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Il vaccino sa molto di european way of life

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La Commissione lancia l’Unione della sanità, Putin dice: ehi, c’è anche il vaccino russo! Il dibattito sulle mascherine in Svezia e il racconto delle ondate

L’Unione europea ha finalizzato ieri il suo accordo con Pfizer per l’acquisto di duecento milioni di dosi di vaccino e un’opzione per un’ulteriore tranche di altri 100 milioni di dosi. Da quando lunedì la Pfizer e l’azienda tedesca BioNTech hanno annunciato che il vaccino anti Covid che hanno sviluppato funziona al 90 per cento, era cominciato il chiacchiericcio: perché l’Europa non ha ancora fatto accordi sull’acquisto, mentre Stati Uniti e Regno Unito sì? La Commissione ha risposto in fretta, e ieri il chief executive di Pfizer, Albert Bourla, ha detto che la commessa europea è la più grande mai fatta e che mostra la determinazione di tutti nel voler proteggere la popolazione più vulnerabile, e in fretta. La storia di questo vaccino è europeissima, bisognerebbe raccontarla e riraccontarla in modo che ci sia la risposta pronta e precisa alla domanda: l’Europa dov’è? Eccola, l’Europa. Il chief executive dell’americana Pfizier, Albert Bourla, è nato a Salonicco in una famiglia ebrea, si è laureato in biologia della riproduzione alla facoltà veterinaria dell’Università della città e ha iniziato a lavorare per Pfizer nel 1993 nella divisione greca. Bourla ha iniziato a collaborare con  l’azienda tedesca BioNTech già nel 2018 – si occupavano di sviluppare cure contro il cancro – e nel marzo del 2020 ha deciso di lavorare assieme per lo sviluppo del vaccino. Determinante è stato il rapporto con il fondatore di BioNTech, Ugur Sahin, 55 anni, nato ad Alessandretta, in Turchia ed emigrato a Colonia quando aveva quattro anni e i suoi genitori erano stati assunti nella fabbrica della Ford. Bourla e Shain hanno raccontato che a unirli molto in questi anni è stata la loro storia comune di migranti scienziati.  “Lui è greco e io sono della Turchia”, ha detto Shain al New York Times, “ci siamo sentiti personalmente molto vicini fin da subito”: nessuno dei due ha fatto cenno alle attuali divergenze (eufemismo) tra Grecia e Turchia, questa è una storia di eccellenza europea in cui ricerca e solidarietà superano anche i conflitti. C’è anche la storia d’amore ché BioNTech è stata fondata da una coppia, c’è Shain e c’è sua moglie, Özlem Türeci, nata in Germania da una famiglia immigrata da Istanbul: da ragazza voleva farsi monaca, poi ha incontrato il futuro marito e si è dedicata a lui, alla sua vocazione principale che era la ricerca, e alla loro figlia adolescente (quando hanno saputo dei buoni risultati del test del vaccino, hanno festeggiato con il tè turco).  Il vaccino sarà prodotto in Germania e in Belgio, l’Ue ha fatto un accordo di base, ma i paesi europei potranno fare richieste anche a livello nazionale, anche se ci cerca di evitare la competizione: anzi, si punta tutto su un’altra unione, dopo quella monetaria, doganale, fiscale: l’unione sanitaria.

 

L’Unione sanitaria. La Commissione di Ursula von der Leyen ha presentato una serie di proposte per lanciare l’Unione europea della salute, ma il grande interrogativo è se gli stati membri accetteranno di trasferire una parte delle loro competenze sulla sanità per affrontare le emergenze future, tipo Covid-19. “La pandemia da coronavirus ha evidenziato la necessità di più coordinamento nell’Ue, di sistemi sanitari più resilienti e di migliore preparazione per le crisi future”, ha detto von der Leyen. Il trattato non affida all’Ue competenze in materia sanitaria. Ma possono essere adottate “misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera” e “misure concernenti la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”. La Commissione in sostanza chiede un mandato per un maggiore coordinamento a livello europeo e un ruolo più forte per le sue agenzie. 

 


“La pandemia ha evidenziato la necessità di più coordinamento nell’Ue, di sistemi più resilienti e di preparazione per le crisi future”, ha detto von der Leyen


 

La “situazione di emergenza europea”. Il primo provvedimento proposto dalla Commissione è un nuovo regolamento sulle minacce transfrontaliere gravi alla salute. L’idea più innovativa è l’introduzione di una “dichiarazione di situazione di emergenza europea” attraverso la quale attivare maggiore coordinamento e misure per lo sviluppo, lo stoccaggio e gli appalti di prodotti medici necessari ad affrontare la crisi sanitaria. Occorre imparare la lezione della penuria di mascherine, tute protettive, respiratori e test durante la crisi Covid-19. Ma ci sono altre lezioni: la proposta della Commissione prevede “piani di preparazione pandemici” a livello europeo e nazionale. Quelli degli stati membri dovrebbero essere sottoposti a “stress test” da parte della Commissione e delle agenzie dell’Ue. Il regolamento include un sistema di sorveglianza rafforzato e integrato a livello europeo, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale e di altri strumenti tecnologici avanzati. Agli stati membri, inoltre, verrebbe chiesto di fornire indicatori sanitari affidabili, come la disponibilità di posti letto, le capacità delle terapie intensive e il numero di personale sanitario formato. La Commissione propone infine di istituire entro la fine del 2021 una nuova Autorità europea sulla preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie. La nuova Autorità dovrebbe sviluppare e procurare materiale biomedico e di altro tipo per permettere migliori strategie di test e tracciamento dei contatti.

