EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Il manuale di Thierry Breton, Mr Wolf dell'Europa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Se hai un problema, chiama il commissario francese, imprenditore, politico, scrittore con un gran gusto del futuro. A partire dai vaccini 

Se c’è un problema, chiama Thierry Breton. Il commissario francese, seconda scelta di Emmanuel Macron dopo la bocciatura di Sylvie Goulard da parte del Parlamento europeo nell’ottobre del 2019, si è trasformato nel Mister Wolf della Commissione di Ursula von der Leyen. E forse potrebbe addirittura diventare l’aggiustatutto che permetterà all’Unione europea di trasformare la sua economia in questa prima metà del Ventunesimo  secolo – che sarà dominata dal conflitto tra Cina e Stati Uniti. La dottrina di Breton è quella dell’autonomia strategica e della sovranità europea, un mantra che abbiamo imparato a conoscere e che, come sappiamo, è molto caro a Macron. La dottrina francese, insomma. Ma malgrado i sospetti che resistono a Bruxelles ogni volta che utilizza quelle due espressioni, Breton è un francese atipico. Non è un protezionista, non ha velleità di chiusura dei mercati o autarchia. E’ semmai un responsabile politico non vuole farsi imbrogliare dalla Cina o prendere in giro dagli Stati Uniti. E, a differenza di tutti gli altri politici che siedono nella Commissione, è anche un imprenditore. Ha una mentalità  diversa da chi ha fatto tutta la propria carriera in politica o nella pubblica amministrazione. I suoi colleghi commissari e l’amministrazione della Commissione pensano a produrre legislazione e regolamentazione. L’ossessione di Breton, invece, sono i risultati, le cose concrete, il cosa si può fare oggi per risolvere problemi attuali o in divenire. Al Berlaymont, dove ha sede la Commissione, dicono: Breton “è un ceo  che parla ad altri ceo”.

 

La missione dei vaccini. L’obiettivo di Breton oggi è trasformare l’Ue nel primo produttore al mondo di vaccini contro il Covid-19 entro la fine del 2021. Se il coronavirus diventerà endemico, con una capacità di 2-3 miliardi di dosi l’Ue non solo sarà completamente autonoma, ma  rifornirà il mondo, in particolare di vaccini di nuova generazione mRna. “Una sfida industriale enorme”, ha spiegato Breton, con il sorriso di chi ama le prove più difficili. “Si diverte un mondo a fare quello che fa”, spiegano i suoi collaboratori più stretti. Il suo ambito di competenza dentro la Commissione è molto più ampio dei soli vaccini. Di qui alla fine del mandato di von der Leyen, l’autonomia strategica dell’Ue passa per il digitale, le batterie per le auto elettriche, lo spazio, l’industria della difesa, le materie prime rare e microchip di prossima generazione. Quello che Breton sta facendo sui vaccini può essere replicato in altri settori. Ma il commissario francese deve scontrarsi con le resistenze interne alla Commissione. La principale è culturale. La parola “produzione” è tabù nei corridoi del Berlaymont.

 


Non è un protezionista, non ha velleità di chiusura dei mercati. Vuole che l’Ue diventi il primo produttore al mondo di vaccini


 

