Il rischio di una chiusura di Hormuz per l'Iran

Chi è Ali Akbar Ahmadian, segretario del Consiglio supremo per la Sicurezza dell'Iran che difese il porto di Bandar Abbas durante la guerra con l'Iraq

Giulia Pompili

Teheran minaccia di bloccare lo Stretto, ma dal punto di vista tattico è un'arma difficile da usare. L’Iran non ha la certezza di poter chiudere davvero il passaggio, e la Cina – principale alleato e cliente – potrebbe non approvare. Scenari possibili

La chiusura dello Stretto di Hormuz è stata in passato periodicamente minacciata dall’Iran, ma sin dall’attacco ai siti nucleari iraniani da parte dell’America è diventata la più importante risorsa strategica nelle mani della leadership di Teheran. Secondo fonti militari contattate dal Foglio, le intelligence occidentali in questo momento non hanno chiara la reale ed effettiva capacità da parte dell’Iran di attuare una chiusura o di rendere significativamente più difficile l’attraversamento dello Stretto di Hormuz, sia dal punto di vista militare sia operativo.  

 

Dopo che domenica scorsa il Parlamento di Teheran ha approvato il blocco di uno degli stretti più importanti – forse il più importante dei traffici marittimi internazionali – ora la decisione  è nelle mani del Consiglio supremo per la Sicurezza nazionale. Il segretario del consiglio da poco più di due anni è Ali Akbar Ahmadian, che ha fatto carriera nelle Forze navali del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, comandava la Marina iraniana durante la guerra con l’Iraq ed è considerato un abile stratega militare vicino a Qassem Soleimani, il generale ucciso da un drone americano nel 2020. Ahmadian conosce la guerra ibrida navale, ma non è detto che l’Iran abbia attualmente la capacità di bloccare lo Stretto di Hormuz – anche dal punto di vista della struttura di comando – e soprattutto che voglia giocarsi questa carta estrema subito, senza prima tentare di passare attraverso reazioni meno totalizzanti. 

 

I precedenti attacchi a Hormuz, senza mai essere delle vere chiusure, hanno avuto sempre esito negativo anche per l’Iran. Negli anni Ottanta, durante la Tanker war, la guerra delle petroliere, Iraq e Iran presero a colpire  i rispettivi cargo di greggio nel tentativo di danneggiare reciprocamente le capacità di finanziamento del conflitto. Tra il 1987 e il 1988 l’America iniziò a scortare con la sua Marina le petroliere del Kuwait, l’Iran fu costretto ad attaccarle, anche minando il passaggio e creando diversi incidenti: la reazione americana a morti e feriti portò Teheran a tornare sulla via diplomatica. 

 


Secondo diversi analisti la teoria del blocco del passaggio lungo trentatré chilometri tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman, dove passa circa il 20 per cento dei flussi globali di petrolio e gas, è “impraticabile” anche perché danneggerebbe l’economia dell’Iran e dei suoi principali alleati, come la Cina, dove è destinato oltre il 90 per cento delle esportazioni petrolifere dell’Iran. E’ anche per questo che domenica scorsa il segretario di stato americano Marco Rubio ha detto a Fox news: “Incoraggio il governo cinese a Pechino a contattare l’Iran per questo, perché dipende fortemente dallo Stretto di Hormuz per il suo petrolio, se lo chiudessero sarebbe un suicidio economico per loro”.

 

 

Per ora la Repubblica popolare cinese si mantiene nella sua fase di cautela, e infatti ieri durante la consueta conferenza stampa a Pechino il portavoce del ministro degli Esteri Guo Jiakun ha detto che “il Golfo persico e le acque circostanti rappresentano una via importante per il commercio internazionale di beni ed energia”, e ha chiesto di “mantenere la regione sicura e stabile” nell’interesse “condiviso della comunità internazionale”. Due analisti militari ascoltati dal Foglio credono più probabile però l’ipotesi di un “modello Mar Rosso”, con il transito speciale riservato alle sole navi considerate amiche, come quelle cinesi. Messa da parte l’ipotesi di un blocco, l’altra opzione nelle mani di Ali Akbar Ahmadian è quello di rendere difficile e pericoloso il transito per le navi non amiche, obbligandole a pagare molti soldi di assicurazioni e a trovare rotte alternative. Sin dal 2019 Iran, Russia e Cina compiono esercitazioni militari congiunte navali davanti allo Stretto di Hormuz. Durante le ultime, tre mesi fa, le tre Marine hanno testato il cosiddetto “jamming” del Gps, un segnale di disturbo che crea malfunzionamenti al sistema di navigazione satellitare delle navi. Il jamming è considerato un atto ostile dalla comunità internazionale, perché rende pericolosi i passaggi. Prima del 2019 non è detto che Marina iraniana fosse in grado di utilizzare quella tecnologia. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.