 

Il rafforzamento delle agenzie. Il secondo pilastro dell’Unione europea della salute è il rafforzamento delle due agenzie europee che si occupano di salute. Il mandato del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) dovrebbe essere rafforzato. Oltre ad avere un ruolo specifico per la sorveglianza epidemiologica e la valutazione dei piani pandemici nazionali, l’Ecdc dovrebbe mobilitare delle task force sanitarie da inviare negli stati membri e costruire una rete di laboratori di riferimento. Anche il mandato dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) dovrebbe essere irrobustito, in particolare con il monitoraggio dei rischi di penurie di medicinali e materiali sanitari critici. L’Ema sarebbe chiamata inoltre a fornire consigli scientifici sui medicinali che possono curare, prevenire o diagnosticare le malattie che causano crisi sanitarie, coordinare i test clinici e gli studi per monitorare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini.

 

 

Condividere competenze. Di fronte alle proposte della Commissione, il grande interrogativo è fino a che punto gli stati membri siano disposti ad affidare nuove competenze all’Ue e a seguire le sue indicazioni in un settore tanto sensibile come la sanità. A nove mesi dall’arrivo della pandemia da coronavorius, gli sforzi di coordinamento di Bruxelles continuano a incontrare la resistenza delle capitali. Durante l’estate gli stati membri non hanno fatto gli stress test dei sistemi sanitari, come aveva chiesto la Commissione a luglio. I 27 sono ancora divisi sul ricorso dei test antigenici. Attualmente solo sei paesi hanno app di tracciamento che interagiscono tra loro, malgrado l’Ue abbia messo in piedi l’infrastruttura per l’interoperabilità. Gli ultimi esempi non sono più incoraggianti. Il 28 ottobre la Commissione aveva chiesto agli stati membri di fornire le strategie nazionali di test e vaccinazioni nel corso del mese di novembre per sottoporle a una valutazione da parte dell’Ue. La commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides, ha ammesso di essere stata costretta a inviare una lettera ai ministri dei 27 mercoledì per sollecitarli a inviare i  piani nazionali per la vaccinazione contro il Covid-19. Gli stati membri “devono avere un’infrastruttura e la logistica è abbastanza complicata”, ha spiegato Kyriakides. La Commissione è pronta ad aiutare, ma i governi nazionali devono essere disposti ad accettare l’aiuto, oltre che seguire le raccomandazioni dell’Ue. Kyriakides dice di essere comunque “ottimista” sulla volontà degli stati membri di accettare l’Unione europea della sanità perché “le proposte di oggi si trasformeranno in vantaggi concreti per i cittadini”. Dall’inizio della pandemia “abbiamo fatto una lunga strada nel comprendere l’importanza di cosa possiamo fare insieme e di quanto sia importante la solidarietà”, ha detto Kyriakides.

 

Vaccino russo. Subito dopo l’annuncio di Pfizer-BioNTech, i russi hanno rilanciato. La corsa al vaccino è seria e procede rapidamente, per cui, se l’immunizzazione tedesco-americana ha dimostrato un’efficacia del 90 per cento, lo Sputnik V, ha fatto sapere il ministero della Salute russo, è più efficace.  Secondo i risultati intermedi trasmessi da Mosca, solo venti dei sedicimila volontari che hanno ricevuto entrambe le dosi del vaccino o del placebo hanno contratto il virus, quindi, “lo Sputnik V ha avuto un tasso di efficacia del 92 per cento dopo la seconda dose”, una percentuale superiore a quella fissata dalla Food and Drug Administration per definirne la validità. L’istituto russo Gamaleya si sta occupando della fase 3, la sta portando avanti in 29 cliniche e dovrà riuscire a effettuare i test su 40.000 volontari. Il vaccino russo, che non ha ricevuto l’approvazione dell’Oms, sta iniziando a destare un po’ di perplessità anche nel paese. Secondo alcuni sondaggi del centro Levada il 59 per cento dei russi non è disposto a farsi vaccinare. A Mosca soltanto il 31 per cento ha detto di fidarsi del vaccino. 

