prima cosa ci ha elencato gli obiettivi del semestre: “Clima, questioni sociali, settore digitale, riforma di Schengen, politica internazionale. Il programma è ambizioso”,  ha detto. Beaune sostiene che il cambiamento dell’Ue sia già in atto e adesso è il momento di renderlo più deciso per rispondere alla volontà di rafforzare “la nostra posizione nel mondo”. Quindi, quali sono i traguardi importanti da raggiungere  per definire questa presidenza  un successo? “Il successo del semestre europeo non sarà legato al raggiungimento di un obiettivo, ma all’aver dato un impulso a un cambiamento di visione per l’Europa, che abbiamo già iniziato e che vogliamo amplificare”.  Quando parla di trasformazione, Beaune immagina un modello europeo “più sociale, più ecologico, più sovrano, sia in termini di regolamentazione sia di investimenti. Avere dei risultati concreti su alcuni testi legislativi, come la regolamentazione delle piattaforme digitali o i salari minimi in Europa, sarebbe la testimonianza di un successo utile”. La presidenza del Consiglio dell’Ue è sempre un lavoro di squadra, si lavora assieme agli altri paesi, si raccoglie l’eredità di chi ti precede, in questo caso la Slovenia, e ci si accorda con chi viene dopo. “La preparazione della presidenza francese con i nostri partner è iniziata ben prima del primo gennaio, e la Francia continuerà a lavorare, prima con la Repubblica ceca, e in seguito con la Svezia, nel quadro del trio di presidenza che forma, ma anche con i suoi partner europei di primo piano come l’Italia, per avere la certezza che i grandi dossier che abbiamo lanciato siano portati a termine nei prossimi mesi. Con Roma, ciò riguarda in particolare le questioni legate al bilancio e agli investimenti”. La  coppia Emmanuel Macron-Mario Draghi   ha rilanciato l’immagine dei rapporti franco-italiani. I due sembrano andare d’accordo su molte cose,  anche sulle ambizioni di questo semestre. “Affinché la nostra presidenza francese sia un successo europeo, sappiamo di poter contare su questa amicizia e sul nostro coordinamento. Penso in particolare alle sfide economiche che dobbiamo affrontare oggi, come la doppia transizione ecologica e digitale”. La Francia lavorerà anche per rafforzare la sovranità europea in settori economici importanti per l’Italia: spaziale, farmaceutico, energie rinnovabili. Poi ci sono altri temi sui quali i nostri paesi vanno d’accordo, ma che in Ue sono più complessi da affrontare: “Il nostro auspicio è che, sotto la nostra presidenza, possa essere lanciata una riflessione su come rendere l’Unione più indipendente nel campo della difesa, dell’industria e della tecnologia. Siamo consapevoli che possiamo contare su un forte contributo dell’Italia. Su tutti questi temi, condividiamo lo stesso approccio, ma non abbiamo preso l’abitudine di lavorare assieme a livello europeo. Il Trattato del Quirinale incarna questa organizzazione e questa nuova ambizione”. Che Macron abbia fatto dell’europeismo una bandiera interna si sa, ma sarà interessante vedere anche come la userà  in questa campagna elettorale con una doppia presidenza sulle spalle. Beaune minimizza i rischi: “La coincidenza dei due calendari non è un caso isolato: nel 1995, si era già  presentata  e altri paesi hanno vissuto la stessa situazione. In ogni caso, la presidenza francese durerà sei mesi. Il programma è particolarmente carico, sia in materia di priorità legislative sia di eventi”. E promette: “I periodi elettorali di riserva saranno rispettati, fatto che non impedirà ai nostri diplomatici e ai nostri funzionari di continuare a lavorare per  garantire la continuità della nostra azione. Sei mesi non bastano per iniziare e monitorare le lunghe trasformazioni necessarie a livello europeo, ed è per questo motivo che abbiamo cominciato il nostro lavoro di elaborazione di proposte influenti fin dal 2017”. I successi del macronismo, dice Beaune, si vedono già: molte delle proposte fatte alla Sorbona, “oggi sono delle realtà europee”. 

