Il giro diplomatico di Zelensky con un nuovo piano sul tavolo (che il Cremlino ha già rifiutato)

Micol Flammini

Il presidente ucraino incontra gli europei a Londra, ora tutti sanno che Trump vuole che la guerra finisca con Mosca in posizione favorevole. Un dettaglio: Putin però di far finire la guerra non ha nessuna intenzione. La lezione da un vaso

La scorsa settimana, in un articolo di Politico intitolato “Il presidente che non è mai cresciuto” venivano messe in ordine tutte le mancanze del capo della Casa Bianca, sempre più attento all’intrattenimento, poco propenso al lavoro, sempre più distante dalle questioni urgenti della sua Amministrazione. Trump non segue i dossier più importanti, pensa alle opere di ristrutturazione della sua residenza e trascura il lavoro. Anche per questo, quando il presidente americano ha addossato la colpa di colloqui di pace sempre più fallimentari a Volodymyr Zelensky, reo di non aver letto il piano di pace, in molti si sono meravigliati: Trump non aveva letto neanche il piano in 28 punti scritto in collaborazione con i russi e non conosce i dettagli della nuova bozza. Il capo negoziatore di Zelensky, Rustem Umerov, è addirittura intervenuto per dire che il presidente ucraino avrebbe letto i cambiamenti inseriti nel piano durante la riunione con gli alleati europei a Londra e la lettura è finalmente avvenuta: Zelensky ha constatato che i punti ora sono venti, ma rimangono divergenze con Washington particolarmente accentuate sulle questioni territoriali. Nonostante ciò, il presidente ucraino non ha mai affossato il piano, sono stati i russi a rifiutarlo.

 

Il consigliere per la politica estera di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, ha detto che il piano presentato a Mosca ha bisogno di “ritocchi radicali”, quindi alla Russia non piace. Putin viene da settimane particolarmente favorevoli, non sente alcuna pressione e non accetterà di fermarsi adesso: aspetta la fine dell’inverno, che si prospetta il più difficile che l’Ucraina abbia dovuto affrontare dal 2022. Le difficoltà di Kyiv vengono dalla mancanza di aiuti militari e dalle esternazioni della politica americana: gli Stati Uniti vogliono che la guerra finisca presto e con la Russia in posizione favorevole. Trump ormai si limita a notificare  le posizioni della linea che sta vincendo all’interno della sua Amministrazione e che vede Witkoff con il vicepresidente J. D. Vance come i due  maggiori sostenitori di un accordo che avvii delle nuove relazioni fra Washington e Mosca e che può realizzarsi soltanto accontentando il Cremlino. Zelensky non riesce più ad avvicinarsi a Trump, è tenuto fuori, spettatore del tentativo americano di fare un piacere a Vladimir Putin. 


Lunedì il presidente ucraino ha incontrato a Londra il premier britannico Keir Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Martedì sarà a Roma, dove incontrerà la presidente del Consiglio Giorgia Meloni con l’intenzione di “discutere ogni dettaglio, fare in modo che Roma sia completamente informata sulla situazione e partecipi a pieno a tutte le discussioni e i contatti diplomatici. L’opinione di Meloni è importante per Zelensky”, dice al Foglio una fonte ucraina vicina al presidente. A Londra Zelensky  ha parlato anche di asset russi congelati, che sarebbero fondamentali per finanziare la resistenza di Kyiv davanti a una Russia che non accetta compromessi.  


Per la prima volta, il presidente ucraino ha usato dei nuovi aggettivi per definire la pace: non ha più detto che serve una “pace giusta”, ma una “pace dignitosa”. E’ un cambiamento importante, che spiega l’umore fra Kyiv e le capitali europee. Per la prima volta, dopo la pubblicazione da parte dell’Amministrazione americana del documento che spiega la nuova Strategia di sicurezza degli Stati Uniti, gli europei sanno che Washington non pensa più a loro come degli alleati, ma come degli avversari. Per la prima volta, Merz, Macron e Starmer non erano più gli alleati pronti a fare scudo a Zelensky, se necessario, con Trump, ma si sentivano, agli occhi del capo della Casa Bianca, sullo stesso piano del presidente ucraino. Dopo la pubblicazione del documento americano, è cambiato anche il modo di Mosca di parlare della guerra. Il politico russo Sergei Karanov, una delle voci del putinisimo, è andato in televisione a spiegare che la guerra non è contro l’Ucraina, ma contro l’Europa. Il capo del Fondo sovrano russo per gli investimenti all’Estero, e contatto principale degli americani al Cremlino, ha consigliato agli europei di dare retta a Trump “se intendono salvarsi”. 


La scorsa settimana la  propagandista russa e direttrice di Rt, Margarita Simonyan,  ha regalato a Putin un vaso. Gli ha raccontato di averlo comprato in un mercato e di averlo notato per la fattura antica e per la dedica scritta in ucraino che ricorda i “325 anni della riunificazione dell’Ucraina con la Russia”. Con Trump e i suoi alla Casa Bianca Mosca non ha nessuna ragione o convenienza a fermare la guerra. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)