il libro

Fine dell'illuminismo e guerra. Un'idea dell'America di Trump

Maurizio Crippa

“Il momento straussiano” (Liberilibri). Un saggio molto attuale di Peter Thiel, il tycoon-filosofo che non crede alla democrazia 

"Gli attuali dibattiti politici rimangono inadeguati alla situazione mondiale contemporanea nella misura in cui, in tutto lo spettro, permane la negazione del ruolo fondante della violenza causata dalla mimesi umana e, quindi, una sistematica sottovalutazione della portata della violenza apocalittica”. Ci prendiamo la libertà di molto semplificare, non ce ne voglia René Girard: la sua nozione di “mimesi” qui ha esattamente il senso dell’invidia competitiva per le risorse altrui (fosse pure la Bomba) e dell’emulazione degli avversari nella violenza necessaria a conquistarle. Escalation, verrebbe da dire. E “violenza apocalittica” non è espressione puramente filosofica o teologica. Lo sapeva bene l’autore di quelle parole, Peter Thiel: oggi imprenditore tra i più potenti nel mondo, capo di Palantir Technologies, re dei big data ed eminenza grigia (materia grigia?) dell’Amministrazione Trump. Due aspetti che fanno spesso dimenticare la sua altra personalità, di filosofo politico, che già nel 2009 si definiva un libertario pentito che “ha smesso di credere che democrazia e liberalismo siano compatibili”. Quelle frasi non sono state scritte ora, mentre la violenza ribolle ovunque nel pianeta, ma nel 2007: quando la stagione di George W. Bush volgeva al termine e quella dei neocon con lei e si profilavano gli anni del pacificato regno liberal di Barack Obama, in cui sarebbe bastato leading from behind il mondo. Parole che rilette ora si fanno più minacciose, o profetiche. Perché la “sistematica sottovalutazione della portata della violenza apocalittica” porta con sé una conseguenza: “Le armi nucleari pongono un dilemma terribile, ma si potrebbe (appena) immaginare uno stallo nucleare in cui una manciata di stati rimanga bloccata in una Guerra fredda. Ma se la mimesi spingesse altri a cercare di acquisire queste stesse armi per il prestigio mimetico che conferiscono, in modo che la situazione tecnologica non sia mai statica, ma contenga invece una potente dinamica di escalation?”. Nucleare, escalation: le prime pagine di oggi. 

 

Le parole di Thiel vengono da un suo breve saggio che si intitola Il momento straussiano, lo pubblica ora in italiano Liberilibri, a cura e con una ottima introduzione di Andrea Venanzoni. Che la sua riflessione sui temi  sicurezza e (eventuale) libertà ispirata al pensiero di Leo Strauss riletto attraverso Girard sia attuale in questo momento oppure no, è una buona domanda: dopo soli cinque mesi di presidenza Trump Elon Musk se n’è iuto in rotta col capo; Trump che annunciava la pace take away è passato alle maniere forti, non si sa con quanta convinzione; e J. D. Vance, pupillo di Thiel ma voce di quella base che non vuole saperne di guerre è sottotraccia. Difficile dire se l’impostazione teoretica che Thiel dava alla questione della violenza e del suo governo nella storia in un breve saggio di quasi vent’anni sia oggi in cima ai pensieri del mondo Maga.

 

Thiel non è un immobiliarista che ce l’ha fatta, né un anarco-mattoide come Musk e nemmeno un hillbilly-catholic come Vance, agostiniano all’ingrosso (ma Francis Prevost lo bastonò alla prima occasione). La seconda personalità di Thiel, che non va mai slegata dalla prima, è quella di ottimi studi, di intellettuale vero, tedesco-sudafricano che ha succhiato nell’infanzia in Namibia teoria e pratica del razzismo e della diseguaglianza; poi cresciuto ferocemente contrarian nella Stanford ultra liberal degli anni 80 del secolo scorso e approdato, tramite il suo maestro René Girard, alla scoperta del pensiero politico anti illuminista. Lo racconta bene Monica Maggioni nel suo libro The Presidents (al plurale), in cui lo chiama “l’uomo nell’ombra”. Suggerendo appunto di non considerarlo come un matto, un mostro nell’acquario, un prodotto perverso della (buona) ideologia californiana, come invece si fa un po’ troppo spesso, confinandolo in una sorta di leggenda nera. Sottovalutare Thiel e quel che gli sta intorno è un errore. Soprattutto da parte di una cultura mediatica, come la nostra liberal-provinciale, che per decenni ha considerato profeti in terra Steve Jobs e persino il mediocre Bill Gates. Noi che in fatto di imprenditori filosofi siamo fermi ad Adriano Olivetti. Ci sono motivi a sufficienza per prendere sul serio il pensiero politico di questo discepolo di Girard, eretico agostiniano, cultore di Hobbes e di Strauss, che ha fondato su buoni studi e solide pezze d’appoggio una critica radicale alla civiltà liberale, da Locke in poi, di cui denuncia la crisi e il disfacimento.

