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Le prove di Washington
Ex funzionari della sicurezza ci spiegano perché il muro negoziale di Putin non è cambiato dal 2022
L'invasione russa dell'Ucraina non ha mai riguardato la Nato perché Kyiv non era su nessun progetto di adesione all'Alleanza Atlantica quando i carri armati dello zar entrarono nel suo territorio. La guerra riguardava un'altra cosa: se all’Ucraina sarebbe stato permesso di esistere come stato indipendente
Washington. L’affermazione: la guerra della Russia contro l’Ucraina è stata causata dalla Nato è sopravvissuta a ogni fatto – e non sono pochi – che la contraddice. L’Ucraina aveva ufficialmente abbandonato i piani di adesione all’Alleanza atlantica quando la Russia aveva fatto la sua prima invasione, nel 2014. L’Ucraina non era su nessun percorso, via, progetto di adesione alla Nato quando i carri armati russi si erano diretti verso Kyiv nel febbraio del 2022. E anzi aveva offerto la propria neutralità quando i primi carri armati entrarono nel territorio ucraino. Ma nulla di tutto ciò riuscì a fermare la guerra.
Eppure questa affermazione – la guerra di Vladimir Putin è stata causata dalla Nato – continua a riemergere. In una registrazione circolata online di recente, Amanda Sloat, una funzionaria del Consiglio per la sicurezza nazionale del presidente Joe Biden, dice che la neutralità ucraina avrebbe potuto prevenire l’invasione, o fermare i combattimenti durante i negoziati nella primavera del 2022 ed evitare “la distruzione e la perdita di vite umane”. Il video è stato subito accolto e rilanciato da chi da tempo è incline a trattare la guerra della Russia contro l’Ucraina come una reazione alla politica occidentale invece che per quel che è: una scelta. Tuttavia, altri funzionari dell’Amministrazione Biden coinvolti nelle discussioni del 2022 affermano che la premessa è sbagliata: la guerra non ha mai riguardato la Nato.
Riguardava un’altra cosa: se all’Ucraina sarebbe stato permesso di esistere come stato indipendente. “Non è vero, Putin avrebbe invaso comunque”, dice al Foglio un ex alto funzionario del Consiglio per la sicurezza nazionale a condizione di anonimato considerando la sensibilità del tema. Un altro ex collega di Sloat spiega che “Putin voleva essere Pietro il Grande e conquistare l’Ucraina: è piuttosto semplice”.
Per l’Ucraina, l’adesione alla Nato non era una prospettiva reale da anni. Dopo il vertice dell’Alleanza a Bucarest, nel 2008, gli alleati europei bloccarono la spinta guidata dagli Stati Uniti per un “Piano d’azione per l’adesione dell’Ucraina”, formulando invece una vaga promessa di un accesso futuro. Kyiv fu lasciata in una zona grigia. L’Ucraina tentò poi di attuare proprio la politica che i suoi critici ora prescrivono: sotto il presidente Viktor Yanukovych, che Mosca considerava il suo uomo a Kyiv, l’Ucraina abbracciò costituzionalmente la neutralità, escluse formalmente l’adesione alla Nato ed estese l’accesso della Russia alle basi militari in Crimea. Ma queste concessioni non furono soddisfacenti per Mosca. Quando Kyiv si preparò a firmare un accordo di libero scambio e di associazione con l’Unione europea, Mosca intervenne. Fece una pesante pressione su Yanukovych perché uscisse dall’accordo. Seguirono proteste di massa e Yanukovych, dopo aver aperto il fuoco contro i manifestanti, uccidendone più di cento, dovette fuggire dal paese. La Russia si mosse quindi rapidamente: annesse la Crimea e lanciò una guerra nell’Ucraina orientale. La neutralità non impedì affatto il conflitto, ma limitò le opzioni dell’Ucraina lasciando la Russia libera da vincoli.
