La colonna di camion carico di uranio parcheggiata alla Base 101 di Niamey
Esclusiva
Ecco la rotta aerea con cui la Russia trasporta l'uranio dal Niger, via Libia e Siria
A bordo di un Antonov, da Niamey a Mosca, il lungo viaggio dello yellowcake estratto ad Arlit e comprato dalla Rosatom. Gli scali in Libia e Siria e il diversivo della nave cargo in attesa a Lomé
La Russia ha cominciato a spostare mille tonnellate di uranio con un ponte aereo dal Niger e facendo scali in Libia e in Siria, come dimostrato da immagini satellitari e testimonianze raccolte dal Foglio. La destinazione finale della materia prima estratta dal paese africano non è certa, ma essendo stata acquistata dalla Rosatom, considerata un braccio economico delle forze di occupazione russe in Ucraina, è possibile che parte del carico possa essere diretta alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, controllata proprio dalla compagnia russa. L’acquisto dell’uranio da parte della Russia è contestato dalla Orano, la compagnia francese che tuttora, giuridicamente, controlla il giacimento di Arlit. Soprattutto, l’intera vicenda ricostruita dal Foglio dimostra come la Russia sia in grado di usare le sue basi militari in Libia e Siria come teste di ponte per i suoi traffici nel Sahel e alimentare la sua guerra in Ucraina.
Per settimane almeno un velivolo, un Antonov An-124 con codice di registrazione RA-82037, ha fatto la spola tra Mosca e Niamey, capitale del Niger, rendendosi invisibile, ovvero spegnendo il transponder, il dispositivo satellitare che permette di tracciare la rotta. Anche con il dispositivo disattivato, i radar continuano però a seguire gli aerei e, secondo quanto riferito da fonti di intelligence, di recente il cargo avrebbe fatto scalo almeno nove volte a Niamey, dove la giunta golpista salita al potere due anni fa è apertamente filorussa. L’oggetto del carico è un enorme quantitativo di yellowcake, come è chiamato l’uranio quando è in uno stadio intermedio prima di essere definitivamente convertito per i processi nucleari. La gran parte dello spostamento dell’uranio avviene proprio quando è ancora in questo stadio perché il trasporto è più semplice e meno costoso. Il materiale viene infilato in bidoni che possono arrivare a contenere ciascuno 400 chili di yellowcake, che è altamente tossico e con certo livello di radioattività, seppur ridotto. Per questo, il suo trasporto necessita di particolari cure e di un’autorizzazione speciale da parte dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Un’autorizzazione ovviamente mai richiesta, né concessa, dall’Agenzia dell’Onu.
L’uranio in questione è stato estratto nella miniera di Somair, ad Arlit, nel nord del Niger. Dopo avere concluso un accordo commerciale con i russi di Rosatom, la giunta nigerina ha organizzato uno spostamento estremamente pericoloso del carico, al limite del pensabile. Trasportato a bordo di una cinquantina di camion, il convoglio partito alla fine di novembre da Arlit ha attraversato diverse province infestate dai jihadisti della provincia del Sahel dello Stato islamico. I camion appartengono alla compagnia MB Trans di proprietà di un imprenditore nigerino, Mohamed Baye, conosciuto nel paese per la sua capacità di far viaggiare materiali pericolosi attraverso zone rischiose. Le riprese video diffuse sui social mostrano i camion accompagnati da una scorta armata che oltre a includere le forze nigerine annovera anche uomini degli Africa Corps, i mercenari russi.
All’inizio si pensava che il convoglio avrebbe sconfinato in Burkina Faso, per poi attraversare le province controllate dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Jnim), vicino ad al Qaida, e infine entrare in Togo, per poi imbarcare l’uranio al porto di Lomé, nel Golfo di Guinea. L’attenzione generale era tutta sulla Matros Shevchenko, una nave che batte bandiera russa e che è considerata adatta a trasportare l’uranio fino in Russia. La nave dal 2022 è considerata in gergo una “nave di interesse”, ovvero è sospettata di essere coinvolta in traffici illeciti. In particolare, il cargo era stato impiegato nel furto di grano ucraino attraverso il Mar Nero. La sua presenza ormeggiata al porto di Lomé a partire dal 1° dicembre la rendeva il mezzo perfetto per trasportare l’uranio nigerino.
Secondo quanto risulta al Foglio, la Matros Shevchenko è però uno specchietto per le allodole. “E’ un tranello. Sono molto più furbi di quanto si pensi”, dice la fonte che preferisce restare anonima data la sensibilità dell’argomento. Mentre tutti erano concentrati su Lomé, il carico di uranio ha seguito una via molto diversa per raggiungere la Russia, per via aerea. La sera del 3 dicembre, i camion sono arrivati alla Base 101 di Niamey, quella adiacente all’aeroporto e nota per ospitare un contingente degli Africa Corps russi. Secondo l’analista nigerino Hamid Amadou N’gadé, il convoglio arrivato a Niamey era composto da 53 camion provenienti da Arlit, più altri 20, sempre carichi di uranio, anche quelli venduti ai russi da Ibrahim Saley, noto come Saley Boss, o solamente come Boss. Si tratta di un tuareg che è passato dal traffico di droga al settore dell’estrazione dei minerali, in particolare dell’oro, non appena sono stati trovati dei ricchi giacimenti a Tchibarakaten, ad Agadez.
