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Editoriali
Un anno dopo il maldestro golpe di Yoon a Seul, il fattore K è tornato cool
Dalle indagini condotte in questi dodici mesi, è emerso che il piccolo cerchio ristretto dell'ex presidente abbia cospirato per far volare alcuni droni fino a fargli sorvolare Pyongyang per scatenare una reazione che giustificasse la legge marziale
Ieri l’attuale presidente della Corea del sud, il democratico populista Lee Jae-myung, ha annunciato delle scuse formali alla Corea del nord per le azioni considerate provocatorie del suo predecessore, il deposto Yoon Suk-yeol. E’ passato esattamente un anno dalla dichiarazione della legge marziale in Corea del sud da parte di Yoon, una specie di colpo di stato durato non più di sei ore che ha cambiato la politica della penisola coreana e ha provocato un terremoto negli equilibri dell’intera regione. In un anno ci sono state diverse inchieste, sia delle autorità sia da parte dei media, sulle ragioni che avrebbero portato Yoon a prendere una decisione così radicale, inusuale, e spaventosa per la maggior parte dei cittadini – che ricordano la legge marziale degli anni Ottanta, e il sangue versato dalla popolazione per liberarsene e ricostruire lo sviluppato sistema democratico odierno.
Tra gli aspetti più controversi emersi in questi mesi, c’è il fatto che il piccolo cerchio ristretto di Yoon, a ottobre del 2024, abbia cospirato per far volare alcuni droni nei cieli della Corea del nord fino a fargli sorvolare Pyongyang. Una notizia che all’epoca, come aveva scritto anche questo giornale, era scarsamente comprensibile vista la situazione delle relazioni intercoreane, e che avrebbe potuto provocare una reazione da parte del regime guidato da Kim Jong Un. Secondo i procuratori sudcoreani che stanno indagando sulla dichiarazione della legge marziale, era proprio la reazione di Pyongyang che voleva provocare Yoon – ancora sotto processo sul caso – per giustificare la legge marziale. Sulle motivazioni politiche più profonde che portarono al maldestro golpe nessuno forse saprà mai la verità, ma una cosa giusta l’ha detta ieri il presidente Lee: grazie all’azione tempestiva dei parlamentari, spinti anche dalla sollevazione popolare, la democrazia sudcoreana ha vinto, e dovrebbe essere “un esempio nel mondo libero”.