1928-1925

Sopravvissuto a tre dittatori, Kim Yong Nam segna la fine di un'epoca in Corea del nord

Giulia Pompili

Aveva 97 anni e fu il volto diplomatico della Corea del nord. Aveva incontrato anche Matteo Salvini. Mentre Seul valuta se inviare una delegazione ai funerali, Pyongyang lancia razzi e manda segnali contraddittori verso Trump

Anche Matteo Salvini, il vicepremier ministro delle Infrastrutture italiano, ha una fotografia con Kim Yong Nam. Risale al 2014, durante una visita in Corea del nord che il segretario della Lega fece accompagnato dall’allora senatore di Forza Italia Antonio Razzi. E del resto Kim Yong Nam, che è morto l’altro ieri a novantasette anni – un record di longevità per i funzionari nordcoreani – incontrava tutti i rappresentanti istituzionali che passavano da Pyongyang: il suo ruolo di capo dello stato, più formalmente definito presidente del Comitato permanente dell’Assemblea popolare suprema nordcoreana, era più che altro cerimoniale, quello delle strette di mano. Ma la sua figura politica è ricordata soprattutto per essere sopravvissuta a tre generazioni di dittatori nordcoreani, da Kim Il Sung a Kim Jong Un passando per Kim Jong Il, senza subire mezza purga, nemmeno un campo di rieducazione, mai.

 

 

Ieri la stampa nordcoreana ufficiale, dopo aver diffuso il triste annuncio, ha pubblicato le foto del leader supremo Kim Jong Un mentre visitava la camera ardente dell’anziano funzionario, che era tra gli ultimi a detenere la memoria storica del paese e a collegarlo direttamente al nonno Kim Il Sung e alle origini della dinastia. Subito dopo che è iniziata a circolare la notizia, in Corea del sud si è mobilitata la macchina politica: domani ci sarà il funerale, e il Partito democratico guidato dal presidente Lee Jae-myung, che è un aperturista nei confronti della Corea del nord, vorrebbe sfruttare l’occasione delle condoglianze per dare il via libera a una delegazione del Sud verso Pyongyang. Ma la situazione diplomatica non potrebbe essere più complicata. Già da tempo Kim Jong Un ha dichiarato la Corea del sud “paese nemico”, quindi di fatto rinunciando alla storica idea di una riunificazione momentaneamente ostacolata da “forze ostili”. Lo stesso ha fatto da poco anche Seul, per adattarsi e anche per dimostrare che non c’è alcuna minaccia di “riunificazione forzata” all’orizzonte, ma il radicale cambiamento di indirizzo politico non è stato apprezzato da molti dentro alle istituzioni sudcoreane. 

 

 Matteo Salvini, Antonio Razzi e Kim Yong Nam nel 2014 in Corea del nord.


Kim Yong Nam era stato spesso il volto dell’ostilità nordcoreana, ma più di frequente quello del dialogo. Era stato lui, nel 2018, ad accompagnare la sorella di Kim Jong Un, Kim Yo Jong, alla cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici invernali a Pyeongchang, in Corea del sud: per la prima volta dopo la guerra di Corea un membro della famiglia dei Kim si recava al Sud. Kim Yong Nam era seduto alla sua destra, sul palco d’onore, si era alzato in piedi e aveva goffamente portato le braccia al cielo al passaggio della nazionale congiunta Nord e Sud durante la sfilata, mentre   davanti a lui l’allora vicepresidente americano Mike Pence era rimasto seduto (e ci furono parecchie polemiche per quel gesto, che sembrava prendere le distanze dall’eccitazione per il momento di disgelo di Pyongyang con il mondo occidentale, che poi però si era rivelato un bluff). Secondo un ex funzionario della Casa Blu, il palazzo presidenziale di Seul, che ieri ha parlato in forma anonima con il Chosun, Kim Yong Nam “non era un tipo appariscente. Proprio perché era incolore e inodore, è riuscito a restare accanto al massimo leader per tre generazioni della famiglia Kim”. Secondo diverse indiscrezioni, Kim non esercitava “praticamente alcun potere, al punto che nemmeno il suo segretario o l’autista erano persone scelte direttamente da lui”, scrive il quotidiano sudcoreano. La sua vita prima dei palazzi del potere di Pyongyang non è chiarissima, perché il regime ha sempre cercato di nascondere le sue vere origini. Secondo diversi storiografi, Kim Yong Nam sarebbe nato nel 1928 in  Manciuria, da una famiglia sino-coreana. Dopo essersi arruolato tra i volontari di Mao durante la Guerra di Corea, dopo l’armistizio si spostò a Mosca dove studiò diplomazia, per poi finire a Pyongyang a lavorare con la leadership di Kim Il Sung. 

 


Ora che la vecchia guardia della dittatura nordcoreana sta scomparendo, sono le nuove leve a fare la diplomazia per conto di Kim Jong Un. Nei giorni del viaggio di Trump in Asia di fine ottobre si era parlato spesso di un possibile nuovo incontro fra il leader e il presidente americano, dopo i tre avvenuti durante il suo primo mandato. Nelle stesse ore però, Kim ha inviato la sua ministra degli Esteri, Choe Son Hui, che ha avuto un ruolo cruciale nei negoziati fra Pyongyang e Washington tra il 2018 e il 2019,  in visita ufficiale a Mosca e a Minsk, a riaffermare che l’isolamento diplomatico nordcoreano è una percezione tutta occidentale. Lunedì, quando il segretario alla Guerra di Trump, Pete Hegseth, ha visitato la Zona demilitarizzata sul 38° parallelo, la Corea del nord ha lanciato diversi razzi di artiglieria verso il Mar Giallo. Eppure anche ieri il Servizio di intelligence nazionale sudcoreano ha fatto sapere in un briefing a porte chiuse che “diversi segnali” indicherebbero che Pyongyang si sta preparando per un possibile dialogo con Washington, non prima di marzo però.  

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.