L'inverno di guerra

Né colloqui né tregue di Natale. Mosca è ferma alle bombe contro Kyiv

Micol Flammini

Zelensky riceve il piano in venti punti, rimangono alcuni ostacoli e si attende la risposta (prevedibile) del Cremlino

Non ci sarà nessuna tregua di Natale. Non ci sarà tanto meno  un accordo di Natale. La guerra della Russia contro l’Ucraina procede come sempre, senza una pausa  per le festività: continua e  forte delle pressioni che gli Stati Uniti esercitano soltanto su Kyiv. Nella notte fra lunedì e martedì, l’esercito russo ha lanciato un attacco combinato di missili e droni. Sono state colpite tredici regioni, anche quella di Kyiv, la maggior parte lontane dal fronte. L’obiettivo erano le centrali energetiche. Dopo quasi quattro anni di guerra, Mosca continua a puntare  alla tortura del buio e del freddo contro la popolazione civile. Durante l’attacco sono morte almeno tre persone: i droni e i missili dell’esercito russo non sono mai precisi, colpiscono aree residenziali prive di obiettivi militari  e più si è vicini al confine più il tempo per mettersi al riparo nel bel mezzo della notte si restringe. Mentre gli Stati Uniti parlano di negoziati, Mosca ha già stabilito che non intende cambiare piani per l’inverno: vuole continuare a martellare l’Ucraina, portare i civili al punto di rottura.  

 


E’ il tentativo  di usare come arma la stanchezza di una popolazione, che invece è sempre  in grado di ricompattarsi attorno al presidente ucraino Volodymyr Zelensky.  Sono quasi quattro anni che Mosca cerca di usare questa strada e ha sempre fallito.  Ieri Zelensky ha accolto i suoi negoziatori, l’ex ministro della Difesa Rustem Umerov e il generale Andrii Hnatov, tornati dai colloqui a Miami con l’ultima revisione sul piano in venti punti che rappresenta la via ucraina per la pace. A Miami, nel golf club di Steve Witkoff, diventato ormai il centro della diplomazia dell’Amministrazione Trump, erano presenti anche alcuni consiglieri per la sicurezza nazionale europei. Dopo l’incontro con gli ucraini, Witkoff ha accolto Kirill Dmitriev, il capo del Fondo russo per gli investimenti all’estero, il suo doppio: come Trump ha scelto l’immobiliarista  per rivoluzionare gli schemi della sua diplomazia, i russi hanno scelto di affiancargli qualcuno di simile, che potesse intendersi con Witkoff, ma senza avere nessun mandato negoziale. A Miami sono stati prodotti tre documenti, Umerov e Hnatov li hanno mostrati ieri al presidente ucraino. Il primo documento riguarda le garanzie di sicurezza, il secondo la ricostruzione, il terzo una cornice che dovrebbe portare alla fine della guerra. Nel terzo documento sono contenute le questioni più difficili: territori e uso della centrale di Enerhodar, la centrale nucleare che si trova nella parte occupata della regione di Zaporizhzhia.

 

Sui territori la posizione ucraina non cambia: il Donetsk che l’esercito del Cremlino non ha conquistato non si cede. Mosca pretende l’intera regione di Donetsk, per vantare la conquista dell’intero Donbas e lanciare una futura invasione senza avere davanti la difesa delle cinque città fortezza (Sloviansk, Kramatorsk, Druzhkivka, Kostyantynivka e Pokrovsk). Gli americani hanno proposto la creazione di una zona cuscinetto, nella parte del Donetsk che Mosca non controlla, quindi dovrebbero essere gli ucraini a ritirarsi, lasciando alla Russia lo spazio fino alla linea del fronte. Zelensky, che prima di firmare qualsiasi accordo rimane fermo nell’impegno di farlo votare agli ucraini,  non è disposto ad accettare la creazione di una zona demilitarizzata nel territorio ucraino, anche perché non ci sono proposte, fino a questo momento, che la zona cuscinetto si estenda anche nella parte di territorio che i russi occupano. Gli americani sanno che il Cremlino non accetterebbe di ritirarsi. 

 

Il presidente americano, Donald Trump, ha ritrattato la sua scadenza di Natale per ottenere un accordo. Ora tocca a Mosca rispondere e Witkoff ha parlato con Dmitriev e ha incontrato Putin talmente tante volte da conoscere a memoria le pretese del Cremlino. I colloqui andranno avanti, ma senza una pressione seria sulla Russia, ogni round di colloqui sarà uguale al precedente: proposte, bombe sull’Ucraina, “no” di Mosca a qualsiasi compromesso.

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)