Euporn - il lato sexy dell'europa

L'Europa tifa Biden, ma la scossa trumpiana le ha fatto bene

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Viaggio nell’amore burrascoso tra le due sponde dell’Atlantico, tra speranze, scommesse, rassicurazioni e una tempesta che è qui per restare

Alla fine della primavera del 2017, la cancelliera tedesca Angela Merkel disse: “La stagione in cui potevamo fare affidamento sugli altri è in gran parte finita. E’ questo che ho capito negli ultimi giorni”. In quegli ultimi giorni c’era stato il G7 a Taormina, il primo dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca (e il voto della Brexit), quello in cui i diplomatici parlavano come Pollyanna: dai, almeno Trump si è presentato. Alla fine del vertice, il presidente americano non diede il suo appoggio al comunicato finale che stabiliva le priorità del G7 per il futuro, rifiutò di impegnarsi nell’implementazione del Trattato di Parigi sul clima e poco dopo si ritirò dal Trattato stesso. Era solo l’inizio di un disimpegno dell’America trumpiana nei confronti dell’alleato storico europeo: poi ci sarebbero state le liti sulla Nato, il ritiro dal trattato sul nucleare iraniano, i dazi su ferro e alluminio, l’annuncio del ritiro delle truppe americane di stanza in Germania e tanti altri dispetti più o meno dolorosi. Una recente ricerca del Pew Research Center mostra che in molti paesi europei l’America non è più vista come un alleato affidabile, che l’operato di Trump è considerato terribile e che un disamore così non si vedeva dal 2003, quando scoppiò la guerra in Iraq con annessa frattura nelle relazioni transatlantiche.


Oggi che l’America va al voto e deve decidere se confermare Donald Trump o sostituirlo con Joe Biden, il candidato del Partito democratico, in Europa c’è un gran tifo per il secondo. Steve Erlanger, uno dei corrispondenti più famosi e autorevoli del New York Times, ci aveva detto qualche tempo fa che l’Europa (e molti altri paesi del mondo) non possono sostenere un secondo mandato di Trump, un po’ perché probabilmente il presidente rieletto sarebbe ancora più sprezzante nelle relazioni internazionali e un po’ perché il mondo può fare a meno dell’America soltanto per un po’, e con fatica: otto anni sono troppi. Ma c’è anche un altro filone di pensiero, che ribalta la prospettiva europea nei confronti dell’America: il trumpismo ha innescato un’autonomia insperata nell’Europa, se oggi si parla di un ruolo geopolitico da superpotenza dell’Unione europea è perché il nostro continente ha interrotto la propria dipendenza – storica e reale – nei confronti dell’America. Cioè l’Ue si è “rimboccata le maniche”, proprio come aveva detto di fare la Merkel che, fin dall’inizio, aveva intravvisto il cambiamento epocale in arrivo. Ora che l’Europa ha conquistato parte della propria indipendenza, non dovrebbe rinunciarvi. C’è anche un altro elemento da considerare: Biden ha detto di voler riaggiustare tutte le relazioni interrotte da Trump, a cominciare da quella europea, ma molti commentatori ricordano che non è stato Trump il primo a chiedere all’Ue maggiore autonomia e maggior impegno, solo Trump lo ha fatto nel modo più brutale e alienante possibile. In sintesi, come ha scritto Janan Ganesh sul Financial Times in un articolo molto argomentato e doloroso, l’America non vuole più badare troppo all’Europa: non lo faceva prima di Trump, non lo farà dopo Trump. Se l’Ue riesce a farsene una ragione – e ci ha provato in questi quattro anni – allora la presidenza trumpiana l’avrà cambiata for the better, come dicono gli anglosassoni.


Trump alla fine ci ha fatto bene. Hans Kribbe è un politologo, un consulente politico (consigliere di diversi commissari europei) e l’autore di un libro sugli uomini forti, quelli che stanno rimodellando il mondo: “The Strongmen. European Encounters with Sovereign Power”. Kribbe non è certo un sostenitore di Donald Trump, ma crede che se le elezioni americane del 3 novembre portassero, per la seconda volta, alla sua vittoria, non sarebbe un male per il processo di rafforzamento e di riforma dell’Europa. “Sarebbe una spinta per l’Ue – ci dice – servirebbe a far sentire gli europei così sotto pressione da velocizzare tutti i cambiamenti che hanno già avviato”. Una vittoria di Joe Biden darebbe un senso di sollievo, ci farebbe credere che tutto ricomincerà ad andare bene, “ma è una finzione perché i rapporti tra Unione europea e Stati Uniti non tornerebbero mai come prima”. Trump è stato lo shock, lo scossone che ha quasi fatto venir giù tutta la struttura dei rapporti transatlantici, ma già con Obama le cose stavano cambiando. “Credo che Trump sia stato un grande catalizzatore, ha spronato l’Ue a diventare un attore geopolitico.  Dopo la Guerra fredda noi europei abbiamo pensato che quel rapporto privilegiato sarebbe rimasto intatto, gli Stati Uniti si sarebbero sempre comportati da fratello maggiore. Ma non è più così,  non è stato Trump a portare questo cambiamento, lui lo ha soltanto espresso con toni molto forti”. I leader  di fronte a queste provocazioni hanno prima cercato di persuaderlo a cambiare approccio, poi hanno iniziato a capire che bisognava imparare a convivere con questa nuova America e poi a convincersi della necessità che l’Ue dovesse diventare sovrana, “un’idea introdotta da Emmanuel Macron, che solo poi è stata ripresa anche da Angela Merkel. Con Trump l’Unione europea ha imparato a capire la grammatica del potere”. Alcuni rapporti tra americani e europei sono ormai rotti per sempre, dobbiamo arrenderci a questa idea. “Abbiamo le stesse radici, ma il sistema che possiamo chiamare regole, ordine internazionale, ordine liberale, occidente, impegno per i diritti umani, per la democrazia, comunque vogliamo chiamarlo, è stato creato e guidato fin qui dagli americani. Era il loro sistema di cui noi facevamo parte e adesso gradualmente sta venendo giù”. Per due ragioni, ci dice Kribbe: “Gli Stati Uniti non capiscono più perché debbano sostenere i costi e il fardello di questo sistema, la seconda ragione è l’arrivo della Cina . Quando l’occidente è stato messo su, la Cina era ininfluente e povera”. Questo ordine, che eravamo abituati a vedere tutelato da Washington, è come un vestito vecchio, non ci copre più, “che venga eletto Trump, Biden o il Papa, queste cose non cambieranno, sta agli europei iniziare ad affrontare il problema tenendo presente due cose: che questo processo non si affronta da soli, si fa insieme tra stati membri; e che ci vorrà del tempo, non si fa in giorno”. In media, secondo Kribbe, ci vorranno vent’anni, se l’Unione è sotto pressione ce ne vorranno forse dieci, se ci si abbandona a un senso fittizio di sicurezza anche trenta. L’Ue però deve fare i conti con la sua idea del potere, e soprattutto: da arbitro deve diventare un giocatore. “L’Europa si comporta da arbitro per ragioni storiche, dalla Seconda guerra mondiale il potere viene spesso visto come qualcosa di brutto, sbagliato, non necessario. I fondatori dell’Ue e anche le generazioni successive, hanno sempre pensato che tutto il mondo sarebbe diventato simile all’Unione, ma non è andata così”. L’Ue è un arbitro circondato da giocatori: “Per diventare giocatore anche lei deve dotarsi ancora di molte cose pratiche ma c’è bisogno di un cambio di mentalità”. 