La Nato è un problema per Mosca solo nella misura in cui potrebbe un giorno garantire la sicurezza dell’Ucraina e limitare la libertà della Russia di attaccarla. Se la guerra in corso fosse stata veramente sull’adesione all’Alleanza, avrebbe dovuto finire quasi subito. L’Ucraina segnalò la sua flessibilità riguardo alla Nato pochi giorni dopo l’invasione su larga scala. Il 28 febbraio, una delegazione ucraina guidata da David Arakhamia incontrò i negoziatori russi in Bielorussia. I colloqui continuarono per diverse settimane. Le richieste della Russia ai colloqui andarono molto oltre, fino al cuore della sovranità ucraina. Includevano concessioni territoriali, limiti alle forze armate ucraine e vincoli che avrebbero lasciato il paese incapace di difendersi. Le garanzie di sicurezza proposte erano o vaghe o strutturate in modo che Mosca potesse bloccarle attraverso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o con accordi di voto che coinvolgevano alleati della Russia come la Bielorussia. Questi colloqui sono ora spesso descritti come un’occasione persa per la pace: non lo furono.
“C’era un divario molto più grande di quanto sia stato poi riconosciuto”, dice un ex funzionario statunitense coinvolto nelle discussioni. Alla fine di marzo, la Russia non era riuscita a prendere Kyiv e iniziò a ritirare le sue forze dalle periferie della città. La scoperta dei cadaveri che riempivano le strade di Bucha e Irpin inasprì l’opinione pubblica, mentre il miglioramento della posizione dell’Ucraina sul campo di battaglia ridusse la volontà di fare concessioni – e i colloqui di Istanbul finirono. Negli anni seguenti, in diversi momenti, i funzionari statunitensi testarono la possibilità di riavviare i colloqui con Mosca. I russi, dicono, inviavano sporadicamente “segnali su canali secondari”, suggerendo una disponibilità al compromesso, ma quei segnali non sembravano provenire dal Cremlino. In diverse occasioni, dice l’ex funzionario, alti americani chiesero direttamente alle loro controparti russe – il direttore della Cia, William Burns, a Sergei Naryshkin, direttore del Servizio di intelligence russo; il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan a Yuri Ushakov, consigliere di Putin – se la Russia volesse negoziare. “E i russi dissero: be’, no” – dice l’ex funzionario – Non abbiamo niente da dire”.
La riluttanza di Mosca al dialogo si è rafforzata nel corso della guerra. La controffensiva del 2023 non riuscì a produrre una svolta, gli aiuti militari statunitensi rimasero impantanati nei ritardi del Congresso, la Russia si riorganizzò e, nonostante le pesanti perdite, ottenne guadagni incrementali in parti della regione di Donetsk. Gli attacchi missilistici e con droni hanno logorato la popolazione ucraina e la determinazione occidentale ha iniziato a incrinarsi. Di fatto, il tempo ha iniziato a lavorare a favore della Russia.
Ecco perché i recenti tentativi di dialogo guidati dagli Stati Uniti si sono scontrati contro lo stesso muro, notano gli osservatori. “Trump si è seduto, ha parlato con loro, e ha dato – subito – un accordo davvero buono”, dice l’ex funzionario. I russi “non sono interessati”. Mosca sa che più la guerra si trascina, più pressione mette sulla società ucraina e sui governi occidentali che continuano a sostenerla. Dal punto di vista della Russia, questo di per sé è già un’arma potente. “C’è potenzialmente una strada per portare i russi a un accordo, che è convincerli che non possono fare progressi nella guerra, che pagheranno un prezzo molto alto e che questo non cambierà”, dice Tom Wright della Brookings Institution. Questo approccio si basa sul tempo e sulla pressione, ma presuppone anche che l'Ucraina possa resistere a entrambi più a lungo della Russia. I funzionari ucraini riconoscono in privato il vincolo che questo crea. La neutralità è fallita già due volte, quindi ciò che può prevenire la prossima guerra sono solide garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti o da altri alleati. Eppure c’è poco appetito a Washington o in Europa per fornirle, riecheggiando le stesse esitazioni che plasmarono la politica nel 2008.
Di fronte alla realtà, alcuni in Ucraina dicono che una pausa potrebbe essere necessaria, anche al costo di un cattivo accordo, non perché produrrebbe una pace duratura, ma per guadagnare tempo per riposare, riarmarsi e recuperare. “Sì, potrebbe esserci un’altra guerra tra cinque anni”, dice un alto funzionario ucraino a condizione di anonimato. “Ma abbiamo bisogno di quei cinque anni”. La Russia però ha poche ragioni per concederli.
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