Il ministro della Difesa Guido Crosetto e al suo fianco il direttore dell'Aise Giovanni Caravelli 

colloqui segreti

Da Tripoli a Roma, il piano dei servizi per controllare gli sbarchi

Luca Gambardella

L’agenda fitta di Caravelli: la grana Dabbashi, la guerra in Sudan e la richiesta di Haftar per ottenere addestratori

L’agenda del capo dei servizi di sicurezza esterna, generale Giovanni Caravelli, è stata piuttosto fitta negli ultimi giorni. Martedì era a Tripoli per incontrare i vertici del precario governo dell’ovest. Tre gli appuntamenti in programma, uno con il premier Abdulhamid Dabaiba, un altro con il ministro dell’Interno Emad Trabelsi e un terzo con il comandante delle milizie islamiste della Rada, Abdul Rauf Kara, che controllano l’aeroporto e il carcere di Mitiga. In tutti e tre gli incontri, il capo della nostra intelligence ha discusso di migranti. Secondo l’Unhcr, negli ultimi dieci giorni sono sbarcate sulle coste italiane oltre 1.500 persone, il 40 per cento in più rispetto alla settimana precedente, quasi tutti partiti dalla Libia. A fronte di circa 400 migranti intercettati dalla Guardia costiera libica, i numeri delle partenze tornano a preoccupare il nostro governo in vista dell’estate. 

          

Secondo fonti sentite dal Foglio, Caravelli ha discusso  dell’operazione lanciata in queste ore a Sabratha, nell’ovest del paese, dal ministero dell’Interno per smantellare i traffici di Ahmad Dabbashi. “Al Ammu”, lo zio come è soprannominato Dabbashi, è uno dei trafficanti di uomini più potenti dell’ovest. Come di consueto quando si parla di Libia, guardie e ladri sono spesso due lati della stessa medaglia e Dabbashi è passato ciclicamente dal ricoprire il ruolo di trafficante all’indossare i panni del guardacoste. Già socio in affari di Abd al Rahman al Milad, aka “Bija”, il capo della Guardia costiera libica e collaboratore dell’Italia nel controllo dei flussi migratori ucciso in un agguato lo scorso anno, anche Dabbashi, secondo svariate inchieste giornalistiche, era diventato uno degli interlocutori con cui l’Italia aveva tentato in questi anni di mettere un freno alle partenze. Nel 2017, fonti di Sabratha riferirono a diversi media internazionali che l’Italia versò circa 5 milioni di euro nelle tasche di al Ammu per fermare i barconi per qualche mese. Una collaborazione che però adesso pare destinata a interrompersi, da quando sui social è diventato virale un video molto violento che mostra le torture inflitte da Dabbashi a una ragazza libica uccisa lo scorso anno. Il video ha  suscitato indignazione nel paese e ha attirato accuse aspre anche nei confronti del sostegno italiano offerto ad alcune milizie. A stretto giro, i combattenti di Zawya comandati da Muhammed Bahroun, detto “al Far” che significa “il topo”, hanno attaccato gli uomini di Dabbashi a Sabratha. Bahroun è un altro personaggio poco raccomandabile: accusato dell’omicidio di Bija lo scorso anno è sempre rimasto a piede libero, coltivando rapporti più o meno stretti con il governo di Tripoli. Poche ore dopo la partenza di Caravelli dalla Libia, il ministro Trabelsi è intervenuto in prima persona ordinando l’arresto di Dabbashi e, secondo quanto risulta al Foglio, Bahroun  potrebbe ora rilevare le sue attività nella gestione dei migranti a Sabratha. Di certo, l’estromissione di Dabbashi evita ora all’Italia il rischio di incorrere in altre accuse imbarazzanti.

           

Risolto un problema a Tripoli, Caravelli è rientrato a Roma e si è diretto al Viminale, dove il giorno successivo, mercoledì, ha fatto parte della delegazione guidata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha dato il benvenuto a Saddam Haftar, uno dei figli del generale che governa l’altra fetta di Libia, quella della Cirenaica. Da ovest a est, il problema è sempre lo stesso per il governo italiano: i migranti. Qui la questione si intreccia con ciò che sta succedendo più a sud, al confine con il Sudan. La guerra tra le forze regolari e quelle paramilitari delle Forze di supporto rapido vede ormai il coinvolgimento diretto di Haftar al fianco di queste ultime, con l’obiettivo di controllare una fetta dei traffici transfrontalieri di questo angolo strategico.

 

Per l’Europa e per l’Italia, il dramma umanitario in Sudan finora si è tradotto in centinaia di migliaia di profughi che si sono riversati sulle coste libiche: gli arrivi dei sudanesi nei primi cinque mesi dell’anno hanno segnato un aumento del 134 per cento, secondo l’Unhcr. Il generale dell’est, Ibrahim al Arbd, responsabile del monitoraggio delle frontiere, ha detto che dall’inizio della guerra circa 25 mila sudanesi hanno valicato il confine tra Egitto e Libia. Un esodo che ha portato a 313 mila il numero di rifugiati e richiedenti asilo originari del Sudan e fuggiti in Libia in appena due anni. Tanti, se si considera che il paese ospita circa 800 mila migranti in tutto. Per l’Italia la porosità dei confini tra  Libia, Egitto e Sudan ha portato a un migliaio di sudanesi sulle nostre coste dall’inizio dell’anno, un numero che diventa notevole se sommato ai quasi 3 mila egiziani partiti sempre dalle coste libiche. Di tutto questo hanno parlato Caravelli e Piantedosi a Haftar, con il capo dell’Aise che ha approfondito la discussione il giorno successivo, giovedì, con il terzo appuntamento in agenda, stavolta in via Venti settembre, nella sede del ministero della Difesa a Roma. 

 

       

 

              

Qui Haftar ha dismesso gli abiti civili usati per incontrare Piantedosi per indossare la mimetica e fare visita al ministro Guido Crosetto, che lo ha accolto sempre insieme a Caravelli, al consigliere diplomatico, Guido De Sanctis, e al capo di stato maggiore della Difesa, Luciano Portolano. “Il generale Saddam ha sottolineato l’intenzione di rafforzare la partnership strategica tra le due parti e di aprire nuovi orizzonti di cooperazione al servizio di interessi comuni”, hanno fatto sapere dalla delegazione libica. Secondo quanto risulta al Foglio,  Haftar ha chiesto all’Italia un aiuto concreto occupandosi dell’addestramento dei suoi uomini per migliorare il controllo delle frontiere. Una questione che potrebbe essere approfondita a breve perché il capo del Comando operativo di vertice interforze (Covi), generale Giovanni Maria Iannucci, starebbe programmando una visita in Libia, sebbene ancora non confermata. Che possa includere una tappa a Bengasi, da Haftar, non è da escludere.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.