Dopo l’arrivo del carico alla Base 101 del 3 dicembre, la prima immagine libera da nuvole messa a disposizione dal sistema satellitare Copernicus è dell’8 dicembre. Un buco temporale in cui il carico sembra sia diminuito perché le immagini mostrano solo 34 camion parcheggiati uno affianco all’altro a partire da quel giorno. Coincidenza, proprio l’8 dicembre la nave Matros Shevchenko inspiegabilmente salpa da Lomé senza caricare nulla e da allora è all’ancora al largo del porto. Sulle prime, la tappa prolungata dei camion a Niamey e l’allontanamento della nave cargo avevano fatto pensare a un intoppo, a un problema logistico, se non a un semplice ritardo che avrebbe costretto la nave cargo ad abbandonare il molo prenotato per continuare l’attesa dei camion al largo.
In realtà, per capire cosa sia successo all’uranio occorre guardare un’altra immagine, quella di un tracciato aereo. Il 4 dicembre, l’An-124 RA-82037, noto come “Condor” nella terminologia Nato, è tracciato nei cieli della Turchia. L’aereo appartiene alla 224esima Unità di volo, che dipende direttamente dal ministero della Difesa russo e si occupa del trasporto di grandi mezzi militari. E’ sottoposta a sanzioni da Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti ma è ampiamente attiva tra la Russia, l’Africa, il medio oriente e l’Asia.
L’Antonov fa scalo in Siria la notte del 4 dicembre, alla base russa di Hmeimim, a Latakia, e dopo tre ore decolla di nuovo dirigendosi verso la Libia. Il transponder si spegne, come spesso fanno i russi per questi aerei di trasporto di grandi dimensioni, ma la rotta indica che il velivolo è atterrato nei pressi di Bengasi, alla base aerea russa di al Khadim, per l’esattezza. Le immagini satellitari mostrano l’An-124 sulla pista dell’aeroporto libico (nella foto in basso).
Non si ha contezza di spostamenti nei giorni immediatamente successivi, ma il 7 dicembre l’RA-82037 riappare brevemente con il transponder acceso mentre sorvola il Burkina Faso, a poche centinaia di chilometri a ovest di Niamey, probabilmente in direzione di Bamako, in Mali. Il giorno successivo, anche in questo caso per brevi tratti, il ricevitore satellitare del velivolo lo mostra di nuovo sul Burkina Faso, di ritorno. Sempre l’8 dicembre, l’Antonov ha fatto di nuovo rotta dalla Libia al Burkina Faso. E ancora, altre immagini satellitari mostrano il mezzo alla base libica il 10 dicembre. “A essere inusuale non è la rotta, perché questi scali tra Mosca e Bamako sono frequenti, sebbene nascosti dal transponder spento. Quello che è anomalo è la frenesia di questi voli, che è insolita”, spiega un esperto di Osint che da tempo segue i voli degli Antonov russi in Sahel. Le fonti di intelligence sentite dal Foglio dicono che durante gli enormi buchi neri lasciati lungo la sua rotta, fra il Mali e la Libia, l’aereo ha fatto scalo a Niamey per caricare l’uranio, a più riprese. Ogni volta, dopo lo scalo libico, l’aereo si è fermato per fare rifornimento anche a Latakia, in Siria, e ha continuato la sua rotta verso la Russia. “Questi aerei hanno un’autonomia di massimo 5 mila chilometri, quindi deve fare scalo diverse volte per viaggi così lunghi tra la Russia e il Sahel. Ma non sappiamo se l’uranio sia stato scaricato in giro durante queste tappe o se invece sia stato trasportato tutto in Russia”, dice la fonte. Non è detto che l’intero carico di uranio a Niamey sia destinato a partire per via aerea e non si esclude che parte del convoglio possa proseguire il tragitto verso il Togo. Ieri mattina, la Matros Shevchenko ha finalmente attraccato di nuovo a Lomé. Il perché rimane un mistero.
Quel che invece è certo è che i russi stanno portando a termine una transazione molto preziosa conclusa il mese scorso con il governo nigerino, uno dei principali produttori di uranio al mondo. La miniera di Somaïr è controllata, in teoria, dalla Société des mines de l’Aïr, posseduta al 63,4 per cento dalla francese Orano e al 36,6 per cento dallo stato del Niger. A giugno, dopo avere nazionalizzato il settore estrattivo sottraendolo ai francesi, la giunta golpista aveva avviato delle trattative per vendere il materiale alla Cina o all’Iran. Alla fine, i russi della Rosatom si sono aggiudicati l’affare. La Francia però contesta la vendita e rivendica il controllo delle miniere in Niger. Ieri, la procura di Parigi ha detto all’Agenzia France Press di avere aperto un’inchiesta per furto organizzato al servizio degli interessi di una potenza straniera, ovvero la Russia. Già a settembre, un arbitrato internazionale aveva dato ragione ai francesi e aveva confermato che la proprietà dell’uranio è loro, non dei nigerini che hanno proceduto ugualmente alla vendita del materiale rivendicando “il legittimo diritto del Niger a disporre delle sue risorse naturali, a venderle a chiunque voglia acquistarle, secondo le regole del mercato, in completa indipendenza”. Oltre alla pericolosità del carico, preoccupa come Mosca sia in grado di portare avanti traffici così complessi a distanze così grandi. Il controllo di basi aeree a distanze ponderate e non casuali, come quelle di al Khadim o Hmeimim, è un grosso motivo di preoccupazione anche per l’Europa, che si trova a fare da dirimpettaia a un paese come la Libia, che oltre a essere la via d’accesso verso una regione ormai contesa tra golpisti filorussi e jihadisti, è anche il cortile di casa nostra. Al momento, occupato dai russi per i loro traffici di armi, uomini e ora, anche dell’uranio.