
(AP Photo/Vahid Salemi)
in iran
Il regime iraniano seppellisce i suoi morti tra sospetti e complotti
Teheran si prepara ai funerali degli scienziati e dei comandanti uccisi nell'attacco degli Stati Uniti. La débâcle della Repubblica islamica ha scosso il paese. Ora la sfida è arginare con la forza della repressione chi può minare l'unità, mentre si tenta di recuperare il credito perduto tra i sostenitori del regime
“La storia dell’Iran si dividerà in un prima e in un dopo l’aggressione dell’entità sionista e dell’America” ha detto ieri, a Teheran, alla preghiera del venerdì l’hojjatoleslam Seyyed Mohammad Hassan Aboutorabifard. E in effetti, nel magma della retorica vittoriosa che stilla, dal giorno della tregua, da tutte le emanazioni della Repubblica islamica, l’ammissione che nulla sia come prima è forse l’unica scintilla di verità emersa finora.
Il dopo è nei crateri delle basi militari sventrate, nello scheletro di Seda va Sima, il palazzo di vetro della tv di stato, è nell’odore di bruciato che ancora si respira vicino ai palazzi che ospitavano gli appartamenti degli scienziati e dei comandanti pasdaran, ma più ancora, il dopo è nei funerali che il regime si appresta a celebrare, davanti ai cancelli dell’Università di Teheran, per questi stessi scienziati e questi stessi comandanti. Perché l’obiettivo in questo genere di occasioni è sì ricordare i morti, ma soprattutto rammentare ai vivi da che parte si sta, e ogni cosa, ogni singolo aspetto della coreografia, dai cartelli, agli slogan, alla formulazione delle preghiere, alle lacrime esibite da un generale o da un pezzo grosso della nomenklatura clericale, punta a suscitare commozione, a rinfocolare l’appartenenza e a imprimere un segnale di continuità.
Questa è la sfida che Repubblica islamica dovrà affrontare nelle prossime settimane. Da un lato arginare con la forza della repressione gli altri, quelli che nello schema binario tra “noi” e “loro” (khodi/gheyr-e-khodi) sono gli outsider, e dall’altro però, anche riguadagnare il credito perduto tra i sostenitori del regime. Poiché per quanto ardita possa essere la retorica, è chiaro anche agli insider che l’asse della resistenza è crollato come un castello di carte, che dopo decenni di minacce e di provocazioni, quando è saltato il tabù del confronto diretto con Israele, la difesa aerea iraniana è stata bucata come una forma di groviera e niente è stato più al sicuro, non le installazioni nucleari che hanno divorato miliardi di dollari, non i comandanti pluridecorati e men che meno i cittadini, soli davanti alle bombe senza sirene che li avvertissero o rifugi che li accogliessero.
Dinnanzi a una débâcle di questa portata, difficile credere che persino ai lealisti, cresciuti a pane e ideologia, basti la rassicurazione del messaggio dal bunker di Khamenei. Per questo motivo, mentre le chat pro regime traboccano di sdegno e costernazione, a Teheran si parla tanto di complotti e il regime, più frantumato che mai, tenta di correre ai ripari chiamando a raccolta quel che resta degli uomini migliori. C’è da chiedersi quale potrà essere il ruolo di Esmail Qaani, una delle ultime figure rimaste del nucleo storico di pasdaran che si formarono negli anni della guerra Iran-Iraq. Numero due del famigerato “principe delle ombre” Qassem Suleimani, Qaani è stato dato per morto all’inizio della guerra dei Dodici giorni, ma è ricomparso, più vivo che mai, martedì sera, a Teheran, e chissà che il generale finora considerato abile e influente, ma poco carismatico, possa finalmente conquistarsi, da sopravvissuto, un posto di rilievo nella storia, anche sentimentale, dei pasdaran. Difatti molti osservatori si chiedono se ricomparirà alle esequie dei suoi compagni d’armi. Se lo domandano perché a Teheran si respira ancora paura e incertezza, incertezza anche riguardo alla durata della tregua, mentre sui telefoni cellulari dei cittadini, tra una clip e un’altra del discorso di Khamenei, arrivano messaggi che invitano a denunciare “movimenti sospetti”, a fotografare veicoli insoliti e a caricare le informazioni raccolte sul portale delle Guardie rivoluzionarie. Giovedì notte è circolata la notizia di un incendio in un complesso residenziale che ha seminato il panico, seguitano ancora gli avvistamenti di droni e il funerale del capo dei pasdaran, Hossein Salami, che doveva svolgersi giovedì mattina, alle nove, a Golpayegan è stato annullato per “motivi di sicurezza”.
