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L'editoriale del direttore

Parlare agli elettori da adulti si può, anche su Israele. La lezione di Merz

Claudio Cerasa

Con formidabile coraggio, il cancelliere tedesco tenta di svegliare l’Europa dal suo torpore, dai suoi imbarazzi e dalle sue ipocrisie. Si scrive lavoro sporco, si legge libertà

C’è una nuova formidabile locomotiva in Europa che ha iniziato a trainare i vagoni europei non grazie al suo infinito carburante economico, che al momento scarseggia, ma grazie alla sua incredibile e ritrovata leadership politica, strategica, militare e persino morale. La nuova formidabile locomotiva che con coraggio sta tentando di svegliare l’Europa dal suo torpore, dai suoi imbarazzi, dalle sue ipocrisie, dai suoi vizi, dai suoi tabù, è guidata dal più grigio dei leader europei, Friedrich Merz, che nel giro di poche settimane, da quando cioè è diventato cancelliere dopo aver rischiato di non esserlo a causa del più italiano degli scherzi politici possibili, i franchi tiratori, ha messo insieme una serie di azioni, una serie di ragionamenti e una serie di valutazioni che gli hanno consentito di impossessarsi della tessera numero uno del PdV: il Partito della verità. Merz ha deciso di trattare i tedeschi da adulti, non da bambini, chiamando le cose con il loro nome, e indicando con precisione tutte le frontiere necessarie da superare per proteggere i confini non solo della Germania ma anche delle nostre democrazie. Lo ha fatto quando si è trovato a ragionare sulla difesa dell’Ucraina e sulla lotta contro il fascismo putiniano, quando ha detto che l’Europa non si sarebbe dovuta sedere al tavolo con “un criminale di guerra”, quando ha detto che per difendere l’Ucraina la Germania non avrebbe più dato “alcuna limitazione sulla gittata delle armi”, quando ha detto che l’Europa avrebbe dovuto “esercitare ancora più pressione sulla Russia”.

 

                    

 

Ma lo ha fatto soprattutto negli ultimi giorni durante i quali, parlando di Israele, parlando cioè della guerra difensiva che lo stato ebraico sta portando avanti contro la minaccia di una teocrazia islamista pronta a dotarsi di bomba atomica, ha offerto lezioni di pragmatismo, di idealismo e di europeismo a buona parte dei leader europei. Merz, oltre ad aver confermato la fornitura di armi e materiali bellici a Israele, nel 2023 tra droni, sistemi difensivi, munizioni per carri, missili anticarro, ha trasferito a Israele un pacchetto del valore di circa 326  milioni, ha detto di essere stato informato direttamente da Netanyahu circa i raid israeliani sugli impianti nucleari e siti militari iraniani. Ha detto che Israele ha il sacrosanto “diritto alla difesa”.  

Ha detto che la minaccia di avere un Iran atomico è inaccettabile, e per questo ha detto che “il programma delle armi nucleari dell’Iran potrebbe essere completamente distrutto, se Teheran non torna a negoziare”, e che se l’esercito israeliano non ce la fa da solo, “gli americani hanno le armi necessarie”, per aiutare Israele. Ha riconosciuto che il regime iraniano “è molto indebolito”, che “probabilmente non tornerà alla sua forza precedente”, che “il futuro di questo paese è incerto”, e nel farlo ha ricordato che Israele, nonostante la tragedia di Gaza, sta creando le condizioni per disegnare un medio oriente libero dal cappio del regime iraniano, non più ostaggio della furia di Assad, non più ostaggio dei missili di Hezbollah, meno ostaggio della violenza di Hamas. Merz, martedì sera, in un’intervista a Politico, ha anche detto quello che dovrebbe dire ogni leader europeo interessato alla lotta contro il terrore, e fra i leader europei a essere su questa lunghezza d’onda al momento ce ne sono solo due, Keir Starmer a Londra ed Emmanuel Macron a Parigi, e così il cancelliere tedesco, due giorni fa, ha rotto un altro tabù, ha dimostrato che la difesa europea volendo la si può mettere in campo anche senza dover cambiare i trattati, arrivando a dire che “la Germania sta valutando la partecipazione alla campagna militare di Israele contro l’Iran”.

La frase più importante pronunciata da Merz negli ultimi giorni, rispetto alla difesa di Israele, è però un’altra ed è una frase che ci permette di tenere insieme due guerre difensive che l’occidente spesso fatica a tenere insieme: Israele e Ucraina. Merz, anche qui con formidabile coraggio, ha detto che Israele, dinanzi all’Iran, “questo lavoro sporco lo sta facendo per tutti noi”, perché “anche noi siamo vittime di questo regime dei mullah” e perché “questo regime dei mullah ha portato morte e distruzione nel mondo”. Fare il lavoro sporco per noi non è un’affermazione generica, puramente retorica, ma è la fotografia perfetta della fase storica in cui viviamo. Una fase storica in cui le escalation che spesso non vogliamo vedere sono quelle portate avanti dai regimi totalitari e dalle autocrazie criminali. E una fase storica in cui quando vi sono democrazie che colpiscono, per difendersi, i regimi totalitari e le autocrazie criminali che le vogliono annientare, quelle democrazie stanno facendo qualcosa di ancora più importante che difendere i propri confini, perché stanno difendendo confini ancora più grandi, che coincidono non con la difesa di uno stato sovrano ma con la difesa delle democrazie di tutto il mondo minacciate dai criminali di guerra e dalle teocrazie atomiche. Si scrive lavoro sporco, si legge libertà. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.