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L'editoriale dell'elefantino

Il coraggio di Israele, baluardo contro l'isteria idolatrica di chi se ne frega di Hamas

Giuliano Ferrara

Nessuno si augura che accada quello che deve accadere: la fine dell’incubo, il rilascio degli ostaggi costretti a scavarsi da soli la fossa nei sotterranei dell’orrore. La fermezza e la tenacia di un popolo contro l’isteria antisionista

A nessuno interessa l’unica notizia che conta, e che sarebbe o si spera sarà l’esito di una strategia di fermezza e di disperata ma inevitabile difesa di Israele dai suoi assassini. La sconfitta di Hamas, ormai accerchiato e incalzato a Gaza City da un esercito che ha perso mille uomini ed evacua i civili dal campo di guerra, il suo disarmo, la sua resa, il rilascio degli ostaggi vivi e morti, per gli abbracci e per i pianti e i kaddish dei superstiti, la ricostruzione di Gaza sotto un’autorità indipendente con i paesi arabi alla testa e l’egida delle Nazioni Unite. La vittoria di Israele e della sua difesa e la sconfitta di Hamas e la distruzione del suo progetto genocidario, compreso in tutto questo la liberazione degli ostaggi, non è oggetto di interesse e di passione.

 

Non gliene frega niente a nessuno tra quanti si considerano gente umanitaria e militanti dell’antisionismo. Il mondo civilizzato in teoria dovrebbe essere in ansia per ricevere questa notizia, e solo per questo, per accogliere i reduci di una prigionia e di una tortura di due anni nei tunnel, cominciate con l’atroce spargimento di sangue e crudeltà perpetrato da Hamas il 7 ottobre. Questa è o dovrebbe essere l’unica cosa che conta e che rimanda una eco ansiosa nell’aula dell’Assemblea generale dell’Onu: una soluzione militare e politica al dramma della Striscia, possibile solo con la distruzione della banda di predoni e assassini che ha aperto questo tremendo, doloroso capitolo di storia della disumanità. Ieri abbiamo invece assistito a uno spettacolo di isteria collettiva, una miserabile messinscena propagandistica, che di questa fermezza è lo specchio deformante, un’isteria di teatro che ha contagiato visibilmente e strumentalmente le diplomazie di mezzo mondo e più di mezzo mondo. Il capo di Israele si è presentato al podio con un QR Code sul bavero della giacca. Lì c’è la documentazione sul 7 ottobre, l’alternativa era vedere per credere oppure non guardare e urlare al genocidio.

 

L’aula in cui si riuniscono i rappresentanti e funzionari di un’organizzazione sottomessa all’ideologia, dove è l’Iran a dettare le regole in tema di diritti umani, un’agenzia internazionale incapace di fare il suo antico mestiere, ormai una tribuna di propaganda antisemita per moltissimi dei suoi componenti, si è rapidamente  svuotata, dimostrando che l’isteria non ha limiti nell’emozione collettiva ma è generata dalla lucida strategia di intervento nei conflitti degli stati dei terroristi del jihad e nel tentativo di ridurre l’unica democrazia del medio oriente allo stato di nazione paria. Nello sforzo di far scattare il piano psicologico esplicito di Hamas, cioè addossare a Israele le sofferenze procurate a Gaza dall’infame progrom del 7 ottobre 2023 e trasformare le vittime di un genocidio storico, la Shoah, e di un genocidio programmato e teorizzato dal jihadismo, dal fiume al mare, negli autori di un genocidio inesistente, che si esprime in modo blasfemo nel conto delle vittime civili di guerra esposte a favore di telecamera da una banda di terroristi che si nasconde in una rete sotterranea e lascia il popolo in superficie come agnello sacrificale della sua causa di morte.

 

L’unica replica possibile all’isteria di teatro è la fermezza e la tenacia di un popolo e di uno stato e di una comunità combattente che non accettano, come ha detto Netanyahu, quello che sarebbe identico alla formazione di uno stato del terrore di al Qaida a un miglio da New York all’indomani dell’11 settembre. Non dovevano entrare nella Striscia né colpirla, per risparmiare le vittime civili. Oggi Hamas sarebbe il governo legale e diplomaticamente attivo di uno stato fortezza pronto a replicare il 7 ottobre e i palestinesi il suo ostaggio principale e il pegno della sua sopravvivenza come organizzazione terroristica. Non dovevano entrare a Rafah. Sinwar sarebbe vivo e vegeto con tutto il suo stato maggiore. Non dovevano colpire l’Iran, oggi uno stato prenucleare e guerrafondaio che minaccia la pace e l’equilibrio e la vita degli ebrei dell’entità sionista sarebbe forte e autorevole, insieme con i suoi eserciti di riserva come gli Hezbollah e la Siria di Assad. Non dovevano infine entrare nella città di Gaza, nemmeno muovendosi con lenta circospezione e organizzando l’evacuazione di centinaia di migliaia di civili. E così nessuno si augura che accada quello che deve accadere, a nessuno preme la caduta della tirannia di Hamas sui palestinesi, la fine dell’incubo, il rilascio degli ostaggi costretti a scavarsi da soli la fossa nei sotterranei dell’orrore. Quando tutto sarà finito, e il cuore e la testa delle persone che non hanno smarrito il senso etico della storia e non lo hanno barattato per la buona coscienza autogratificante non vedono l’ora che tutto sia finito al più presto, sarà studiata per anni questa guerra idolatrica dell’isteria contro la fermezza e il coraggio di un popolo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.