Foto Epa, via Ansa

L'editoriale dell'Elefantino

Che guaio la strategia trumpiana così simile al primo melonismo

Giuliano Ferrara

Un progetto che per l’Europa prevede patriottismo nazionalismo e populismo, valori e idee a cui il pragmatismo di Palazzo Chigi ha messo la sordina, rischia di rompere incantesimo ed equilibrio della mediazione di governo, a Roma e a Bruxelles

Nel paragrafo dedicato all’Europa sovranazionale dal documento strategico di Trump e dei suoi si esprime una visione dello stato delle cose qui da noi (demografia, immigrazione, identità, eccesso regolativo, pericoli per le libertà liberali, distinte dai diritti umani e dalla politica di influenza delle minoranze, sicurezza) che è identica con la piattaforma di base di Meloni e dei suoi, e con ciò che essi hanno detto per anni, finché la prova del governo mainstream, in parziale ma viva sintonia con l’establishment dell’Ue, ha messo la sordina ai valori e alle diagnosi astratte per consentire alla premier il suo inserimento pragmatico nel gruppo di testa della partnership di Bruxelles. Ora questo equilibrio tra ciò che si è sostenuto dall’opposizione e quanto si fa al governo, finora prova di forza e assennatezza del primo governo di destra, sulla carta salta per aria. Della strategia americana fa parte l’idea di un’Europa senza l’Unione o con una sovranazionalità fortemente ridotta.

   

Vista da Washington, l’Europa è o deve diventare un insieme di nazioni autonome e sovrane, soggetti di un rapporto bilaterale con la potenza egemone dell’occidente in quanto tali, sotto l’incalzare dei partiti patriottici e sovranisti, appoggiato apertamente e senza riserve dagli Stati Uniti. Bruxelles, con tutto quello che comporta, e se è per questo anche la Nato, sono ingombri. Della Nato si dice addirittura che nel giro di alcuni anni, trasformati da immigrazione e distorsione dell’identità, molti paesi europei non saranno più gli stessi che avevano firmato il charter dell’alleanza, il percorso immaginabile è quello di un graduale e progressivo dissolvimento. 

           

Guido Crosetto, che con Meloni è una testa pensante decisiva nel progetto di quel partito fin dall’inizio, anche perché forte di una scelta della destra che parte da una cultura democristiana, ha subito capito l’antifona. E per primo ha messo le mani avanti con tempestività e intelligenza: ha detto che il vero problema degli Stati Uniti è la competizione con la Cina, tutto dipende da quella coordinata generale, che le espressioni dedicate al declino europeo sono sopravvalutate in commenti e analisi, e nel testo occupano uno spazio relativamente breve, e insomma forse dovrà cambiare qualcosa, chissà, ma affinché tutto resti com’è, sperabilmente. Può darsi naturalmente che si riveli notevole lo scarto tra linee strategiche, sempre un po’ rigide per natura, tanto più se codificate in un documento di stato, e politica realistica; può essere che continui a essere praticabile lo spazio occupato dal primo governo di destra italiano, questo stare sia con l’Unione europea sia con gli Stati Uniti, in una logica che premia la mediazione sulle impuntature e le coerenze formali. Crosetto se lo augura, e anche Meloni sorniona sembra sperarci, dal modo calmo con cui ha recepito il colpo di sentirsi ideologicamente e culturalmente rappresentata dal trumpismo, nella sua critica della decadenza europea e nel suo appello alla rivolta contro Bruxelles, sebbene politicamente spiazzata da un progetto che per l’Europa prevede patriottismo nazionalismo e populismo invece che conservatorismo e alleanza condizionata con l’establishment. E per soprammercato auspica stabilità strategica con la Russia, che vuoi o non vuoi dovrà essere premiata per la sua campagna di contenimento e roll back della Nato partita con la Crimea e approdata per adesso al Donbas. 

           

Va notato che il documento americano, anche per indicare la totale inversione di rotta rispetto alla tradizione internazionalista che lega alcune esperienze democratiche e alcune esperienze repubblicane e neoconservatrici, predica con insistenza il rispetto di un mondo di stati e società che vanno considerati per quello che sono, senza la velleità di modificare alcunché e introdurre modi di vita e di governo democratici al posto di quelli tradizionali. Alla sola Europa è dedicato, per quanto in un testo che Crosetto ha trovato felicemente breve, il progetto di un cambio di sistema: il regime change patriottico è per noi e solo per noi, i vecchi alleati oggi trasformati se non in avversari (anche) certamente in un pericoloso intralcio. Non è che Meloni debba troppo preoccuparsi di Matteo Salvini, che usa strumentalmente e in modo volatile l’America First per rilanciare il suo Prima gli italiani, per quanto anche quello alla lunga potrebbe diventare un problema. E’ proprio Trump, sono le sue idee, le sue intenzioni, terribilmente simili a quelle fondative del melonismo come movimento, che possono rompere incantesimo ed equilibrio della mediazione di governo, a Roma e a Bruxelles. 
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.