
LaPresse
Nel Regno Unito
La Gran Bretagna di Starmer si è avviata verso il declino strutturale
La radiografia del paese rivela che sotto il vestito di una Londra sempre più opulenta, in apparenza, c’è un malato cronico: economia in stallo, troppe tasse, assistenzialismo fuori controllo e debito pubblico alle stelle. Intanto i Laburisti e i Conservatori sono ossessionati da Farage
Un paio di settimane fa, sfogliando il Telegraph, storico giornale conservatore inglese, c’era una vignetta di Matt, il più famoso illustratore politico della Gran Bretagna, che prendeva in giro il congresso dei Laburisti, che sembrava il congresso di ReformUK. L’appuntamento annuale della sinistra inglese, che da un anno e mezzo governa il paese, è stato totalmente monopolizzato da Nigel Farage: d’altronde il suo partito è, ormai da mesi, il primo del paese e in costante ascesa nei sondaggi. Qualche giorno dopo, a Manchester, reduce dallo scioccante attentato islamico contro la sinagoga della città, a una cena organizzata al Midland Hotel dall’imprenditore Maurizio Bragagni, l’italiano più rispettato dai Tory, a tavola sedeva una grossa fetta del partito, riunito per il suo congresso: anche lì su tutti i discorsi di Priti Patel, Gavin Williamson e Lord Johnson of Lainston aleggiava il fantasma di Farage. Anche i Conservatori sono ossessionati da Farage, per il motivo opposto ai Laburisti: gli sta rubando l’elettorato.
Nella Gran Bretagna di un inizio autunno di tempeste, il dibattito nazionale ruota maniacalmente solo attorno a ReformUK. Ed è un dibattito lunare perché grazie, o purtroppo, al sistema elettorale First Past the Post (maggioritario secco), il sempre più claudicante governo Starmer durerà altri 4 anni e pensare ora a ipotetici nuovi governi non ha senso. Lo è ancora di più perché la medesima Gran Bretagna oggi non può permettersi il lusso di perdersi in chiacchiericcio politico da Pentapartito, perché si ritrova a essere una nazione avviata verso il declino strutturale (e a un ruolo marginale sullo scacchiere mondiale). La radiografia del paese rivela che sotto il vestito di una Londra sempre più opulenta, in apparenza, c’è un malato cronico: economia in stallo, troppe tasse, assistenzialismo fuori controllo e debito pubblico alle stelle. Molti dei mali vengono da lontano, quasi nessuno viene dalla Brexit, ma sono stati aggravati dalla politica economica di Starmer. I Laburisti si sono lanciati in una fanatica crociata contro i ricchi che stanno scappando in massa da Londra: 12mila l’anno scorso, molti in direzione Milano e Dubai, con l’abolizione del regime fiscale Res Non Dom (la Ronaldo Tax italiana) che era stato creato dal (per nulla) pazzo Re Giorgio III e che è stato per secoli il perno dell’attrattività di Londra; misure populiste come l’incremento delle tasse sulle scuole private hanno avuto come risultato la fuga dei figli dei paperoni nelle scuole pubbliche e la chiusura di quelle private.
La furia socialista contro la ricchezza finisce per penalizzare solo la classe media, dei cittadini e delle imprese, mentre alimenta sempre più l’assistenzialismo: ogni giorno 1.000 persone accedono sickness benefit (buono malattia dal lavoro), un numero assurdo che costa 100 miliardi di sterline l’anno allo stato. Il feticcio della “Giustizia Sociale “, che finora premia solo dipendenti pubblici, immigrati e richiedenti asilo (spesso le tre categorie coincidono, specialmente a Londra), ha aperto le porte a una politica di tasse che, in un paese che nel suo dna ha uno stato leggero, sta avendo l’effetto opposto, quello di deprimere l’economia e impoverire le persone. La tassa sui Landlord, da punire perché benestanti, ha fatto impennare gli affitti; l’incremento del salario minimo e dei contributi previdenziali imposti alle aziende hanno portato a un blocco delle assunzioni.
Nel frattempo, la spesa pubblica fuori controllo (per elargire sussidi) ha portato i conti pubblici in disordine: il debito pubblico (anche per effetto degli aiuti durante il Covid) sfiora il 100 per cento del pil, a quasi 3mila miliardi di sterline, mentre per decenni è stato attorno al 60 per cento. Per riportare il debito a livelli più fisiologici, il governo non ha trovato niente di meglio che aumentare il gettito fiscale mentre avrebbe dovuto creare avanzo primario con la crescita, non pescando soldi dalle tasche già sotto stress dei cittadini. Ma il motore è in panne: a luglio il pil è stato negativo, ad Agosto è salito di un lillipuziano 0,1 per cento (in un mese che vede il picco dei turisti). Tira aria di recessione, e di sicuro il paese è in stagflazione, l’economia langue, ma i prezzi salgono. L’inflazione è sì scesa dai picchi di due anni fa (al 7 per cento), ma rimane comunque alta (3,8 per cento): il costo della vita erode i risparmi e impoverisce le famiglie. Da decenni la Gran Bretagna soffre di un calo di produttività (nonostante sia un paese altamente tecnologico), ora gravata anche da una manifattura debole (la produzione industriale è in calo da mesi). Molti lavoratori stanno correndo a chiedere un anticipo del Tfr (in UK si può prelevare fino al 25 per cento senza pagare tasse): c’è stato un deflusso di 25 miliardi nelle ultime settimane.
È il segnale della disperazione (perché sono finiti i risparmi) o del pessimismo (mettere al sicuro soldi da future tasse). Non sarà un Natale felice: tra un mese il ministro del Tesoro Rachel Reeves annuncerà nuove tasse per il 2026. Con un allarme debito pubblico, un fisco sempre più oppressivo, sussidi a pioggia che mantengono milioni di persone, uno stato sempre più imprenditore (dalla nazionalizzazione dei treni, di cui ha fatto le spese Trenitalia, i finanziamenti pubblici a Thames Water e all’ormai indiana Jaguar - Land Rover), la Gran Bretagna sembra sempre più un’Italia degli Anni '70, ma senza La Dolce Vita né il clima.