dalla nostra inviata a Kyiv

Zelensky disperde il rumore di fondo, tra Patriot e cessate il fuoco

Paola Peduzzi

Il presidente ucraino è pronto a fermare la guerra, la Russia no, come sempre. Gli equivoci con Trump e la telefonata tra Rubio e Lavrov

Kyiv, dalla nostra inviata. Il Cremlino, come succede spesso, ha messo fine alla confusione generata dai retroscena sull’incontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump venerdì scorso alla Casa Bianca: “La linea negoziale della Russia riguardo al mantenimento delle truppe nelle posizioni attuali resta invariata”, ha detto Dmitri Peskov, cioè la Russia dice ancora una volta (sempre) no alla proposta americana che, secondo quanto dichiarato dal presidente americano, consiste nel fermare il conflitto sull’attuale linea del fronte  e cessare il fuoco. L’Ucraina ha detto sì, la Russia ha detto no – e la Russia ha anche detto che i preparativi per il vertice fra Trump e Vladimir Putin a Budapest devono ancora iniziare, il punto di partenza è stata la  telefonata tra i due ministri degli Esteri, Marco Rubio e Sergei Lavrov, che si incontreranno giovedì.   “Non c’è ancora una conferma ufficiale da parte russa sul vertice di Budapest – dice Sergiy Sydorenko, direttore dell’European Pravda – Ma penso che l’incontro ci sarà: per Putin è importante mostrare che il premier ungherese, Viktor Orbán, è un costruttore di pace. Credo che sia questa la ragione per cui vedersi a Budapest, non vedo nient’altro che possa essere deciso sulla sostanza: Putin non è pronto al negoziato. Sarà un altro incontro come in Alaska, e finisce lì”.

 

Sydorenko è appena arrivato nel suo ufficio a Kyiv, “fa un pochino freddo qui dentro, ma sono venuto in auto come tutti i giorni, nel traffico che mi è sembrato più intenso rispetto alla settimana scorsa”, dice, sintetizzando in poche parole la vita quotidiana nella guerra, da tre anni e mezzo, “siamo pronti a tutto, non c’è un peggio o un meglio rispetto al passato, c’è la guerra sempre, un altro inverno davanti, certo, ma abbiamo superato ostacoli enormi, supereremo anche questo”. Kyiv è mezza grigia e mezza azzurra, al Maidan le bandiere che indicano i caduti occupano ormai tutte le aiuole: le fotografie, le date, i ceri, i fiori mescolano la memoria e la resistenza. La fatica della guerra è un lusso che possiamo permetterci soltanto noi occidentali, qui “non rinunciamo ai nostri progetti”, dice Sydorenko, ma si è pronti a una guerra che non finirà domani, non finirà a Budapest, perché Putin non ha alcuna intenzione di fermarsi. E la delusione nei confronti di Trump? “Non posso dire di essere contento – dice – ma le aspettative non erano poi così alte”. All’equivoco permanente tra quel che vogliono gli ucraini e il racconto che ne facciamo noi occidentali si è aggiunto negli ultimi giorni un nuovo capitolo. “Prendi i Tomahawk – dice Sydorenko – Si tratta di missili potentissimi che solitamente sono lanciati dalle navi. I lanciatori da terra sono pochissimi, la produzione è appena cominciata, come possiamo immaginare che gli americani, che ne hanno pochi, possano darli a noi?”. Eppure è da un mese che non si parla d’altro, per questo l’incontro tra Trump e Zelensky è sembrato un fallimento: “Non so se è stato discusso altro alla Casa Bianca – dice il direttore – e può essere vero che non ci sia stato accordo su nulla, ma magari sì e non lo sappiamo, i diretti interessati non hanno voluto sottolinearlo, così tutto il dibattito pubblico è finito su una cosa che non ha poi tanta importanza. Trump è Trump, non ti metti ad analizzare le sue azioni”. 

 

Il rumore di fondo è fatto di indiscrezioni sull’ira del presidente americano, sui pasticci dell’inviato Steve Witkoff – il Donbas che parla russo e quindi è russo, la sovranità sul Donbas nella Costituzione  russa e quindi è russo, e Zelensky che replica: se metto nella Costituzione ucraina due regioni russe, i russi devono ritirarsi da quelle regioni? – e di voci di fonti che non erano presenti agli incontri. Poi c’è la realtà: Zelensky che, se invitato, andrà a Budapest ed è pronto al cessate il fuoco subito, ma intanto prepara un contratto per comprare 25 Patriot; gli europei che, su insistenza di Trump, smetteranno di comprare gas dalla Russia (entro il 2027), ma che pure “non dispongono ancora di una strategia adeguata per risolvere questa guerra”, come dice Mattia Nelles, direttore del German-Ukrainian Bureau: “Sperare che Trump alla fine si rivolti contro Putin e che continui a impegnarsi nella sicurezza europea non è una strategia valida. Sia il sostegno all’Ucraina sia l’organizzazione della sicurezza europea senza un ruolo importante da parte degli Stati Uniti richiedono aggiustamenti dolorosi”; e Putin che vuole distruggere l’Ucraina intera, “non credo proprio che ce la farà – conclude Sydorenko – ma non farà nemmeno un passo indietro”. La realtà è la guerra che non finisce, e per gli ucraini non c’è alternativa alla resistenza.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi