(foto EPA)

"Don Teflon"

Come Pedro Sánchez può sopravvivere anche a questa crisi

Guido De Franceschi

Nonostante scandali, alleati instabili e crisi gestionali, il premier spagnolo resta al potere grazie a una fragilità istituzionale che lo rende, paradossalmente, l’unico arbitro del destino del suo governo

Madrid. Il governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez è apparso gracile fin dalla sua nascita, nel 2023. Per ottenere una maggioranza risicata, peraltro in un paese già di suo non troppo abituato alle coalizioni, Sánchez ha dovuto infatti guadagnarsi il voto di vari partiti minori non molto compatibili tra loro, spesso capricciosi (eufemismo) e, almeno per quanto riguarda gli indipendentisti catalani di Junts e il Partito nazionalista basco (Pnv), guidati da dirigenti molto scaltri.  Da allora, la fragilità del governo è apparsa sempre più evidente e non solo per le continue tensioni tra il Psoe e i suoi alleati. Dapprima si è sfaldata la seconda gamba del governo, la coalizione di sinistra radicale Sumar. Poi hanno iniziato a circolare dubbi sulla moglie e anche sul fratello musicista di Cesare, inteso come Sánchez, i quali, in base a voci che hanno poi innescato delle indagini, avrebbero tratto indebiti vantaggi nella loro carriera usando l’illustre parentela. Queste voci non hanno ancora trovato conferma in sede giudiziaria, ma hanno dominato le news per mesi e hanno indotto Sánchez a una trovata inedita, ovvero la sua scomparsa dai radar per cinque giorni, nella scorsa primavera, per riflettere sull’opportunità di continuare a fare il premier a costo di esporre i suoi affetti più cari a indebite accuse. Poi è stato impossibile fare una legge di bilancio. E poi c’è stata la gestione goffa della catastrofica alluvione nella zona di Valencia nonché del grande blackout dello scorso aprile, riguardo al quale, proprio ieri, l’esecutivo ha fornito una spiegazione un po’ vaga.

 

La botta più forte al governo è arrivata però dalle indagini per i gravi episodi di corruzione di cui si sarebbero macchiati (le prove appaiono schiaccianti) l’ex ministro dei Trasporti nonché ex numero tre del Psoe José Luis Ábalos, il suo spicciafaccende Koldo García e, da ultimo, Santos Cerdán, che aveva sostituito proprio Ábalos come segretario dell’organizzazione del Psoe. Sánchez, dopo aver fatto per un paio di giorni la faccia contrita, è  passato al contrattacco sfidando il Partito popolare (Pp) e Vox a fare una mozione di censura, se ne hanno il coraggio. Tanta sicumera deriva dal fatto che, per quanto tutto possa precipitare in pochi istanti, nel caso in cui dalle indagini emergessero altri elementi o se all’interno del Psoe dovesse nascere una fronda che ancora non si intravede, solo Sánchez potrebbe praticare l’eutanasia al suo governo. Ma, rebus sic stantibus, non sembra intenzionato a farlo. E non solo perché la sua capacità di resistere a ogni scalfittura è leggendaria – ieri il Times ha intitolato un editoriale su di lui “Don Teflon”, spagnolizzando il soprannome (“Teflon Don”) che fu dato a suo tempo al boss mafioso italoamericano John Gotti. Infatti, per le regole istituzionali spagnole, è quasi impossibile far cadere un governo se non è il premier stesso a reputare inevitabile il rompete le righe. 

 

L’assenza di una maggioranza parlamentare – che forse ora Sánchez non ha, dal momento che Podemos rinfaccia al governo di non essere più abbastanza di sinistra e che dei partiti catalani e baschi non ci si può mai fidare ciecamente – non è infatti un problema insormontabile fino a quando il premier non dovesse decidere che, se non riesce più da mesi a far approvare nessuna legge, allora forse la situazione è davvero insostenibile. L’unica alternativa alle dimissioni volontarie è la mozione di censura, che è un meccanismo di sfiducia costruttiva: l’opposizione può indicare un premier alternativo e, se quel candidato ottiene la maggioranza dei voti in parlamento, da quel preciso istante è lui il nuovo capo del governo. Al Pp e a Vox mancano giusto alcuni voti per ottenere quella maggioranza. Ma, anche se forse oggi alcuni fra i partiti baschi e catalani non rinnoverebbero la fiducia a Sánchez, certo non la darebbero mai a un premier espresso dal Pp con l’appoggio di Vox, specie se si considera che i popolari menano vanto di aver fatto il diavolo a quattro, solo pochi giorni fa, per convincere gli altri partiti del Ppe a impedire l’ufficializzazione a livello europeo delle lingue minoritarie spagnole. Ed è ancora più da escludersi un voto favorevole da parte dei deputati di Podemos a un’eventuale tentativo di detronizzazione orchestrato dal Pp.  L’esito di una mozione di censura non è uno scherzo: l’unico ad averne vinta una in tutta la storia spagnola è stato, nel 2018, un certo Pedro Sánchez. Che, pur senza mai aver avuto, né allora né in seguito, una maggioranza solida, dopo sette anni è ancora lì, alla Moncloa.

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