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Pakistan

Repressa la manifestazione per liberare l'ex premier Khan. Il governo twitta su Gaza

Francesca Marino

Scuole e uffici chiusi, internet bloccato, linee dei cellulari sospese, divieto di assembramento per i prossimi due mesi. Il Pakistan è ancora una volta un paese sotto assedio per impedire ai cittadini di protestare contro i militari. Ma il premier Sharif continua a lodare l'esercito

Attari (al confine tra India e Pakistan). E’ finito tutto, almeno per il momento, come in genere finiscono queste cose in Pakistan: con un giornalista, Matiullah Jan, fatto sparire dopo essere statoi prelevato in pieno giorno dai “soliti noti”, bendato e gettato in una macchina, e con i suoi colleghi che tornano a parlare, con titoli da prima pagina, dello smog che assedia Lahore e dintorni e delle violazioni dei diritti umani compiute a Gaza da Israele. Mentre per più di quattro giorni il Pakistan è stato trasformato, ancora una volta, in un paese sotto assedio e la capitale Islamabad in una zona di guerra: strade e autostrade bloccate da container, scuole e uffici chiusi, internet bloccato, linee dei cellulari sospese, divieto di assembramento per i prossimi due mesi. Tutto per impedire a migliaia di cittadini di raggiungere D-Chowk, la zona della capitale in cui si trova gran parte degli uffici governativi, per protestare contro la detenzione dell’ex premier Imran Khan e chiederne il rilascio immediato. 

  
Khan, primo ministro dal 2018 al 2022, è stato estromesso da un voto parlamentare di sfiducia dell’opposizione e si trova in carcere da più di un anno con una serie di accuse che spaziano dalla corruzione al terrorismo passando per l’istigazione alla violenza contro le proprietà dei militari e al non aver atteso il necessario periodo legale tra il divorzio di sua moglie dal precedente marito e il nuovo matrimonio. Khan nega le accuse definendole politicamente motivate e orchestrate dall’esercito, sostenendo che tutte le condanne sono state annullate o sospese dalle corti d’appello per mancanza di prove, ma che le autorità continuano a presentare nuove accuse. Anche il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione arbitraria ha recentemente chiesto il rilascio immediato di Imran, affermando che è detenuto illegalmente e in violazione del diritto internazionale, ma non è servito a molto. I militari, che governano di fatto il paese, hanno un conto personale aperto con Khan: colpevole in ultima analisi di essere stato per anni il loro pupillo e di essersi infine ribellato. L’ultima accusa, che ha spinto i dimostranti a scendere in piazza prima che Imran finisca in giudizio, è un’accusa di tradimento: per cui, in teoria, potrebbe essere comminata la pena di morte. 

  
A scendere in piazza contro i dimostranti che cercavano di raggiungere D-Chowk (dove D, ironia del caso, sta per Democracy) sono stati la polizia e i corpi paramilitari: che non si sono limitati a lacrimogeni e proiettili di gomma ma, dopo aver tagliato l’elettricità a tutta Islamabad, hanno aperto il fuoco sui manifestanti. Non si conosce il numero esatto di morti e feriti perché, secondo quanto dichiarano i cittadini e i dottori dei pronto soccorso, l’esercito sta sequestrando tutte le cartelle cliniche e minaccia i medici e gli infermieri. Il giornalista di cui sopra, Maitullah Jan, è stato tolto di mezzo proprio perché cercava di accertare i fatti. Il ministro dell’Informazione Attaullah Tarar ha dichiarato che non ci sono stati spari contro i manifestanti del Pti e che non ci sono state vittime. Il ministro dell’Interno, Mohsin Naqvi, ha aggiunto  che gli agenti hanno “coraggiosamente respinto i manifestanti”, probabilmente convincendoli con tè e mazzi di fiori. E l’uomo che la polizia butta giù da un container, in un video diventato virale sui social, si è evidentemente suicidato. I seguaci di Imran hanno cancellato infine la protesta: per evitare un massacro, dicono, e perché circolava sempre più insistentemente la voce di una imminente imposizione della legge marziale. 

  
Il premier Shahbaz Sharif ha continuato imperterrito a twittare su Hezbollah, Hamas e Israele lodando appena l’esercito per aver ristabilito l’ordine nel paese e tutto è tornato alla normalità. La normalità di un paese in cui l’attuale governo di coalizione si trova al suo posto soltanto a causa dei brogli elettorali, in cui i candidati del partito di Khan hanno ricevuto, nonostante i brogli, più voti di chiunque altro ma non possono governare perché gli è stato negato un simbolo di partito ed erano candidati come indipendenti. In cui la stampa non può fare altro che passare i comunicati dell’esercito, pena la sparizione o la morte. Un paese in cui la commissione per i Diritti umani invita al dialogo senza menzionare la violenza abitualmente adoperata contro chiunque alzi la voce per protestare. E in cui oggi, più o meno in terza pagina, si parla dell’accaduto soltanto per accusare finalmente il vero colpevole del massacro di cittadini: Bushra Bibi, la moglie di Imran, che ha guidato la marcia su Islamabad sfidando i prodi militari.