 


Hans Kribbe, politologo e consigliere, ci dice che l’Ue deve cambiare mentalità, “smettere di essere arbitro e iniziare a fare il giocatore”



 

Per chi tifano i paesi europei. Secondo un sondaggio condotto da YouGov in sette paesi europei – Danimarca, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito – la maggior parte delle persone spera che sarà Joe Biden a vincere le elezioni. Certo, nel sondaggio c’è anche Londra che non è più Unione europea, e mancano altri ventuno dei paesi membri, ma da questa fotografia viene fuori che Trump non è stato un presidente molto amato. La Danimarca è il paese che più fa il tifo per Biden, l’80 per cento dei danesi, mentre i livelli più alti di sostegno per l’attuale presidente sono tra gli italiani, il 20 per cento. Anche nel Regno Unito, diviso dalla Brexit, che forse si farà con un accordo, e dalla politica populista, Biden  gode  un sostegno superiore. Per il resto, a livello istituzionale, c’è chi ha lasciato trasparire senza troppi veli le proprie simpatie per Biden, come Merkel e Macron, c’è chi è equidistante, come l’Italia o anche la Polonia, storica alleata degli Stati Uniti ma con un governo nazionalista che ha corteggiato moltissimo Trump, e poi c’è l’Ungheria. Viktor Orbán è l’unico  ad aver apertamente fatto il suo endorsement per uno dei due candidati, ovviamente per Trump. “Facciamo il tifo per la vittoria di Donald Trump, perché conosciamo bene la diplomazia dei governi democratici americani, costruita sull’imperialismo morale. Siamo stati costretti a provarlo prima, non ci è piaciuto”.

 

Il team di Biden per l’Europa. Il team informale di politica estera del candidato Biden è composto da circa duemila persone organizzate in una ventina di gruppi che si occupano dei diversi dossier, dalla difesa all’intelligence alla diplomazia alla sicurezza interna ed esterna. La rivista Foreign Policy ha analizzato questo gruppo di lavoro – ha visto le liste e l’organigramma – e ha scritto che il team Europa è composto da più di cento persone che fanno capo a tre persone che avevano lavorato nell’Amministrazione Obama: Julie Smith, Michael Carpenter e Spencer Boyer (l’ex presidente Barack Obama, amatissimo in Europa, aveva detto che gli europei erano dei “free rider”, degli scrocconi, quando si trattava di Nato e di difesa). Il team Europa di Biden fa capo a un gruppo ristretto di persone che dovrebbe costituire poi  il brain trust della politica estera di Biden se dovesse essere presidente. Una di queste persone è Anthony Blinken, un altro obamiano,   che qualche tempo fa ha detto: “Dobbiamo mettere fine alla guerra commerciale artificiale che l’Amministrazione Trump ha iniziato” con l’Ue, perché “sta avvelenando le relazioni economiche, sta costando posti di lavoro e sta aumentando i costi per i consumatori”. Se lo sfilacciamento delle relazioni tra America ed Europa è cominciato prima di Trump, Blinken ha sottolineato che è l’approccio generale che deve cambiare: “Dobbiamo impegnarci nella costruzione dei rapporti con l’Ue, engaging the European Union invece che consigliare ai paesi membri di uscirne e trattarla come fosse un nemico”.
 


L’Ungheria è l’unico paese che spera nella vittoria di Trump contro “l’imperialismo morale” dei diplomatici democratici



Il trattamento Trump ha scosso l’Europa, come quegli amori complicati che ti lasciano ogni giorno a pensare se è meglio finirla o insistere. Finirla con l’America è impossibile, nessuno ne uscirebbe bene, ma forse nella sua insistenza l’Europa ha scoperto di essere più forte di quanto pensasse. For the better, come dicono loro.