Gli occhi e le mani di Kyiv a Mosca
E’ dal 2014 che la Russia non riesce a fermare agenti e partigiani che agiscono sul suo territorio o nei territori ucraini occupati. L'attacco contro il generale Sarvarov e la lista di omicidi mirati e sabotaggi
La Russia è percorsa da reti di sabotatori molto determinati, disinvolti, devoti alla causa di Kyiv. Le operazioni nel territorio russo sono capillari e precise: oggi, quando il generale Fanil Sarvarov è uscito alle sette del mattino dalla sua abitazione in uno dei quartieri meridionali di Mosca, una bomba collegata al freno della sua automobile, una Kia Sorrento, è esplosa crivellando di schegge il corpo del militare. Non è un caso isolato, di omicidi mirati simili inizia a essere sempre più densa la storia della guerra fra Russia e Ucraina. Gli ucraini sono riusciti a colpire militari e propagandisti dentro ai territori occupati e all’interno del territorio russo. Sarvarov è l’ultimo, dopo una serie di eliminazioni di cui la morte di Daria Dugina, nel 2022, fu l’episodio che rese più esplicita la vulnerabilità di Mosca e l’incapacità del regime di controllare i movimenti di una rete di partigiani costituita, con ogni probabilità, non unicamente da ucraini.
Daria Dugina, figlia del propagandista Alexander Dugin, fu la prima vittima illustre, il suo fu un funerale pubblico, il primo episodio della guerra trasferita ormai dentro al territorio di Mosca, il primo sospetto di un’organizzazione di spie e di partigiani, di agenti e di scontenti, capace di muoversi liberamente per la Russia, segnalare a Kyiv luoghi di interesse da colpire e agire contro ingranaggi della macchina della guerra russa. Sarvarov era a capo della Direzione di addestramento dello stato maggiore, aveva cinquantasei anni, aveva combattuto in Cecenia, in Ossezia del nord e in Siria e a oggi è il terzo generale eliminato nella regione di Mosca, dopo Igor Kirillov e Yaroslav Moskalik. La Russia ha già accusato l’Ucraina e in passato i servizi segreti di Kyiv si sono assunti la responsabilità di aver organizzato alcuni dei precedenti attacchi. I media russi di regime si sono subito mossi per spiegare come mai gli ucraini riescono a colpire anche nella capitale. Sulla Komsomolskaya Pravda, la spiegazione è stata affidata al colonnello Viktor Baranets, il quale ha scritto che i generali vivevano in palazzi normali, parcheggiavano in parcheggi per tutti i condomini, ma il nemico “si muove come uno sciacallo”, e contro Sarvarov nutriva “un rancore speciale”: il generale era responsabile dell’addestramento, quindi del “centro nevralgico del nostro esercito”.
E’ impossibile stabilire quanto sia vasta la rete di agenti ucraini in Russia, come è impossibile definire l’estensione della squadra di agenti israeliani nella Repubblica islamica dell’Iran – i servizi di Kyiv (Sbu e Hur) non hanno mai nascosto di ispirarsi al Mossad e ne sono diventati degli emuli abili e creativi – ma le operazioni ucraine mostrano almeno un dettaglio: la Russia non era preparata. Proprio come Teheran nel giugno scorso non è stata capace di prevenire l’attacco di Israele, nonostante gli agenti israeliani avessero acquisito la capacità di fabbricare droni in Iran, Mosca è cieca di fronte alle operazioni degli ucraini che sei mesi fa hanno trasportato per le strade russe droni a bordo di furgoni per colpire alcuni dei bombardieri negli aeroporti militari.
Anche la guerra alle raffinerie, ai depositi di armi o di carburante ha bisogno di intelligence sul territorio. Se non si tratta di agenti, sono gruppi partigiani. La morte del generale a Mosca ha coperto la storia di un sabotaggio nella regione di Rostov, che confina con l’Ucraina. Un gruppo chiamato Atesh ha rivendicato l’incendio di uno snodo ferroviario a Bataisk. Lo snodo è molto importante: è vicino alla città principale della regione, Rostov, e viene usato per rifornire le truppe che si trovano nelle zone occupate di Dontesk, Kherson, Zaporizhzhia e in Crimea, dove il gruppo è nato. Atesh vuol dire “fuoco” nella lingua dei tatari, le sue prime operazioni, fondamentali per l’esercito ucraino, sono state compiute nella penisola occupata dal 2014. Atesh all’inizio forniva indicazioni sulla posizione di basi militari – una volta un ufficiale ucraino ammise che Kyiv per colpire aveva bisogno di occhi in Crimea: “Non possiamo tirare a caso, come fanno i russi contro di noi” – il gruppo poi ha iniziato a passare all’azione, a crescere, a comprendere fra i suoi partigiani non soltanto tatari e proprio per la sua lunga esperienza ha poi esteso la sua attività anche alle altre regioni occupate, fino ad arrivare dentro al territorio di Mosca. Chi fa parte del gruppo è contrassegnato da un numero: niente nomi, né reali né in codice. L’esistenza di una resistenza ucraina dentro ai territori occupati è un problema anche di immagine per la Russia, che parla di liberazione e non di occupazione quindi non può ammettere di essere avversata dalla popolazione locale. I gruppi partigiani sono quindi definiti un’invenzione della propaganda di Kyiv, ma Atesh agisce ed è talmente temuto che non poteva neppure essere derubricato come un artificio propagandistico: il suo nome infatti è inserito nella lista delle organizzazioni che il Cremlino definisce terroristiche.
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