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L'amico americano

Dalle sanzioni a TikTok, tutti i favori che Trump sta facendo a Putin e Xi

Matteo Muzio

Fra deadline non rispettate e disinteresse, su Russia e Cina il parere del tycoon pare cambiato radicalmente. In cerca di una normalizzazione dei rapporti che finora ha portato pochissimi risultati concreti

Sarà pur vero, come dice un recente articolo dell’Atlantic, che Putin con Trump alla Casa Bianca ha perso la potente arma propagandistica dell’antiamericanismo che ha profonde radici nella Guerra fredda. Però il tycoon funziona come un’inesauribile macchina di “favori” per il presidente russo. Non si contano più ormai le deadline di “due settimane” senza conseguenze, che ricordano vagamente le linee rosse di Obama nei confronti del regime di Assad. Anche quando sembrava che nulla potesse impedire che un nuovo pacchetto di sanzioni venisse approvato dal Senato a larga maggioranza, ecco che ci sono “altre priorità”. In questo caso la crisi tra Israele e Iran. E dire che a inizio giugno i senatori Lindsey Graham e Richard Blumenthal, rispettivamente repubblicano e democratico, avevano lavorato per un nuovo pacchetto di sanzioni sulla scia di quello approvato nello stesso periodo dall’Unione europea. La luce verde da parte della presidenza però, tarda ad arrivare. Anche perché Trump vorrebbe che entro il 4 luglio venisse approvato il cosiddetto “Big Beautiful Bill”, deadline difficile per il lavoro di armonizzazione che deve essere fatto per la legge che definisce il budget di questo primo biennio trumpiano. Ergo ecco che il leader repubblicano al Senato John Thune parla di una deadline che andrà a finire nel “mese di luglio”, portando avanti il limite per Putin. Il senatore Lindsey Graham, uno dei due primi firmatari, ha promesso che però “non ci si scorderà” della Russia. Anche se il suo particolare trumpismo cortigiano ha fatto sì che lo scorso marzo, quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato attaccato da Trump nello Studio Ovale, il giudizio del senatore sul leader in guerra passasse nel giro di poche ore da “nuovo Churchill” a “personaggio immaturo”.

Sullo sfondo, una chiamata di Trump con il presidente russo è finita con una sorprendente offerta di “mediazione” nel conflitto tra Teheran e Tel Aviv – poi ritrattata, come spiegato da Trump stesso ieri: “Ho detto a Vladimir: fammi un favore, media per conto tuo. Mediamo prima per la Russia, ok? Di questo ti potrai preoccupare più tardi”. E sempre la Russia è protagonista di un’altra decisione della Casa Bianca: la  chiusura di un intergruppo di lavoro tra diverse agenzie federali per fare pressione sul Cremlino e spingerlo a entrare seriamente in una trattativa di pace con l’Ucraina. Secondo uno scoop dell’agenzia Reuters, infatti, Trump non avrebbe più interesse a spingere sull’argomento del negoziato, riscontrata la scarsa volontà di Mosca di perseguire altri obiettivi che non siano la vittoria militare e il cambio di regime a Kyiv

Infine, c’è un tema dove il cambiamento di Trump è stato perfino più radicale nel corso degli anni, e riguarda la Cina. Se nel suo primo mandato il tycoon vedeva il popolare social network TikTok come uno strumento della guerra ibrida di Pechino agli Stati Uniti, tanto da pensare anche di cancellarlo dagli app store (l’allora vicepresidente Mike Pence che lo definì la versione “digitale” del fentanyl, l’oppiaceo che sta causando un’epidemia di morti per overdose negli Stati Uniti), in questo mandato invece è andato contro il volere degli eletti repubblicani, che lo scorso anno avevano sottoposto l’ad di TikTok Shou Zi Chew a una durissima audizione, con il senatore dell’Arkansas Tom Cotton che lo accusava esplicitamente di essere segretamente membro del Partito comunista cinese. Prima Trump ha detto che intendeva favorire l’acquisto della piattaforma da parte di un acquirente americano, poi anche in questo caso se ne sta disinteressando, concedendo un ulteriore proroga all’entrata in vigore della legge bipartisan votata nel 2024 che dovrebbe costringere la proprietà cinese a cedere il controllo dell’app. In un recente editoriale sulla National Review, il deputato del Michigan John Molenaar, che presiede la commissione speciale sul contrasto all’influenza del Partito comunista cinese, ha detto che la vicenda si può concludere solo con l’allontanamento “dell’influenza cinese” dal controllo dell’app. Solo così, scriveva, si potranno tutelare gli interessi americani.

Nel frattempo, però, la Cina ha fatto pressioni su Bytedance per evitare che accettasse offerte americane su TikTok, per poter usare l’app come pedina di scambio sulle guerre commerciali con Washington su cui si sta ancora trattando. E probabilmente continuerà a farlo, dato che è improbabile che i mal di pancia dei senatori repubblicani porteranno a nulla di concreto al riguardo. Così mentre le notizie sono dominate dallo scenario mediorientale, Trump cerca di normalizzare le relazioni con Mosca e Pechino a colpi di favori. Finora, però, con pochissimi risultati concreti.
 

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