 

Famolo strano: la Svezia. Già dalla prima ondata ci siamo tormentati sul modello svedese, il non lockdown, lo spirito nordico, i numeri che non tornavano mai. Non vogliamo ritornare sulla questione perché ci abbiamo già perso le notti in passato: facciamo solo un aggiornamento. I contagi e le ospedalizzazioni sono in grande aumento in Svezia, così gli svedesi sono stati invitati a limitare al massimo i contatti, a lavorare da casa non appena è possibile, a non usare i mezzi di trasporto pubblico, a non andare nei centri commerciali né nelle palestre. Ma se si cammina per le strade delle città, ha scritto il Monde con enorme sorpresa e stizza, sono tutti “a viso scoperto”. La mascherina non la usa nessuno, se non il personale delle grandi catene internazionali perché hanno direttive che vengono dai quartieri generali in altri paesi. Le aziende svedesi, come la Ericsson, hanno detto ai dipendenti in altri paesi di indossare la mascherina, ma in Svezia resta facoltativa. Il virologo-star del paese, Anders Tegnell, ha detto che non vuole fare polemiche, il negazionismo non c’entra: la mascherina è “una falsa sicurezza”, pensi di essere protetto ma non lo sei. C’è qualcuno che, nel dubbio, comunque la mette, e soprattutto c’è una ragazza che mette a fuoco la questione: se il governo domani ci dicesse che è meglio mettersi la mascherina, in un attimo lo faremmo. In ogni caso la mascherina non fa discutere né crea polemiche. Anzi, a ben vedere: Jimmie Åkesson, leader del partito di estrema destra Democratici svedesi, ha fatto una battaglia per – non ridete – introdurre la mascherina obbligatoria.

 


Il modello svedese continua a darci il mal di testa: non si porta la mascherina. E l’estrema destra cosa chiede? Mascherina obbligatoria


 

Raccontare le ondate. La seconda ondata è diversa dalla prima in molte cose. Sono diverse le restrizioni, è diversa la  fiducia nei confronti della politica, e, ci siamo domandate, se non è diverso anche il modo di raccontare la pandemia. Lo abbiamo chiesto a James Kanter che è un ex giornalista dell’Herald Tribune e del New York Times, tra gli altri, e oggi invece è tra i creatori di uno dei podcast di maggiore successo tra quelli dedicati all’Ue: EU Scream. Secondo Kanter non è diversa l’attenzione, ma è diverso l’oggetto dell’attenzione: “Durante la prima ondata mi è sembrato che la stampa fosse focalizzata sulle notizie da verificare, sulla disinformazione e sul modo migliore di contrastare tutta la spazzatura che arrivava. Adesso credo che i giornalisti siano più attenti alle domande su come gestire al meglio la situazione mentre andiamo verso l’inverno”. Pensiamo più al futuro, all’organizzazione, al  vaccino, ma l’attenzione non è calata da nessuna parte. Un esempio: “Il mondo intero ha guardato le elezioni americane attraverso il prisma della pandemia. Tutti ci siamo chiesti quale sarebbe stato il risultato di Trump se non avesse affrontato il virus a quel modo e adesso siamo tutti concentrati sui primi passi di Joe Biden e sulla risposta alla pandemia”. Il Covid-19 è diventato un filtro per seguire qualsiasi cosa, per raccontare il mondo, dall’internazionale al locale”. Ogni paese ha il suo modo di raccontare la pandemia, un approccio che può sembrare più o meno scientifico, più o meno politico. Ogni paese ha i suoi battibecchi e le sue emergenze, ma quello che è chiaro, ci dice Kanter, è che non abbiamo mai staccato gli occhi dal Covid. Neppure EUScream, “il podcast di politica progressista da Bruxelles”, che, come tutti, ha cercato il suo modo di parlare del virus: “Penso che uno dei momenti più interessanti per EU Scream sia stato quando abbiamo pubblicato una puntata dal titolo Coronavirus vs Democracy. Nell’episodio parlavamo del tentativo da parte di Viktor Orbán e di altri leader autoritari di utilizzare la pandemia per compromettere le libertà civili. Un attivista chiamato Israel Butler ci ha detto che il titolo sembrava già suggerire che ci fosse una possibile sconfitta: che le nostre società non sarebbero state in grado di proteggere i diritti e la salute pubblica contemporaneamente. Quel vs proprio non gli piaceva. Secondo Israel, che poi abbiamo intervistato, sarebbe stato meglio un titolo per far capire che le libertà e i diritti possono essere usati per migliorare l’ambito sanitario e salvare più persone possibile. Abbiamo ugualmente mantenuto il titolo, ma credo che Israel avesse ragione”.

 

Qualcosa è cambiato nel nostro racconto, ma dalla prima alla seconda ondata non è cambiato di sicuro l’atteggiamento di alcuni governi. Così, mentre l’Ue cerca la sua strada per costruire l’Unione europea sanitaria, bisogna continuare a badare ai dispetti di certi stati membri, alle trappole. L’Ungheria che minaccia di bloccare il Recovery fund ha un problema serio sia con il coronavirus sia con la democrazia. Il primo non sa come gestirlo, la situazione sanitaria è molto compromessa, il governo ha annunciato un coprifuoco poco chiaro. Ma la democrazia  sa bene straziarla: Budapest  si è messa al lavoro su una riforma della  legge elettorale e della Costituzione, in cui, tra le varie cose, propone che tutti gli uomini vengano reclutati in caso di guerra. L’Ue è ambiziosa e cerca l’eccellenza. Poi c’è chi si distrae, e rimane indietro.
 

(ha collaborato David Carretta)

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