sulla testa di kyiv

L'uomo e le parole chiave di Mosca per circuire Trump

Micol Flammini

Il capo della Casa Bianca ha annunciato una telefonata con Putin. Ecco come si prepara la Russia

Basta un colpo di telefono e tutto può cambiare nelle priorità di Donald Trump. Il presidente americano  ha annunciato la scorsa settimana che parlerà con il capo della Federazione russa, Vladimir Putin. Mosca si sta preparando alla conversazione e l’esercizio di accerchiamento del capo della Casa Bianca va ben oltre le stanze del Cremlino. Trump all’Aia ha incontrato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il bilaterale è stato produttivo, secondo Kyiv. Zelensky ha parlato a Trump delle città che Mosca bombarda, prendendole di mira a una a una con una quantità di missili e droni difficili da controllare per la contraerea. Ha parlato delle difficoltà sul campo di battaglia, della necessità di comprare missili Patriot, della situazione nelle zone occupate. 

Zelensky ha assicurato che la delegazione di Kyiv è pronta a incontrare di nuovo quella russa per discutere i prossimi punti. Ieri il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha detto che lo stallo nei negoziati dipende esclusivamente “dal regime di Kyiv”. Su un punto, russi e ucraini sono d’accordo: i colloqui non avanzano. Mosca non è interessata alla pace, l’Ucraina lo sa, ma non può far vedere a Trump di essere la prima a desistere. E’ difficile però tenere il presidente americano concentrato sugli sforzi di Kyiv, perché Putin è abile a rigirare la mente di Trump e per farlo ha messo in piedi una struttura solida. Contano le parole che spende durante le telefonate, ma contano anche gli uomini di cui si circonda. Uno è più attivo di altri, parla un inglese perfetto, sembra conoscere la lista delle esigenze trumpiano, va a caccia di parole d’ordine e da alcuni giorni si muove con alacrità per stuzzicare la curiosità di Trump. Kirill Dmitriev è il capo del Fondo russo per gli investimenti all’estero, è nato a Kyiv, ha un passato negli Stati Uniti, ha un presente nella corte di Putin. L’ultima volta che l’inviato americano Steve Witkoff è stato in Russia, Dmitriev lo ha condotto nelle vie principali della capitale per una passeggiata in compagnia delle mogli e della sicurezza. Sono giorni che Dmitriev sfoggia tutto il suo trumpismo. Lo fa da mesi, ma spesso incrementa la sua attività quando è in vista un appuntamento importante. Il giorno del vertice della Nato all’Aia ha pubblicato una vignetta con un trono con la scritta Trump e tappeti rossi, con i capi di stato e di governo seduti attorno a un tavolo giusto ai piedi del trono. Nei giorni successivi ha iniziato a chiamare il capo della Casa Bianca “daddy Trump”, scimmiottando le dichiarazioni del segretario della Nato Mark Rutte. Poi ha continuato a insultare l’ex presidente americano Joe Biden, pubblicando immagini del suo ultimo periodo alla Casa Bianca, con le sue difficoltà motorie e i suoi impedimenti nel parlare, ben sapendo quanto al presidente americano attuale piaccia il confronto con il predecessore. Più avanti ha lodato la decisione di togliere le sanzioni americane che bloccavano la costruzione della centrale nucleare Paks II in Ungheria, che verrà  realizzata dai russi. Infine ha iniziato a cavalcare le polemiche sul candidato sindaco di New York per il Partito democratico, Zohran Mamdani, facendo attenzione a un aspetto molto preciso della sua campagna elettorale: Mamdani ha detto che la città con lui non sarà più un posto per miliardari e Dmitriev ha invitato i miliardari ad andare a Mosca, che ne è sempre in cerca. Nei suoi post ci sono nemici e amici, l’Unione europea è accusata di essere bugiarda, ogni decisione di Trump viene esaltata, riproposta, scandagliata in modo da creare un legame tra il presidente e la Russia. Dmitriev non è una figura improvvisata, fa parte del corteggiamento del Cremlino che sta dimostrando di conoscere bene il presidente americano, di averlo studiato e di ritenerlo  prevedibile. Bastano poche parole e Trump con i russi si sente a casa, è sufficiente seguire il dizionario di conversazione di Dmitriev su X: “Daddy”, pace, denaro, bufala, Joe Biden, investimenti, “premio Nobel per la Pace”. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)