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Negli Stati Uniti
Il Sabato di Kirk e la faida repubblicana su ebrei e Israele
Il libro postumo dell’attivista conservatore è un grande omaggio alla cultura ebraica, ed già al primo posto nella classifica dei bestseller. Nel frattempo nella destra americana c'è chi spinge per una svolta antisraeliana
L’ultimo libro di Charlie Kirk, “Stop, in the Name of God: Why Honoring the Sabbath Will Transform Your Life”, è uscito martedì e si è già classificato al primo posto nella classifica dei bestseller. Il libro ha venduto più di 60 mila copie soltanto su Amazon in un giorno. Shannon DeVito, direttore di Barnes & Noble, ha detto che la catena di librerie sta vendendo “una tonnellata” di copie. Kirk è stato ucciso alla Utah Valley University il 10 settembre scorso. “Stop, in the Name of God” era già in programma per la pubblicazione al momento della sua morte. Si tratta di un grande omaggio alla cultura ebraica e al Sabato come giorno di riposo sulla scia di Abraham Joshua Heschel. Il libro è accompagnato da una prefazione della vedova, Erika Kirk, in cui racconta che da cinque anni il marito, un fervente cristiano pentecostale, aveva iniziato ad osservare il Sabato come giorno di riposo. Nella destra americana è in corso una guerra culturale fra chi, come Kirk, Mark Levin, Ben Shapiro, Tom Cotton e Ted Cruz, la vuole ancora filosemita e filosraeliana, e chi, come Tucker Carlson e altri, vorrebbero una svolta antisraeliana. Carlson, in questi giorni a Doha alla corte dell’emiro del Qatar, al funerale di Kirk aveva attaccato i “mangiatori di hummus” (riferimento poco velato agli ebrei). Matthew Brooks, a capo della Republican Jewish Coalition, gli ha dato dell’“antisemita”. Si tratta della corrente repubblicana che flirta con Nick Fuentes, il poster boy del neofascismo americano. Alla domanda di Pier Morgan se reputi Hitler “cool”, Fuentes ha risposto “sì”. Due mesi fa il capo della Heritage Foundation, Kevin Roberts, ha preso le difese di Carlson e della sua decisione di intervistare l’antisemita Fuentes.
E non riguarda soltanto il Gop, Kirk, Carlson o Steve Bannon, passato da definirsi “cristiano sionista” a denigrare ossessivamente Israele come uno “stato vassallo”. Dietro c’è anche la battaglia tra Israele e Qatar per conquistare i cuori e le menti degli americani, compresi quelli dei legislatori statunitensi, delle figure chiave nella cerchia del presidente e di voci influenti nei media e nella società americane. Sebbene il Qatar non disponga di un’analoga organizzazione di lobbying come l’American Israel Public Affairs Committee, l’emirato ha compiuto passi avanti non meno incredibili per ottenere influenza e ha investito miliardi di dollari nelle più importanti università d’America. Il mese scorso, la Casa Bianca ha annunciato anche l’apertura di una base militare del Qatar in Idaho. Il Doha Forum dello scorso fine settimana è un altro esempio.
L’evento annuale ha avuto maggiore importanza quest’anno grazie alla presenza di “Tucker Qatarlson” (come lo chiamano i suoi critici che lo accusano di essere a libro paga di Doha), Donald Trump Jr. e altri leader repubblicani, come il guru dei social di Trump Alex Bruesewitz. Al termine del Forum, Carlson ha annunciato l’intenzione di comprare una casa nell’emirato (un’altra trumpiana di ferro, Laura Loomer, aveva già accusato Carlson di avere ricevuto duecentomila dollari dal Qatar per intervistare l’emiro). Ascoltare lo show di Carlson significa avere l’impressione che Adolf Hitler sia stato frainteso, che Israele sia un paese che uccide i cristiani e che gli ebrei americani formino una quinta colonna decisa a arruolare i loro connazionali non ebrei per combattere le guerre di Israele.
L’impatto degli sforzi del Qatar per allontanare l’ago della bilancia dal tradizionale rapporto con Israele si può riscontrare anche nella Strategia per la Sicurezza Nazionale 2025 della Casa Bianca e pubblicata una settimana fa. “I giorni in cui il medio oriente dominava la politica estera americana sono finiti, non non conti più, ma perché sta emergendo come un luogo di partnership e investimenti”. Un segnale che Trump intende imporre un ripensamento della posizione unica di Israele. Musica per le orecchie dei fan del Muftì di Gerusalemme.