Breton vs Vestager. Sul digitale ci sono stati conflitti con la vicepresidente, Margrethe Vestager, più attenta alle forme e alle procedure. Il francese e la danese hanno litigato a lungo sulle proposte del Digital Service Act e del Digital Market Act, le due leggi che regolamenteranno tutto il settore nell’Ue e potenzialmente a livello globale. Lui questo settore lo conosce bene, perché è stato amministratore delegato di Atos, uno dei pochi colossi europei del digitale, che ha subìto la concorrenza delle corporation americane. Lei si è fatta le ossa attraverso i casi di concorrenza, dove i tempi per l’applicazione delle regole non sono quelli velocissimi della trasformazione digitale. Breton è calvinista, Vestager figlia di un pastore luterano. A entrambi piacciono i riflettori, e si vede. Entrambi sono bravi comunicatori. Ma, mentre Vestager  è irresistibile con quei suoi grandi sorrisi e i lunghi giri di parole (e le sneaker anche), Breton è diretto, si lascia andare a sparate, non si fa imbrigliare dalla comunicazione tecnica, prudente e istituzionale della Commissione. Von der Leyen annuncia che l’obiettivo è vaccinare il 70 per cento della popolazione adulta “entro fine dell’estate”? Più ambizioso, Breton dice che l’obiettivo può essere raggiunto il 14 di luglio se le somministrazioni negli stati membri terranno il ritmo delle forniture. L’Ue è accusata di essere in ritardo rispetto all’America? “Produciamo lo stesso numero di vaccini”, risponde Breton, sottolineando che con 180 milioni di dosi prodotte nel suo territorio, l’Ue si assume la responsabilità di salvare vite anche nel resto del mondo tenendo aperta la porta delle esportazioni. La Germania ha perplessità sul certificato verde per i vaccinati? Breton mostra in televisione il passaporto vaccinale dell’Ue e spiega che sarà in funzione per giugno, giusto in tempo per salvare la stagione turistica (e il turismo è una sua competenza). Ha fatto il ministro, l’imprenditore e lo scrittore. Alla fine fa e dice quello che gli piace, non perché ha un debito di riconoscenza con qualcuno. A Bruxelles, come a Parigi.  

 

Il “mago dell’inversione di tendenza”. C’è un angolo di Francia, che più che un angolo è un parco, nato per lasciar immaginare il futuro. Si chiama Futuroscope, è fuori Poitiers, è  un parco divertimenti ipertecnologico  da cui è iniziata anche l’avventura di Thierry Breton. Erano gli anni Ottanta e lui rimane direttore di questi duecento ettari futuristici  fino al 1990. Era il suo affaccio sul digitale. Un’impresa che poi lo porterà a muoversi da un’azienda all’altra, mettendo un tocco di  futuro un po’ ovunque, fino ad arrivare alla sua impresa più grande, quella che gli dà la corona di super manager di Francia: France Télécom. La Telecom francese era quasi in bancarotta. Breton, con il suo ciuffo, il suo fare impegnatissimo, fa una piccola rivoluzione. Basata su tre punti: cambiamento, leadership, velocità. L’intuizione di Breton fu quella di portare l’azienda verso la telefonia mobile e l’adsl. Gli investitori furono felicissimi, non si aspettavano neppure di vedere le loro azioni triplicare dopo poco tempo. Il Wall Street Journal, colpito dalla rivoluzione del manager, decise di dedicargli un articolo dal titolo Turnaround Whiz, il mago dell’inversione di tendenza. Nel pezzo ci sono anche pettegolezzi, indiscrezioni, considerazioni che lasciano immaginare un Breton severo, accigliato e iperattivo. E per questo abbiamo cercato di capire cosa si dice di lui a Parigi, ora che è a Bruxelles.

 

