la vetrina dell'occupazione

La vita russificata di Mariupol costruita su morte e distruzione

Dalle macerie del teatro bombardato ai palinsesti culturali del Cremlino. Mosca trasforma la città industriale sul Mare di Azov da simbolo della sua furia contro l'Ucraina in una cartolina propagandistica. Dietro la ricostruzione, restano i morti, i prigionieri, gli espropri e una memoria negata

Nella foto in alto, il teatro di Mariupol dopo il bombardamento (GettyImages). Sotto, dopo gli annunci sulla restaurazione (LaPresse).

  

   

Il 16 marzo del 2022 circa mille civili erano rifugiati nel teatro drammatico di Mariupol, nella regione ucraina di Donetsk. Avevano perso tutto e nei primi giorni dell’assedio, nel teatro era stato allestito un centro di soccorso, con provviste, acqua potabile, postazioni in cui ricaricare i telefoni nel mezzo di una città presa di mira dai russi da terra, dal cielo e dal mare. Affinché fosse chiaro in cosa fosse stato trasformato il teatro, chi ci fosse all’interno, sul piazzale antistante era stata fatta una scritta visibile dal cielo: deti, bambini. Il 16 marzo, il teatro ospitava circa mille persone, venne colpito dall’esercito russo che scaricò la responsabilità sugli ucraini: le vittime furono seicento, fra morti e feriti. L’agenzia Associated press realizzò un’inchiesta su cosa era avvenuto nel teatro, i giornalisti studiarono le immagini satellitari, intervistarono i superstiti e giunsero alla conclusione che nella struttura non c’erano né soldati né armi.

 

Mariupol dai primi giorni dell’invasione totale è diventata una città simbolo. Simbolo della furia russa, che per prenderla scaricò contro la città industriale sul Mare di Azov tutta la sua forza. E simbolo della resistenza dell’Ucraina: dentro alle acciaierie Azovstal, nel porto affacciato sul Mare di Azov, la difesa andò avanti per quasi tre mesi con l’unico scopo di bloccare l'esercito russo e rallentare l’avanzata verso altre città dell’Ucraina. Nel 2014 a Mariupol i sedicenti separatisti filorussi vennero ricacciati indietro, nel 2022, la città divenne il centro del sacrificio che ha riscritto la storia dell’invasione e ancora oggi testimonia il prezzo della difesa di Kyiv: ci sono prigionieri di guerra ancora detenuti nei campi russi, accusati di terrorismo, molti sono membri della brigata Azov. Contro di loro Mosca vuole portare avanti il processo esemplare.

 

Oggi Mariupol è il simbolo dell’occupazione russa, è diventata un progetto, la vetrina del mondo importato dal Cremlino. La scorsa settimana le autorità dell’occupazione della regione di Donetsk hanno annunciato che il teatro drammatico è stato riaperto. L’edificio distrutto è stato ricostruito, c’è un programma per gli spettacoli e per gli eventi, dentro al teatro lavorano anche alcuni degli attori che facevano parte della compagnia prima dell’invasione. Altri invece hanno lasciato la città e portano in giro per l’Europa un’opera dedicata ai giorni in cui la fine di Mariupol è iniziata. Per Mosca il punto è invece fare della città il biglietto da visita del futuro dell’occupazione. Sotto le immagini della propaganda che mostrano la ricostruzione, si nasconde non soltanto la storia delle morti, dei civili costretti a vivere nelle cantine per settimane e ridotti alla fame, senza medicinali, ma c’è anche la storia degli espropri, di cittadini privati di tutto per compiacere il progetto del Cremlino. Mosca riscrive la storia, lo scintillio della nuova Mariupol è la testimonianza del progetto per cancellare l’Ucraina. A Mar-a-Lago, Trump ha detto a Zelensky che Putin vuole che l’Ucraina abbia successo. Mariupol è la cartolina di questo successo: massacrata dalle bombe, distrutta, occupata, oggi ricostruita con la violenza e annessa illegalmente alla Russia.

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