Storie parallele, modelli impossibili

Hong Kong brucia, Taiwan si prepara

Giulia Pompili

L’incendio che ha devastato Tai Po, a Hong Kong, diventa un nuovo simbolo del logoramento provocato dal controllo autoritario di Xi Jinping, mentre da Taipei il presidente Lai Ching-te risponde alle minacce svelando un maxi-piano da 40 miliardi per blindare la difesa dell’isola e prendere ancora più distanza da Pechino

L’inferno di fuoco che si è acceso ieri in diversi grattacieli residenziali nell’area di Tai Po, uno dei distretti di Hong Kong situato nei New Territories, che ha ucciso, per ora, almeno 36 persone, rischia di rappresentare anche l’ennesima crepa sul controllo autoritario di Xi Jinping e sulla sua ossessione per le “questioni territoriali”. Perché ogni tragedia nell’ex colonia britannica, ormai da cinque anni sottomessa al terrore delle persecuzioni politiche, è anche un fallimento della leadership di Pechino che apre a nuove proteste, a nuovi sentimenti di rivalsa – solo ieri, mentre si alzava la colonna di fumo gigantesca da Tai Po, la polizia per la sicurezza nazionale di Hong Kong ha arrestato due ragazzi con l’accusa di aver pubblicato post sediziosi sull’account social del loro negozio di pancake. Dall’isola di Taiwan, tutto ciò che accade a Hong Kong ha l’aspetto di un pericoloso destino dal quale allontanarsi, l’esempio concreto di un modello impossibile da sostenere.

 


Pechino offre periodicamente al governo di Taipei il “modello” dell’ex colonia inglese come una soluzione pacifica alternativa alle minacce di un’unificazione forzata.  E durante l’ultima telefonata fra il presidente americano Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping, la cosiddetta “questione Taiwan” sarebbe stata affrontata anche in questi termini, con il “ritorno di Taiwan alla Cina” che per Xi sarebbe un “elemento chiave dell’ordine internazionale del Dopoguerra”. 

 


Ieri la prima mossa dell’attuale presidente taiwanese Lai Ching-te si è fatta sentire: con un editoriale pubblicato sul Washington Post destinato a un pubblico internazionale, e poi con una conferenza stampa da Taipei, Lai ha svelato il bilancio speciale per la Difesa dell’isola. Si tratta di una cifra record da 40 miliardi di dollari, fondi destinati a finanziare la costruzione di una rete di difesa aerea multistrato chiamata “T-Dome” e a rafforzare nel complesso la posizione difensiva di Taiwan nei prossimi otto anni (per il 2026 fino al 2033), in grado di “proteggere la democrazia di Taiwan in modo permanente”, ha detto. “La pace deve dipendere dalla forza”, ha detto ai suoi cittadini Lai Ching-te, in una frase pronunciata di frequente da diversi ministri della Difesa europei, dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. “Investire nella difesa nazionale significa investire nella sicurezza e nella pace”. Lo scopo dell’aumento considerevole della spesa militare è dunque è la deterrenza, e scoraggiare eventuali azioni di forza di Xi – che potrebbe essere spinto dalla situazione internazionale, compresa la caotica Amministrazione Trump, a compiere un’azione a sorpresa e magari non precedentemente programmata.

 

Il ministro della Difesa taiwanese, Wellington Koo, ha spiegato che i sistemi di difesa aerea in servizio verranno integrati con radar di allerta precoce e sistemi di gestione del campo di battaglia, puntando molto anche sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale. Koo ha anche detto che Taipei punta ad accelerare gli approvvigionamenti attraverso la cooperazione con gli Stati Uniti: la scorsa settimana, Washington ha dato il via libera a due diversi pacchetti di armamenti che saranno venduti a Taiwan, prima di parti di ricambio per caccia e altri velivoli dal valore di 330 milioni di dollari, poi del sistema missilistico già usato in Ucraina, il National Advanced Surface-to-Air Missile System (abbreviato in Nasams), del valore di quasi 700 milioni di dollari. Sebbene in molti abbiano ritenuto che la conversazione telefonica fra Trump e Xi fosse proprio per cercare di mitigare gli eventuali effetti di queste forniture di armamenti, ieri Lai ha detto che il budget per la Difesa non ha niente a che fare con la diplomazia fra Washington e Pechino: “Il bilancio speciale è stato definito sulla base delle necessità di garantire la sicurezza e la stabilità sociale di Taiwan e di tutelare il nostro stile di vita libero e democratico”. Nel suo contributo sul Washington Post, però, Lai ha usato le ormai consuete parole di adulazione nei confronti di Trump – “La comunità internazionale è oggi più sicura grazie alla ricerca della pace attraverso la forza da parte dell’Amministrazione Trump” – nel tentativo di assicurare che una maggiore spesa militare (3,3 per cento del pil entro il prossimo anno, il 5 per cento entro il 2030) scoraggi Xi da un’invasione. Leader del Partito progressista democratico, Lai deve affrontare adesso la partita politica interna, cioè l’approvazione del budget in un Parlamento dove i progressisti non hanno la maggioranza, e i nazionalisti del Kuomintang sono costantemente corteggiati da Pechino. Anche dentro al suo stesso partito sono in molti a criticarlo sottovoce per le azioni eclatanti e meno diplomatiche di quelle di chi l’ha preceduto, l’ex presidente Tsai Ing-wen. Ma il mondo è cambiato, e anche le reazioni cinesi sono sempre più belligeranti, come dimostra il caso del Giappone e delle frasi della premier Sanae Takaichi su un possibile coinvolgimento del paese a difesa di Taipei, che hanno generato a Pechino una risposta violenta e sproporzionata che va avanti da settimane. Nel frattempo, Hong Kong brucia, e non soltanto a Tai Po. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.