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Carlson, Fuentes e l'agenda sempre più intransigente dell'America First

Andrea Venanzoni

La deriva terzomondista di una parte dell’arcipelago un tempo Maga è figlia degenere di una serie di fattori tra loro cospiranti. Quel che ne risulta è la costruzione di una sorta di rossobrunismo a stelle e strisce

Gli spettri di Tucker Carlson e di Nick Fuentes agitano i sonni della destra americana e increspano le acque del dibattito pubblico e politico statunitense. Tra i due è in corso una sorta di gara accelerata a estremizzare i contenuti proposti, una autentica escalation che regala continuamente pessime sorprese. Alcune settimane fa Carlson e Fuentes si sono anche amichevolmente confrontati: autentico punto di caduta della Heritage Foundation e del suo presidente Kevin Roberts, accusato di non aver voluto prendere le distanze da Carlson per aver dato spazio e voce a un estremista dichiarato come Fuentes. I due comunicatori sembrano aver deciso di seguire un’agenda sempre più intransigente che si sta insinuando nel cuore della società americana, e che è ormai conosciuta come America First.

 

Chi tra i due ne diventerà sovrano incontrastato? L’apparizione di Francesca Albanese nello studio di Carlson ha segnato un punto a favore dell’ex anchorman Fox. La deriva terzomondista di una parte dell’arcipelago un tempo Maga è figlia degenere di una serie di fattori tra loro cospiranti e la sua risultante – specie in questa epoca di viralità dei contenuti – è la costruzione di una sorta di rossobrunismo a stelle e strisce. Con la Albanese ospite, Carlson ha indossato la metaforica corona di una destra che reputa la Russia e l’islamismo radicale amici degli Usa, e Israele un nemico degli interessi statunitensi. D’altronde, poche settimane fa, Carlson aveva dichiarato, serissimo, che Maduro è molto conservatore dal punto di vista dei costumi sociali e che in Venezuela è vietata, come in Cina, l’ideologia gender, attirandosi gli strali di Ben Shapiro e di altri conservatori. Fuentes, dal canto suo, dopo aver lodato anche Stalin e attaccato pesantemente Carlson, si è lanciato in un curioso peana pro Ue, dimostrando tutta la sua imprevedibilità e anche la sua scarsa credibilità in termini sostanziali.

 

In queste folli montagne russe albergano alcuni aspetti in certa misura antichi e legati alle guerre culturali combattute nel ventre della stessa destra americana. William Buckley, della National Review, battagliò negli anni ’60 contro la potente e ultra-complottista John Birch Society, la quale non per caso sta tornando in auge in questi mesi: missione di Buckley, elaborare una destra rispettabile, tenendone fuori simpatizzanti nazisti, nazionalisti cristiani, e anti imperialisti di destra poi sfociati in terzomondisti. Come ricostruisce con acume Laura K. Field nel suo volume “Furious Minds – the Making of the Maga New Right”, alcuni aspetti di quei contrasti sembrano essersi traslati nel cuore del mondo Maga.

 

La presenza della Albanese al cospetto del movimento America First e di Carlson, o di Qatarlson, come lo definiscono spregiativamente altri Maga sospettosi della sua virata terzomondista, sembra estremizzare quella postura anti-neocon di una certa destra che in Israele individuava e individua ancora un bersaglio ideologico preciso. D’altronde nella destra paleo e isolazionista, le accuse di soggezione a Israele non sono mai mancate: si pensi al famigerato discorso di Russell Kirk presso la Heritage nell’ottobre 1988, prolusione nella quale Kirk accusò i neocon di aver scambiato Tel Aviv per la capitale degli Usa. E quando nel cuore della galassia Maga digitale iniziano a prendere corpo parole d’ordine pesantemente revisioniste sul secondo conflitto mondiale, si può ricordare come il tutto non sia certo iniziato con Carlson o Joe Rogan che danno voce a Darryl Cooper, host del podcast di “storia popolare” Martyr Made. Cooper echeggia quanto già Pat Buchanan, eroe ideologico di Kevin Roberts e dell’America First, aveva scritto in “Churchill, Hitler and the Unnecessary War”: il vero villain della seconda guerra mondiale è stato Churchill, non Hitler.

 

A differenza del passato, però, ora i toni sono più esasperati: dalla storia si passa allo storytelling, si registrano polarizzazione da algoritmi e ansia da engagement, e dopo la pandemia complotti e sfiducia sono i endemici. C’è certamente una sorta di perversa “intersezionalità”, come ha notato Rod Dreher parlando di Fuentes. E ci sono anche, come rileva la ricercatrice dell’Hudson Institute Zineb Riboua, autentico terzomondismo e sintesi estrema destra–estrema sinistra. Ma c’è soprattutto grifting digitale; sensazionalismo urticante per attrarre visualizzazioni e denaro. Vi è, però, una devastante esternalità negativa: questi contenuti hanno un impatto reale e tossico sul circuito politico e mediatico.