L’antiburocrate. A Parigi, quando chiedi di Thierry Breton, ti ricordano tutti che è l’unico pdg con passaporto francese ad aver lanciato tre aziende nel sancta sanctorum del Cac 40, il principale indice di borsa di Francia. Thomson  valeva un franco simbolico quando nel 1997 fu nominato amministratore delegato. Cinque anni dopo, quando il governo di Parigi gli chiese di andare a salvare  France Télécom, varrà più di 100 miliardi di franchi. Tra il 2005 e il 2007, Breton è stato un apprezzato ministro dell’Economia sotto la presidenza Chirac, poi, nel 2008, il futuro commissario europeo al Mercato interno, ha preso le redini di Atos. Da 50 mila dipendenti e 5,5 miliardi di euro di fatturato, a 110 mila effettivi e un volume d’affari di 12  miliardi. “E’ intellettualmente superdotato per la  gestione delle imprese e ha la fama del ‘redresseur’, dell’artefice di salvataggi spettacolari.  Il suo percorso da manager è costellato di successi,  gode di un’ottima reputazione a Parigi”, ci ha detto  Pierre de Gasquet,  del quotidiano economico parigino Les Echos, prima di aggiungere: “Breton rappresenta il meglio delle grandes écoles francesi”. Quando è in aeroporto, in attesa del suo aereo, capita spesso di veder questo ex allievo del Supélec, la cuola delle élite nel settore dell’ingegneria, concentrato sui libri di matematica a lavorare su calcoli ed equazioni, e non sui dossier strategici che lo aspettano a Bruxelles  – iniziò la sua carriera proprio come professore di matematica e informatica al liceo francese di New York. “Breton è l’antiburocrate, non ama il linguaggio tecnocratico. La sua figura è in controtendenza rispetto a ciò a cui eravamo abituati a vedere alla Commissione europea”, sottolinea Pierre de Gasquet, avanzando un paragone intrigante: “E’ il francese che più si avvicina a Mario Draghi per intelligenza, pragmatismo e discrezione. Breton, come Draghi, è uno che non cerca la luce, ma è molto concreto. Anche politicamente sono simili, perché è difficile trovare a entrambi uno schieramento. Sicuramente sono liberali ed europeisti”.

 

Il ministro del rigore. L’occhio, la sensibilità, l’istinto da manager gli valsero la nomina a ministro dell’Economia con Jacques Chirac. Di quel periodo rimase celebre soprattutto una frase: “I francesi vivono al di sopra delle loro possibilità”. Promosse politiche di rigore, portò il deficit sotto al 2,9 per cento. Gestì Bercy come aveva gestito le aziende. Promosse la privatizzazione delle autostrade e anche quella di France Télécom, più atipico di così, come francese, sembra impossibile. Poco prima di andare via si mise  al lavoro sull’economia immateriale: creare un’agenzia per il patrimonio immateriale dello stato la cui missione è identificare e promuovere i suoi beni immateriali. Il marchio del visionario non gli si è  tolto  più di dosso.

 


“E’ il francese che più si avvicina a Mario Draghi. Breton, come Draghi, è uno che non cerca la luce, ma è molto concreto”


 

Breton vs Zuckerberg. Il giornalista di Politico Laurens Cerulus, che si occupa di cybersicurezza, quando Breton invitò il fondatore di Facebook a un dibattuto su YouTube lo scorso anno,  scrisse che nell’entourage del commissario girava una battuta: “Un prodigioso visionario della tecnologia dibatte con Mark Zuckerberg”.  Breton voleva  far capire ai Big Tech  che si sarebbero dovuti abituare a una  nuova Europa, diretta e ambiziosa. E soprattutto, che l’unico modo per evitare una regolamentazione severissima era combattere la disinformazione e ridurre il  monopolio. Dopo l’assalto a Capitol Hill, Breton si rallegrò molto per la decisione dei social di bloccare Donald Trump. Scrisse in  un commento che  i social iniziavano a capire  che cosa volessero dire responsabilità, dovere e mezzi per prevenire la diffusione di contenuti virali illegali.

Prima di diventare tutto questo, questo esperto che aggiusta le cose, le aziende, i paesi, i vaccini, l’Europa, a ventinove anni, Breton aveva scritto il suo primo libro di fantascienza su una guerra soft tra super potenze che si svolgeva tutta sul web. C’era molta storia, c’era anche Mikhail Gorbacev, ma anche tanto futuro. Non vi sveliamo come va a finire il romanzo, ma ci siamo divertite molto a immaginare, Breton intento a scriverlo. Giovanissimo, ciuffatissimo, accigliatissimo, francese sì, ma atipico.


  (hanno collaborato David Carretta da Bruxelles e Mauro Zanon da Parigi)

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