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alle urne

Ragioni per diffidare dall'idea di Starmer: il voto anche ai sedicenni. Con un ma

Federico Freni

Gli interrogativi sul senso della partecipazione democratica in un’epoca di crescente disinteresse. Estendere il diritto di voto ai più giovani, senza un ripensamento complessivo della cittadinanza attiva, rischia di essere solo un gesto simbolico e inefficace

Al voto, al voto! In una stagione attraversata da un astensionismo crescente, la chiamata alle urne degli adolescenti inglesi a partire dai 16 anni, prima della maggiore età legale, ha l’indubbio merito di scuoterci da un sonno profondo. Una condizione che rischia di diventare cronica e che è molto pericolosa. Da troppo tempo, infatti, assistiamo ai riti delle nostre democrazie come in un’anestesia collettiva fatta di maratone e commenti, che ci illudono che le Istituzioni andranno avanti come sono sempre andate o, peggio, ci raccontano che collasseranno con toni difficili da prendere sul serio. Quelle stesse Istituzioni sono invece sotto assedio costante, e non, si badi bene, per questo o quello spauracchio del momento, ma per il crescente disinteresse che le circonda. Le Istituzioni, tutte indistintamente, nascono per essere costantemente presidiate dalla partecipazione collettiva, da un muro di cui tutti i cittadini portano quotidianamente il loro mattone, un muro che va difeso e irrobustito. Le fila dei difensori vanno nutrite, incoraggiate. Vanno incentivate anzi, a trasformare l’atteggiamento di difesa in azione propositiva, in ambizione collettiva.


Quindi tutto bene? nemmeno per sogno! Anzitutto: siamo sicuri che l’idea del premier britannico, Keir Starmer, abbia una sua validità che vada oltre il mero consenso elettorale? Io temo di no. Temo che questa proposta non sia altro che un sintomo del nostro stato di relativismo e di apatia verso le esigenze del sistema. Beninteso, nessun pregiudizio ci deve trattenere quando si parla di espandere il corpo democratico, ma per una valutazione compiuta della questione bisognerebbe forse sciogliere prima un nodo: la scarsa partecipazione alla vita politica attiva può essere curata con il panno caldo del diritto di voto a 16 anni? Una prima risposta rimanda ad altri interrogativi: è opportuno che anche la maggiore età legale, come quella per guidare, sposarsi o firmare un contratto, scenda a 16 anni? Perché deve essere chiaro che votare è solo una delle molte facoltà che appartengono alla sfera dei diritti riconosciuti ai diciottenni. Se sedici anni è meglio di diciotto, parliamone. Facciamolo, però, guardando all’insieme, unendo cioè i puntini di un disegno culturale che non può considerare il diritto di voto al difuori di un contesto più ampio, come se fosse sganciato dalla realtà quotidiana di chi quel diritto, dovrebbe esercitarlo.


Peraltro, isolare l’esercizio del voto dalle altre dimensioni dell’età adolescenziale rischia solo di enfatizzare un riconoscimento, senza conferirgli il giusto valore. Il rischio, anzi, è ancora maggiore: il voto apparirebbe come un trofeo da esibire per sentirsi adulti, noncuranti del fatto che si rinuncerebbe a coltivare il resto dell’alfabeto emotivo e democratico. Tra l’altro, continuando su questa strada, di proposta in proposta, si potrebbe arrivare un giorno a discutere di un ulteriore abbassamento della soglia. Dopotutto i ragionamenti mediani escludono gli estremi e chi ha avuto a che fare con certi quindicenni brillanti e maturi potrebbe preferirli singolarmente al proprio odiato vicino di casa nato quando al Quirinale sedeva De Nicola. Insomma, non è con ragionamenti semplicistici e destrutturati che si possono compiere scelte che incidono sulle regole del gioco. C’è, infine, un ulteriore aspetto da considerare. Il voto ai sempre più giovani, avulso dal ragionamento di insieme, si configurerebbe come una sorta di eccitazione del momento, che rischierebbe addirittura di mandare un messaggio diseducativo: quello che votare sia l’unico modo di servire alla Democrazia, di essere parte attiva della civitas politica, quando invece per chi è molto giovane potrebbe addirittura non essere il migliore. Su questo probabilmente molti giovani già impegnati potrebbero dirci moltissimo, ma qualcuno ha davvero chiesto loro cosa ne pensano?

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