Il punto di partenza
Putin rimanda gli americani a casa senza compromessi. I prossimi tavoli negoziali
Spingere per la vittoria e non per la pace. Parla al Foglio l'ex ministro degli Esteri della Lituania Landsbergis: per uscire dallo stallo serve una strategia europea
Si potrebbero cancellare le ultime due settimane di negoziati, si potrebbe fare finta che tutti e cinque i piani sul tavolo siano soltanto pagine bianche, si potrebbe supporre che non ci siano mai state spole di funzionari ucraini e americani fra Ginevra e Miami, che una passeggiata di due americani accompagnati da un funzionario russo per le strade di Mosca non sia mai avvenuta. La pace in Ucraina non è arrivata e l’incontro al Cremlino fra Vladimir Putin e gli emissari di Donald Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner, nonostante sia durato cinque ore, non ha generato nessun compromesso. È uscito poco dalla riunione fra Putin e gli americani, ma un dettaglio, che deve essere confermato, racconta che ancora una volta Witkoff (in compagnia di Kushner) ha obbedito ai russi e, anziché fare scalo in Europa, dove avrebbe dovuto incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha tirato dritto fino a Washington.
Gli ucraini sono stati ancora una volta invitati a raggiungere gli americani negli Stati Uniti per avere informazioni sulla trattativa che li riguarda. I russi vogliono tenere i tavoli separati, stanno costruendo un loro rapporto con l’Amministrazione Trump, negoziano il futuro della guerra trasformandola in un grande affare per Mosca e per Washington. L’altro tavolo invece è per gli ucraini e gli americani. I due tavoli non si parlano perché il Cremlino ci tiene a tenerli divisi, non comunicanti. Se gli ucraini hanno più volte detto di essere disposti a negoziare con Mosca, per i russi un colloquio sulla pace con gli emissari di Kyiv non è fattibile. Sanno che ogni volta che gli americani parlano con loro, gli ucraini trattengono il fiato e con loro gli europei, costretti a guardare.
Gabrielius Landsbergis, ex ministro degli Esteri della Lituania e voce tonante dell’atlantismo – oltre a essere discendente di una famiglia che ha la lotta contro Mosca scritta nel Dna – ha trascorso gli ultimi giorni negli Stati Uniti, proprio mentre la Casa Bianca continuava a ripetere che l’accordo per far finire la guerra stava arrivando. Landsbergis a quei proclami non ci ha mai creduto, ha continuato a ripetere che la pace non è vicina e dopo giorni di dramma saremmo tornati al punto di partenza. Ora siamo al punto di partenza e gli europei sono sempre un passo indietro: bendati di fronte alle trattative, esclusi dal tavolo. “Il punto non è sedersi al tavolo delle trattative, ma costruire il proprio tavolo. E’ un tentativo che gli europei non hanno mai fatto”, Landsbergis critica lo smarrimento dell’Ue: “Tutto parte dall’avere una strategia. Ma gli europei ancora non ce l’hanno”, dice al Foglio l’ex ministro. “Ancora”, dopo quasi quattro anni di guerra, è un macigno, l’ex ministro sa che l’Ue ha avuto il tempo per adattarsi, per svegliarsi, per rispondere, ma non ha reagito alle sfide più urgenti. “Non c’è una risposta alla domanda principale: cosa stanno realmente cercando di ottenere gli europei? Cerchiamo di guadagnare tempo o stiamo cercando di aiutare l’Ucraina a vincere la guerra o almeno a metterla in una posizione più forte? E’ sconvolgente vedere l’Europa con i rappresentanti di un continente enorme e ricco senza la capacità di avere voce in capitolo sulla propria sicurezza”. Per Landsbergis gli europei sono smarriti, non sanno neppure quale sia il loro obiettivo e non saperlo indebolisce qualsiasi posizione. Non si vede e non c’è un’agenda europea, questo “ci costringe a correre dietro a un treno in corsa mendicando un posto a bordo”. Gli europei hanno scelto una strada con Trump: lusingarlo, inondarlo di regali, parole e poi navigare a vista. Non è bastato, noi europei abbiamo infranto quella che secondo Landsbergis è la prima regola per riuscire nella diplomazia trumpiana: il successo. “Sembriamo deboli ai suoi occhi, il presidente americano vuole stare dalla parte di chi vince. Se vede che l’Europa non ha una strategia, non la sostiene, non la prende sul serio”. I russi a ogni incontro con gli americani insistono su un punto: Mosca sta vincendo e se non ottiene con i negoziati quello che vuole (tutto il Donbas, esercito ucraino ridotto fino a scomparire, capitolazione di Zelensky) allora prenderà tutto con la forza. Gli ucraini, quando incontrano gli americani, portano le mappe che dimostrano quanto sia lenta l’avanzata russa. Tutti sanno che devono apparire vincenti agli occhi di Trump. Tutti, tranne gli europei.
Landsbergis ha pensato ai punti che proporrebbe in un piano di pace: rendere la guerra troppo cara per Putin, limitare la Cina, rafforzare le nostre difese. “Dobbiamo dimostrare che possiamo vincere, non convincere che vogliamo la pace. Fargli capire che è lui che non può vincere”. Putin ha aumentato i soldi per la guerra, punta a costruire centocinquanta droni al giorno e duemilacinquecento missili al mese. Nessun paese europeo ha queste capacità, “siamo in ritardo, ma dobbiamo spingere per il cambiamento”. Gli europei non sono disarmati, per Landsbergis iniziare a trattare sul serio l’uso degli asset russi congelati è un buon modo per iniziare a dimostrare potenza: “Sarebbe un modo per dire: vogliamo che l’Ucraina vinca, la finanzieremo e non ci importa cosa Trump negozi con Putin, noi facciamo i nostri interessi. E invece sembra che non abbiamo nulla da mettere sul tavolo”. Gli europei devono uscire dalla logica del mendicante per aiutare l’Ue stessa e l’Ucraina: “Siamo vulnerabili, ma non senza opzioni. Questa guerra può definire una nuova Unione europea. E’ un momento fondativo”.