 

Scritto qualche anno dopo l’11 settembre, il saggio parte dall’interpretazione di Ground Zero come riscoperta da parte del popolo americano di una radice di inimicizia rispetto a un nemico non solo religioso, che il “Washington consensus” sembrava aver esorcizzato per sempre. Il punto di partenza è insomma, come riassume Venanzoni, il “processo di scomparsa del pensiero sulla natura umana… l’illusione di sconfiggere la violenza smettendo di parlarne”. Per ottenere questa falsa pacificazione, insegna Strauss, si è dovuta cancellare la verità della tradizione antica, dei valori fondativi umani, anche religiosi. “Ma perché si dovrebbe tornare alla tradizione più antica, quando il nuovo mondo del commercio e del capitalismo sembra in ogni suo aspetto molto più semplice, felice e pragmatico?”, si chiede Thiel: “Carl Schmitt offre un’alternativa estrema a Locke e a tutti i pensatori dell’Illuminismo. Ammette, come fecero i firmatari di Vestfalia, che non ci sarà mai un accordo sulle cose più importanti, su questioni di religione e virtù e sulla natura umana”. Invece Schmitt ritiene che “è parte della condizione umana essere divisi da tali questioni ed essere costretti a schierarsi. La politica è il campo di battaglia in cui avviene questa divisione, in cui gli uomini sono costretti a scegliere tra amici e nemici. ‘I punti più alti della grande politica’, dichiara Schmitt, ‘sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico’”. Maverrà il momento di reagire a questo declino e nel pensiero, qui solo abbozzato, di Thiel il trionfo e la mission della tecnologia – ad esempio il controllo sui big data in chiave di sicurezza – sarà essenziale. Da queste idee nasce l’idea della convergenza tra innovazione tecnologica e sicurezza, l’idea che, in fondo, la democrazia non sia utile e che non lo sia lo “Stato” – il grande attacco Doge alle strutture pubbliche non nasce soltanto da idee pasticciate.

 

Thiel guarda più a Girard che a Strauss, ma “nel racconto di Girard… la guerra continua a intensificarsi e non c’è un punto di arresto razionale” se non nell’avvento di un capro espiatorio. Ma qui siamo alla teologia, non alla politica, e i sentieri dell’anti illuminismo si fanno decisamente oscuri. Scrive Thiel: “Si può definire ‘liberal’ chi non sa nulla del passato e di questa storia di violenza e continua a sostenere la visione illuministica della bontà naturale dell’umanità. E si può definire ‘conservatore’ chi non sa nulla del futuro e del mondo globale, e quindi crede ancora che lo stato nazionale o altre istituzioni radicate nella violenza sacra possano contenere la violenza umana illimitata. Il presente rischia di essere una terribile sintesi dei punti ciechi”. Una discreta visione del caos, possiamo dire, ma dominata da una ferrea volontà di dominarlo.

 

Se Thiel abbia ragione o meno, può essere lasciato al dibattito, a patto di non volerlo liquidare semplicemente come un nazistoide venuto dalle miniere della Namibia, come un cultore di un “illuminismo oscuro” e persino della ricerca dell’immortalità. In questa sua radicale critica dell’uguaglianza – The Diversity Myth, un attacco frontale al multiculturalismo e all’intolleranza liberal nelle università era stato il suo primo saggio: quelle di Trump sugli atenei non sono mattane – coniugata nello sviluppo tecnologico e nel controllo sociale c’è moltissimo della cultura del trumpismo oggi al potere.

 

Il piccolo saggio che Liberilibri pubblica può aiutare a inquadrare meglio l’America di cui, sbagliando, molti pensano che Trump sia solo un interprete causale, o istintivo, ma inconsapevole e fondamentalmente passeggero. Scrive Venanzoni: “Sbagliano, e sbagliano grossolanamente, tutti quegli interpreti che cercano il vero senso esistenziale dell’Amministrazione Trump, fortificata dal nucleo duro di imprenditori di cui Thiel è mente pensante e braccio finanziario perfezionato, in bizzarri neo-medievismi o in teoriche neocamerali o, più in generale, in un mero populismo dalle venature anti democratiche”. Le parole d’ordine che scorrono nelle vene della nuova, profondamente diversa America di cui Thiel è stato uno dei grandi forgiatori, e di cui con evidenza detiene molte chiavi, sono altre: “Libertà attraverso la sicurezza, consapevolezza della forma inquieta della violenza, pericolo della stagnazione culturale, tecnologica e spirituale, tragedia dell’addormentamento catatonico delle forze innovative d’occidente”. Il momento Thiel non è casuale.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"