Il fronte unito
La propaganda cinese è più subdola di quella russa, ma non meno efficace
Due eventi gemelli, a Mosca e a Roma, spiegano gli sforzi di Pechino per manipolare l'informazione nel mondo
Ieri a Pechino si è chiuso un importante forum di cooperazione fra Cina e Russia nel settore dei media. Nelle stesse ore, a Roma, si teneva un simposio per “Capire la Cina contemporanea” per “approfondire la cooperazione tra i media e i think tank dei due paesi”. Mentre il mondo riconosce a fatica – ma qualche volta lo fa – la propaganda e la manipolazione dell’informazione del Cremlino, la leadership cinese continua a lavorare per influenzare, nei limiti delle proprie possibilità, il sistema informativo di mezzo mondo, Italia compresa.
Due eventi gemelli che rappresentano lo sforzo cinese di costruire un ambiente in cui media, accademie e centri studi siano tutto sommato favorevoli alla visione del mondo cinese, senza possibilità di critica. A Pechino, al forum russo-cinese, il discorso conclusivo è stato affidato a Li Shulei, il cui ruolo formale è quello di membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese e direttore del dipartimento della Comunicazione del Comitato centrale, ma che può essere semplificato come il potente capo della propaganda della leadership cinese. Li è l’uomo che stringe collaborazioni, promuove gli accordi con i media stranieri, con le case editrici, e disegna il mondo secondo la visione del suo leader Xi Jinping. Media russi e cinesi sono già sufficientemente allineati, ma Li ha esortato i media “a compiere maggiori sforzi” per “rafforzare ulteriormente la cooperazione e gli scambi per sostenere la crescita costante dei legami bilaterali”. Già nel 2022 un’inchiesta della Bbc aveva svelato l’allineamento della propaganda cinese a quella russa, per esempio sulla guerra in Ucraina e contro le sanzioni economiche occidentali. Ma l’attivismo cinese su questo fronte è ben visibile da anni anche in Italia: Xinhua nel 2019 aveva firmato un accordo con Ansa, poco dopo stralciato anche a seguito di pressioni politiche. L’agenzia quindi era passata a produrre contenuti per l’agenzia Nova, che secondo quanto risulta al Foglio pochi mesi fa ha chiuso il contratto per ragioni di “opportunità economiche”. Xinhua allora si è rivolta alla Italpress diretta da Gaspare Borsellino. E all’evento di ieri Li Xiaoyong, ambasciatore ad interim della Cina in Italia, ha celebrato l’accordo sostenendo che “è necessario permettere alle informazioni autentiche di superare i confini e consolidare la fiducia reciproca attraverso scambi franchi e sinceri”. Ha parlato di “informazioni autentiche” davanti al presidente della commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, e all’ex ministro della Cultura nonché corrispondente Rai da Parigi, consigliere regionale in Campania Gennaro Sangiuliano, presente a titolo personale.
Sebbene l’influenza cinese sull’ambiente informativo e mediatico italiano sia minore rispetto ad altri paesi – per esempio nel sud globale – non è detto che la penetrazione non aumenti al momento opportuno, e alcuni esempi sono illuminanti. Dall’inizio di novembre Pechino è impegnata in una violenta campagna mediatica contro il Giappone, dopo le parole della premier Sanae Takaichi sulla sicurezza di Taiwan che, in caso di invasione, potrebbe compromettere anche la sicurezza di Tokyo e quindi vedere l’intervento delle Forze di autodifesa giapponesi. Da settimane i media di Pechino sono quotidianamente violentissimi contro il governo giapponese, contro il paese, la sua storia, la sua politica, la sua cultura (perfino la sua musica pop). Come con le fake news sullo sversamento di “acque radioattive” a Fukushima, ora l’accusa propagandata è quella del pericolo militarista giapponese, che anticiperebbe un ritorno nostalgico al Giappone imperiale. Non molti, se non forse in Corea del sud, credono a questa versione cinese, tranne chi deve promuoverla: lo scorso fine settimana, sul blog di Beppe Grillo un tempo Sacro, è apparso un articolo firmato dal docente della China Foreign Affairs University di Pechino Fabio Massimo Parenti, dal titolo: “Il ritorno del fascismo in Giappone: un monito per il mondo”, dove si legge: “Se si continueranno a dimenticare le lezioni della storia e non si svilupperà un sincero fronte antifascista, i drammi del passato potrebbero resuscitare ad una scala incontrollabile, come ci insegnano nell’attualità i casi ucraini, mediorientali ed africani”. La guerra per fermare il presunto fascismo endemico di un paese vicino: l’abbiamo già sentita.
Ci conviene essere maialini coraggiosi