ucraina

Zelensky perde il suo negoziatore e braccio destro Yermak

Micol Flammini

Il capo di gabinetto del presidente si è dimesso per le indagini sulla corruzione. Ora il leader ucraino cerca di ritrovare l'unità a Kyiv contro gli agguati internazionali di Mosca

L’uomo indispensabile è diventato necessariamente sacrificabile. Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente Volodymyr Zelensky, ha consegnato una lettera di dimissioni e Zelensky non poteva fare altro che accettarle. Yermak è l’uomo che sa tutto,  è stato  l’ombra del presidente, colui che muoveva contatti, prendeva decisioni e forse  controllava anche Zelensky. Yermak era dovunque, il presidente lo ha difeso, se lo è tenuto stretto, ha cercato di far capire la sua importanza per il paese, fino a ieri, quando i funzionari degli uffici anticorruzione Nabu e Sapo hanno perquisito la sua casa a Kyiv  nell’ambito dell’“Operazione Mida” per indagare sulla corruzione che ha coinvolto membri importanti del governo. 
  
L’Ucraina combatte contro la corruzione da sempre, Zelensky si era presentato alle elezioni del 2019 con la promessa di sconfiggerla una volta per tutte.  Da quando è iniziata l’invasione russa su vasta scala, ogni minimo sospetto di corruzione dentro al governo era sufficiente per chiedere le dimissioni. Era successo già a nomi illustri, come l’ex ministro della Difesa Oleksiy Reznikov, che lasciò il posto per i sospetti sulla gestione delle forniture militari. Lo zelo contro la corruzione serviva anche a dimostrare all’Unione europea che Kyiv è un candidato più che valido per l’allargamento. Per questo, la scorsa estate, quando le città ucraine si riempirono di proteste dopo la decisione del Parlamento di abolire il Nabu e il Sapo, gli alleati europei rimasero confusi:  l’Ucraina stava dimostrando di svolgere alla perfezione i compiti per entrare nell’Ue, perché il presidente e la Rada (il Parlamento) bruscamente volevano cancellare i due organi preposti ad aiutare Kyiv nella lotta alla corruzione? Le proteste furono una manifestazione di democrazia sfacciata e chiarissima: pacificamente, gli ucraini chiedevano soltanto una cosa: “Veto alla legge”. E Zelensky mise il veto. Ma già allora, i retroscena  indicavano in Yermak il responsabile del pasticcio legislativo orchestrato per coprire i corrotti. 


Dal momento in cui il Nabu e il Sapo continuarono con il loro lavoro, si presumeva che avrebbero potuto colpire qualcuno di grosso. Prima Timur Mindich, l’ex socio di Zelensky e Yermak ai tempi di Kvartal 95, la casa di produzione diventata  il cuore di un partito e di una campagna elettorale di successo, poi il ministro della Giustizia Herman Galushchenko e la ministra dell’Energia Svitlana Hrynchuk. A far arrabbiare gli ucraini ancora di più è il fatto che l’“Operazione Mida” indaga su uno schema di tangenti che riguarda i contratti energetici, quindi uno dei settori che la guerra russa prende di mira colpendo le centrali per lasciare le città al buio. Il nome di Yermak ancora non compare nell’inchiesta, ma i sospetti sul capo di gabinetto nascono da uno dei dettagli menzionati dal Nabu, che dispone di mille ore di conversazioni registrate  e aveva rivelato che le persone coinvolte nel piano di corruzione, durante le loro telefonate, menzionavano spesso “Alì Babà”, il presunto nome in codice per parlare di Yermak. 


Dopo le dimissioni di Galushchenko e Hrynchuk anche dentro a Servitore del popolo, il partito di Zelensky, vari deputati hanno iniziato a chiedere l’allontanamento del capo di gabinetto. Sembrava lunare che il presidente potesse separarsi  dalla persona che finora ha guidato i negoziati, che ha seguìto ogni passo della diplomazia e della guerra, che ha parlato con leader stranieri, che sa ogni dettaglio, ogni debolezza, ogni cosa a cui badare durante le trattative. Infatti, nonostante gli scandali, dopo le notizie relative al piano in ventotto punti redatto dagli americani in collaborazione con i russi, Zelensky aveva dato il mandato di negoziare  a Yermak, come aveva sempre fatto. “Sono grato ad Andriy per aver  rappresentato la posizione dell’Ucraina nei negoziati esattamente come meritava. Ha sempre avuto una posizione patriottica. Ma voglio sgomberare il campo da ogni voce e speculazione”, ha detto il presidente ieri. Ora il posto di Yermak potrebbe essere assunto dalla premier Yulia Svyrydenko e il ruolo di premier potrebbe andare a Mychailo Fedorov, attuale ministro della Trasformazione digitale. Per annunciare le dimissioni di Yermak, Zelensky ha fatto un richiamo all’unità del paese: “Se perdiamo la nostra unità, rischiamo di perdere tutto: noi stessi, l’Ucraina, il nostro futuro. Non c’è altra scelta. Non ci sarà mai un’altra Ucraina”. 


A questo punto il presidente aveva bisogno di liberarsi di Yermak per ricucire il paese, il capo di gabinetto era visto come una presenza tossica per il presidente  e per il paese.  “La Russia non vede l’ora che l’Ucraina commetta errori. Non ne commetteremo”. Per Mosca gli scandali di Kyiv sono una carta da mostrare agli americani. Vladimir Putin punta a chiedere a Donald Trump di togliere di mezzo Zelensky come condizione per la firma di un accordo, ritiene la sua leadership illegittima e sa che delle elezioni frettolose sono uno dei modi migliori per indebolire il paese. Il presidente ucraino in uno dei discorsi più difficili del suo mandato ha fatto l’elenco delle cose da fare. Ha chiamato all’appello ministri, generali, negoziatori: “La forza interna è il fondamento della nostra unità esterna e delle nostre relazioni con il mondo. E affinché questa forza interna esista, non devono esserci motivi per lasciarsi distrarre da altro che non sia la difesa dell’Ucraina”. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)