prove di intesa

Trump salva TikTok, e ci sono diverse ragioni

Giulia Pompili

Venerdì ci sarà l'attesa telefonata fra il capo della Casa Bianca e il leader cinese Xi Jinping. Il nodo della soia nei negoziati commerciali e il ruolo del social network cinese che pompa la propaganda (anche trumpiana)

Ieri il presidente americano Donald Trump ha scritto sul social network di proprietà della sua famiglia, Truth, che venerdì avrà una conversazione telefonica con il leader cinese Xi Jinping. L’appuntamento servirà a dare il via libera a un accordo che sarebbe stato raggiunto ieri, almeno nella sua “cornice”,  a Madrid, durante il quarto round di colloqui fra le delegazioni commerciali americana e cinese guidate rispettivamente dal segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, e dal vicepremier cinese He Lifeng. Trump ha usato toni entusiastici per annunciarlo: “E’ stato anche raggiunto un accordo su una ‘certa’ azienda che i giovani del nostro paese desideravano fortemente salvare. Saranno molto contenti!”. La “certa azienda” è  TikTok, la controversa app più volte accusata anche dallo stesso Trump di rappresentare non solo un pericolo per i dati degli americani, ma anche uno strumento della guerra cognitiva della Cina contro l’America. 

 

Le due delegazioni ieri a Madrid si sarebbero accordate per permettere a TikTok di operare negli Stati Uniti: domani scade l’ultimo rinvio al divieto imposto dalla Casa Bianca, che avrebbe dovuto costringere la proprietà ByteDance a vendere la divisione statunitense o a subire la cancellazione dagli store. Secondo Bessent, sarà necessario probabilmente un ulteriore rinvio ma l’accordo fra Washington e Pechino porrà l’app sotto “proprietà controllata dagli Stati Uniti”. Non si conoscono ulteriori dettagli dell’accordo, che dovrebbe essere l’ultimo ostacolo prima di un incontro di persona fra Trump e Xi. Il rapporto tra l’America e la Cina “resta molto forte!!!”, ha sottolineato ieri il presidente americano, che secondo il Wall Street Journal avrebbe usato TikTok durante la campagna elettorale “convinto in parte da suo figlio Barron e da sostenitori come Kellyanne Conway, consulente senior al suo primo mandato che ha lavorato per conto degli alleati di TikTok per promuoverne l’utilizzo”. Il 19 agosto scorso, anche la Casa Bianca era tornata con il suo profilo ufficiale sull’app cinese, ancora formalmente vietata sugli smartphone dei dipendenti del governo federale. 
La notizia dell’accordo e della ricerca di un appeasement da parte della Casa Bianca con Pechino arriva non solo a due settimane dallo show di forza di Xi Jinping alla parata militare del 3 settembre, ma anche a poche ore da alcuni segnali non proprio distensivi da parte cinese. Ieri l’amministrazione statale per la Regolamentazione del mercato, agenzia che fa parte del Consiglio di stato della leadership cinese, ha fatto sapere di aver riscontrato, dopo un’indagine preliminare, che il colosso tecnologico americano Nvidia avrebbe violato la legge antitrust cinese. Nvidia, fondata a Taiwan da Jen-Hsun Huang, è stata a lungo al centro della disputa dei dazi fra Washington e Pechino e della limitazione dell’export da parte americana, ma la Cina accusa l’azienda di aver violato le regole durante l’acquisizione da 6,9 miliardi di dollari, avvenuta nel 2020, di Mellanox Technologies, un’azienda israelo-americana di reti e trasmissione dati.

 

Il mese scorso Trump aveva dato il suo consenso a Nvidia per riprendere le vendite dei microchip di tipo H2O in Cina,  che aveva precedentemente bloccato. Subito dopo era stata la leadership cinese a impedire alle sue aziende di acquistare quei chip, e ora arriva l’indagine che, come annunciato dai funzionari cinesi, andrà avanti e verrà approfondita. Oltre alla questione dell’export di tecnologie sofisticate, tra le due delegazioni restano aperte diverse questioni. La Casa Bianca chiede a Pechino di controllare il flusso di elementi chimici usati per produrre il fentanyl, e di aumentare le importazioni di soia dall’America. Ieri il Global Times, media in lingua inglese della propaganda cinese, in un editoriale scriveva che la soia americana invenduta è una diretta conseguenza delle politiche dei dazi di Trump: “Gli agricoltori statunitensi non dovrebbero pagare il prezzo della guerra commerciale di Washington con la Cina”. C’è poi la questione del sostegno all’economia della Russia da parte della Cina. Sabato scorso il presidente americano ha chiesto ai paesi Nato di imporre dazi del 50-100 per cento sulla Cina come sanzioni secondarie che sarebbero di “grande aiuto” per porre fine al conflitto contro l’Ucraina. L’America per ora ha imposto dazi del 25 per cento contro l’India per l’acquisto da parte di Delhi di petrolio russo, ma ha lasciato il dossier Cina lontano dalla questione ucraina. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.