 

Le attese. Ma torniamo alla coincidenza tra la presidenza francese del semestre europeo e delle elezioni presidenziali che, se in Francia non è vissuta come un’anomalia, crea qualche “inquietudine tra gli stati europei”, ci dice Gilles Gressani, presidente del centro studi Groupe d’études géopolitiques e direttore della rivista Grand Continent, “perché da un lato c’è la volontà di aiutare la dinamica macronista che è anche europeista, ma dall’altro c’è il timore che, con un appuntamento elettorale interno tanto importante, l’interesse francese venga prima di quello europeo”. Questa sovrapposizione temporale ha un grande impatto politico, perché riduce i tempi in cui effettivamente la Francia potrà far procedere i suoi cantieri europei e ogni decisione di Macron avrà una valenza elettorale pronunciata, con conseguenze dirette sui negoziati europei. Non si tratta di elementi “necessariamente negativi”, dice Gressani, ricordando che la presenza di Macron ha impostato il discorso europeo in modo molto chiaro: da un lato c’è il macronismo, “dall’altro c’è Viktor Orbán, in mezzo non c’è nulla, non ci sono alternative d’europeismo”. Simboli, anniversari, appartenenza scandiranno la campagna elettorale e la presidenza del semestre, con un impatto anche sul nuovo equilibrio dell’Europa: “L’Eliseo ha fatto capire in modo chiaro che Macron non può essere l’unico a parlare d’Europa”, dice Gressani, “c’è bisogno di altri leader che portino avanti le istanze di riforma dell’Europa, e per questo ci sono Mario Draghi in Italia, Olaf Scholz in Germania e ora il nuovo governo di Mark Rutte in Olanda che possono dare una mano a questa strategia dell’ascolto”. Molto più concretamente poi c’è una nuova impostazione del dialogo europeo, la “bilateralizzazione”, un’idea macroniana di cui il ministro Beaune è stato il principale artefice, che Gressani considera “molto innovativa, oltre che l’unico modo per uscire da questa impasse in cui la creazione del consenso in Europa è diventata un meccanismo quasi impossibile da gestire”. 

 

La coincidenza delle due presidenze  inquieta un pochino gli stati membri, ma l’obiettivo comune è uscire dall’impasse

 

I rischi. Gli aspetti più critici della presidenza del semestre francese, oltre alla sovrapposizione temporale, riguardano i grandi progetti europei su cui Macron ha posto più volte l’accento: la riforma del Patto di stabilità, su cui ci sono molte convergenze ma anche sfumature che potrebbero rivelarsi più problematiche del previsto; la creazione di una difesa comune europea che deve ancora trovare un suo equilibrio con la Nato ma soprattutto nelle relazioni con la Cina e con la Russia, che sono da sempre un tormento per l’Ue e la sua “voce unica” e che in particolare per la Francia subiscono quel che gli esperti chiamano “la tentazione gollista”; il “Fit for 55”, il progetto climatico dell’Ue che è già in grande difficoltà a causa della crisi energetica ma anche a causa dell’ostilità di molti paesi, compresa la Francia, che non vuole che il principio “chi inquina paga” ricada sui cittadini, ancor più se quei cittadini devono andare a votare e se già hanno subìto la fascinazione dei gilet gialli.

 

La corsa per l’Eliseo. Siamo ancora in una fase prematura per le analisi elettorali: cinque anni fa, in questo momento, Emmanuel Macron aveva appena lanciato la sua candidatura e stava sotto al dieci per cento dei consensi. Tutto deve ancora accadere, ma la fotografia è questa: il presidente va al ballottaggio, la sinistra no di certo, la destra e l’estrema destra se la giocano. La resurrezione dei gollisti è la storia del momento: Valérie Pécresse ha vinto le primarie dei Républicains, s’ispira ad Angela Merkel e a Margaret Thatcher, è europeista come lo è la destra francese, è a capo dell’unico partito tradizionale che ancora raccoglie consensi, e spaventa un po’ i macroniani. La buona notizia è che l’ascesa della Pécresse ha messo in secondo piano le sulfuree macchinazioni di Marine Le Pen ed Éric Zemmour.

 

Forse non dura, ma qui si coglie l’attimo e ci si gode questa vista senza troppi sovranismi. Tanto più che la politica francese è in piena sindrome Netflix e i candidati hanno impostato le loro campagne elettorali come fossero una serie tv. Cercano i colpi di scena, il ritmo, i personaggi, cosa che s’è sempre fatta ma i francesi, come con tutto, dicono di saperla fare meglio. Finché si può ci fidiamo. 


(ha collaborato Mauro Zanon)

Di più su questi argomenti: