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London Tech Week 2025

L'AI e noi. Il gran discorso di Starmer contro l'internazionale luddista

Claudio Cerasa

Basta demonizzare l’innovazione. Basta scommettere sulle paure. La politica ha il compito di spiegare come l’intelligenza artificiale ci renderà più umani. Le parole del premier inglese 

Immaginatela come un’opportunità, non come una minaccia. Immaginatela come un’alleata, non come una nemica. Immaginatela come una leva utile a migliorare il mondo, non a peggiorarlo. E immaginatela come una forza che moltiplica, non come una forza che demolisce. Il primo ministro inglese, Keir Starmer, primo ministro progressista, riformatore, liberale, ottimista, ma non con la testa fra le nuvole, lunedì sera ha pronunciato un discorso formidabile, che meriterebbe di essere inoltrato su Whatsapp a tutti i leader politici europei, e soprattutto a quelli italiani. L’occasione in cui il discorso è stato pronunciato era speciale, era la London Tech Week 2025, e il primo ministro inglese, sfidando le correnti luddiste che attraversano in modo carsico le classi dirigenti internazionali, ha parlato di innovazione, ha parlato di tecnologia, ha parlato di futuro, ha parlato di intelligenza artificiale e lo ha fatto offrendo una chiave di lettura perfetta, seppure apparentemente paradossale, per provare a rivoltare come un calzino la retorica allarmista che immobilizza spesso la politica quando si ritrova a parlare di innovazione. Lo schema usato generalmente dalla politica europea per ragionare intorno ai temi legati all’intelligenza artificiale è quello che ormai conoscete. Alla visione del futuro, alla promozione della cultura del rischio, si preferisce tendenzialmente una visione diversa, all’interno della quale ci si preoccupa di più di come evitare di essere travolti dal futuro che di come provare a dominarlo. E dunque regole, norme, etica, deontologia. Starmer, invece, con coraggio, ribalta lo schema di gioco e arriva a spiegare con un concetto semplice e tutt’altro che paradossale la ragione per cui il futuro, anche quando si parla di intelligenza artificiale, non deve far paura.

L’intelligenza artificiale e la tecnologia, ha detto scandalosamente Starmer, semplicemente “ci rendono più umani”. Il momento in cui Starmer ha sviluppato in modo plastico questa consapevolezza è stato poco tempo fa. Quando, parlando con una funzionaria della Pubblica amministrazione inglese, ha capito come l’intelligenza artificiale stesse aiutando quella signora a ridurre, nelle sue attività, la burocrazia e il carico di lavoro. Dobbiamo capire, ha detto Starmer, che l’intelligenza artificiale ci aiuterà a trasformare il nostro lavoro, ci aiuterà a concentrarsi sull’elemento umano, ci aiuterà a svolgere alcune attività più velocemente. E tutti coloro che pensano, legittimamente, che l’intelligenza artificiale sia lì pronta a rubarci il lavoro devono capire, al contrario, che usare in modo intelligente l’intelligenza artificiale ci aiuterà semplicemente a lavorare meglio. Per questo, dice ancora Starmer, occorre costruire un mercato del lavoro dove le competenze relazionali, narrative, pedagogiche – che nessuna macchina può sostituire – diventino centrali. E per questo occorre insegnare a usare l’AI non solo come uno strumento, ma come un’opportunità per sviluppare pensiero critico, creatività, capacità di giudizio. Nel suo discorso, Starmer ha poi elencato casi specifici e concreti in cui l’AI può risolvere nodi strutturali (attese negli ospedali, burocrazia edilizia, gestione dell’asilo, personalizzazione educativa). Ha scelto di annunciare investimenti e iniziative importanti sull’intelligenza artificiale (l’apertura a Londra del quartier generale europeo della fintech Liquidity, una fintech basata sull’AI, con un investimento di 1,5 miliardi di sterline e un piano governativo da un miliardo di sterline per aumentare di venti volte la capacità computazionale del Regno Unito). 


 Ha chiesto ai suoi ministri di usare l’AI per riformare la macchina dello stato, partendo dall’interno, per snellire la burocrazia, migliorare l’efficienza degli ospedali e velocizzare le pratiche edilizie (facendo un passo avanti anni luce rispetto ai dibattiti italiani in cui si parla al massimo di digitalizzazione, ma quasi mai di come usare l’AI come leva strutturale per cambiare il modo in cui lo stato lavora). E infine, partendo dalla logica che lo stato ha la responsabilità di sfruttare l’opportunità di una tecnologia senza precedenti per migliorare la vita dei lavoratori, ha annunciato un investimento da 185 milioni di sterline per integrare l’AI nel sistema educativo, non dunque per assumere poliziotti per vietare l’AI nelle scuole, aggiungendo che entro la fine di questa legislatura l’Inghilterra dovrà essere in grado di guardare negli occhi ogni genitore, in ogni regione della Gran Bretagna, e dire: guardate cosa può offrirvi la tecnologia. Sintesi: “Possiamo mettere soldi nelle vostre tasche; possiamo creare ricchezza nella vostra comunità; possiamo creare buoni posti di lavoro, migliorare notevolmente i nostri servizi pubblici e costruire un futuro migliore per i vostri figli”. L’AI, è la sintesi del ragionamento di Starmer, ci libera da compiti ripetitivi e alienanti, lasciandoci più tempo per pensare, creare, empatizzare, e in fondo, da che mondo è mondo, l’essere umano si definisce non per ciò che è, ma per la sua capacità di diventare, di trasformarsi. Per questo, creare una terza via fra il tecno entusiasmo miope e il luddismo di ritorno è possibile. Basta solo avere il coraggio di occuparsi un po’ meno di regole, e un po’ meno di sciocchezze, e smetterla, a destra e a sinistra, di trasmettere ai cittadini il sentimento peggiore possibile per governare l’innovazione: avere paura del futuro. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.