l'editoriale dell'elefantino

Cosa manca a Trump per replicare a Kyiv quello che ha fatto in medio oriente

Giuliano Ferrara

Ciro il Grande in Europa non è stato né Ciro né Grande. Concessioni a Putin, tagli alle armi e ambiguità hanno indebolito l’Occidente e rinforzato l’aggressore

Vittoria e pacificazione a Gaza dipendono dall’intesa fra Trump e Netanyahu, dalla scelta strategica di imporre a una Hamas sconfitta sul campo, con una vasta coalizione di stati, la logica del negoziato finale e della resa condizionata. Parlando di Ucraina, le circostanze e la storia di cui scriviamo sono diversissime, l’Europa orientale è lontana e differente dal medio oriente, ma quanto non è accaduto invece a Kyiv dipende da una linea che ha contraddetto radicalmente il senso dell’intervento a Gaza. Certo, malgrado la strage di Bucha e altri abominevoli effetti di una guerra spietata, di un’aggressione che ha già fatto infinitamente più morti della guerra dei due anni, nell’indifferenza delle buone coscienze, o quasi, Putin non è Hamas, malgrado abbia deportato in Russia senza pietà migliaia di bambini ucraini, oltre al resto. La forza statale e di alleanze mondiali della Russia che porta la guerra in Europa da ben tre anni non è paragonabile al 7 ottobre, capitolo di una potenziale guerra di sterminio contro Israele bloccata su sette fronti dalla poderosa autodifesa di quel paese, ma la logica di vittoria e pacificazione attraverso un negoziato è la stessa. Schierando l’America con Israele senza tentennamenti, fino alla cooperazione diplomatica e militare su vasta scala, Trump con Netanyahu è riuscito a piegare l’Asse della resistenza cosiddetto, cioè la coalizione di Hamas, Hezbollah e Iran (con la caduta collaterale ma decisiva di Assad in Siria). Invece l’apertura di credito a Putin e la delegittimazione di Zelensky, con il recente crollo del 43 per cento delle forniture militari all’Ucraina e al suo esercito, con i limiti imposti anche dalle amministrazioni democratiche all’uso delle armi trasferite nel teatro di guerra, hanno rinvigorito un aggressore che ha fallito l’obiettivo strategico di una rapida conquista e trascina la guerra con risultati territoriali parziali e precari, ma non ha subìto una pressione sufficiente all’inizio di un vero negoziato di pacificazione e compromesso. 
            

Ciro il Grande in Europa non è stato né Ciro né Grande. Si è anzi esposto all’accusa di lavorare come un sabotatore della linea della libertà europea e della difesa da un’aggressione autocratica, amplificata dalla deterrenza nucleare esibita e minacciata, destabilizzando la coalizione su cui avrebbe dovuto fare perno, l’alleanza con l’Europa occidentale e orientale che si difende, e isolando il paese e la leadership di cui avrebbe dovuto essere partner per una trattativa sensata, con una sua storia particolare e ragioni evidenti. Tutto questo ha ringagliardito la Russia di Putin e indebolito l’America di Trump, oltre a inquinare i legami occidentali ed euroatlantici che sono una forza storica degli Stati Uniti dal 1945. C’è da sperare che a partire dal prossimo incontro alla Casa Bianca con Zelensky sulla questione della fornitura di missili Tomahawk si cambi tutto l’assetto del terzoanno di guerra e si instaurino le condizioni di un vero negoziato di pacificazione e compromesso. Ma alla base di tutto sta la decisione di Trump, che è mancata clamorosamente, di non vellicare le ambizioni dell’aggressore e opporgli all’opposto fermezza in nome delle ragioni dell’aggredito. La ferita che alle ragioni dell’occidente è stata inferta da Putin e dagli errori e ambiguità di Trump nel conflitto, un premio alle ambizioni sbagliate di tipo neoimperiale coltivate dalla leadership russa apertamente, se non sarà magicamente rimarginata, ci vorrà tempo, può essere medicata. E i risultati del would be peacemaker, almeno quelli di una stabilizzazione in Europa sul fronte orientale, potrebbero finalmente arrivare con un effetto egemonico per Washington paragonabile a quello ottenuto con l’armistizio e il piano di pace innescato a Gaza.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.