Il caso del cosmonauta cacciato da SpaceX e la pace spaziale a rischio

Giulia Pompili

SpaceX manda un messaggio ai russi e decide di sostituire Oleg Artemyev, beccato a fotografare di nascosto i motori della Crew Dragon. L’illusione di poter collaborare con il Cremlino nello Spazio 

Tra poco più di un paio di mesi, la SpaceX di Elon Musk lancerà la sua dodicesima missione commerciale della Nasa verso la Stazione spaziale internazionale. L’equipaggio è composto da due astronauti dell’agenzia spaziale americana, uno europeo e un cosmonauta russo, che però, a sorpresa, è stato appena sostituito. A volare in orbita con la Crew Dragon – la navicella più remunerativa di casa Musk, attualmente l’unica made in Usa in grado di trasportare esseri umani sulla Stazione internazionale orbitante – avrebbe dovuto essere il cosmonauta cinquantaquattrenne Oleg Artemyev. Solo che ieri, a sorpresa, è stata l’agenzia spaziale della Federazione russa, la Roscosmos, ad annunciare che Artemyev sarà sostituito dal pilota-cosmonauta “ed Eroe della Russia” Andrey Fedyaev, più giovane e con meno esperienza. Roscosmos non ha dato motivazioni, che sembrano legate però a un caso di spionaggio.

 


Secondo alcune fonti, tra cui quelle del media investigativo The Insider, Artemyev sarebbe stato rimosso dalla missione Crew-12 di SpaceX per  violazioni dell’International Traffic in Arms Regulations, un pacchetto di leggi americane che protegge la sicurezza nazionale limitando la diffusione di informazioni e tecnologie sensibili. Il canale telegram Yura, prosti (molto accreditato quando si tratta di leak sull’industria aerospaziale russa, con un nome che evoca delle scuse al cosmonauta sovietico per eccellenza, Yuri Gagarin), ha scritto che Artemyev sarebbe stato espulso dagli Stati Uniti la scorsa settimana, dopo essere stato sorpreso a fare delle fotografie, con il suo cellulare, ai motori e ai materiali interni, tutti classificati, della navicella spaziale di SpaceX. 
Ma la notizia è particolarmente sensibile. Non solo perché  Artemyev è un nome  noto nel settore spaziale. Ma soprattutto perché, come da tradizione sovietica per i cosmonauti, è un simbolo nazionale. Nato a Riga nel 1970, studi a Vilnius, soldato dell’Armata sovietica, pilota collaudatore a Baikonur, il cosmodromo russo in Kazakistan, e addestratore nella Città delle stelle, sin dal suo primo volo nel 2014 Artemyev ha passato 560 giorni, 18 ore e 6 minuti nello spazio (per fare un paragone, Samantha Cristoforetti ha all’attivo poco più di 370 giorni). E durante quei 560 giorni non ha mai fatto mistero del suo nazionalismo: membro di Russia unita ed eletto nel 2019 nel Parlamento della municipalità di Mosca, nell’aprile del 2022 aveva compiuto un’attività extraveicolare con il collega russo Denis Matveev e insieme avevano “sventolato” in orbita la Bandiera della Vittoria (una replica, non l’originale che sventolò sul Reichstag). C’erano state un po’ di polemiche, dato che la guerra su larga scala contro l’Ucraina era iniziata da poche settimane, ma nel luglio dello stesso anno  Artemyev, insieme con  Matveev e un terzo collega, Sergey Korsakov, si fecero fotografare dentro alla Stazione spaziale internazionale con la bandiera dell’autoproclamata Repubblica popolare di Luhansk, e l’immagine era stata poi diffusa dall’agenzia Roscosmos con la didascalia: “Un giorno di liberazione da celebrare sia sulla Terra sia nello Spazio”. 

 


La comunità occidentale che partecipa ai progetti della Stazione spaziale non ha mai esagerato con le critiche a certe azioni della Russia nello Spazio: finora il fragile equilibrio della cosiddetta pax spaziale si regge grazie al fatto che Mosca non si è tirata indietro dal progetto-simbolo dell’èra post Guerra fredda, quello della Stazione orbitante. Ed è soprattutto la Nasa ad aver chiuso gli occhi su numerose violazioni russe. Ma qualcosa sta cambiando: l’ingresso di compagnie private nel settore aerospaziale e del volo umano significa anche meno politica e più business – SpaceX tiene molto ai suoi segreti industriali, e non può permettersi di far saltare una intera missione per delle criticità rilevate dalla Nasa nella filiera di sicurezza. Secondo alcuni osservatori, la rimozione dell’eroe nazionale Artemyev potrebbe anche essere un messaggio più esplicito ai cosmonauti e ai tecnici russi che lavorano nelle basi spaziali americane. Ma c’è di più, perché la cooperazione spaziale è una fonte di guadagno notevole per la Difesa della Federazione russa: prima dell’arrivo di SpaceX e dell’apertura ai voli commerciali, il cosmodromo di Baikonur aveva il monopolio dei voli umani nello spazio. Le agenzie americana ed europea che mandano sulla Stazione spaziale un loro astronauta, devono ancora oggi pagare una specie di biglietto alla Roscosmos, cioè al governo russo. Ma già da tempo si parla di un declino inarrestabile della tecnologia che tiene in piedi Baikonur, perché gli investimenti sono sempre meno, spostati su armamenti ed economia di guerra: solo tre giorni fa è partita dal cosmodromo una navicella russa Soyuz con a bordo due cosmonauti  e un astronauta della Nasa, e al momento del lancio c’è stato un danneggiamento strutturale di parte della rampa. La Roscosmos ha minimizzato, assicurando di poter fare le riparazioni in tempi rapidi. Ma secondo alcuni media specializzati non sarà una questione di poco tempo, e future missioni con equipaggio dalla Russia potrebbero essere sospese per molto tempo.  

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.