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Il silenzio su Samara, la ragazza francese mandata in coma perché senza velo

Giulio Meotti

Botte e veli in Francia. Tacciono i partigiani del “vivere insieme”, come se fosse solo una vittima collaterale del multiculturalismo. È il nostro ministero della promozione della virtù e della repressione del vizio

“Le donne sono oppresse in Afghanistan, in Iran, in Mali e… nelle banlieue francesi”, aveva detto da Cannes l’attrice iraniana Zahra Amir Ebrahimi. E i conformisti con i lustrini del red carpet devono averlo capito questa settimana con Samara, la tredicenne picchiata all’uscita della scuola media “Arthur Rimbaud” di Montpellier. “Samara si trucca un po’ – ha dichiarato la madre della ragazza, Hassiba Radjoul – E questa ragazzina che l’ha aggredita ha il velo. La chiamavano kouffar (miscredente). Mia figlia si veste in stile europeo. Ci sono stati insulti, kahba (puttana)”. Samara è stata ricoverata e indotta in coma artificiale. Una sorta di polizia morale occulta, di piccolo ministero della promozione della virtù e della repressione del vizio, come nella Kabul dei talebani, all’interno delle scuole francesi? Il ministro dell’Istruzione, Nicole Belloubet, dichiara: “Il mio braccio non tremerà”. Marine Le Pen ha attaccato gli “islamisti”, il cui obiettivo “non è separare, ma cambiare la nostra società”. 

Tacciono i partigiani della “diversità”, del “vivere insieme” e del velo come “scelta”, come se Samara fosse solo una vittima collaterale del multiculturalismo. La nota deputata ecologista e femminista Sandrine Rousseau evoca l’immarcescibile “sessismo”. 

Il caso Samara arriva una settimana dopo il pensionamento anticipato di un preside minacciato di morte per aver chiesto a una studentessa di togliersi il velo in classe. E dopo decine di casi simili. Come  quando la segretaria di stato per la Parità, Marlène Schiappa, decise per tre giorni di trasferirsi nella città di Trappes per dimostrare l’attenzione alle città ad alto tasso di immigrazione. Voleva fermarsi in un bar, “dove le donne non sono le benvenute”. Il prefetto ha invitato il ministro a proseguire per la sua strada “per evitare un incidente”. E poi il servizio dell’emittente France 2, che denuncia la scomparsa delle donne dai bar dei quartieri francesi a maggioranza immigrata. Nadia Remadna e Aziza Sayah, due attiviste del gruppo Brigade des Mères, entrano in un caffè del sobborgo parigino di Sevran. “Meglio aspettare fuori, ci sono uomini qui dentro”, dice loro un cliente. Un altro: “In questo caffè non c’è promiscuità. Qui c’è un’altra mentalità. Come a casa”.  E poi il poeta algerino Kamel Bencheikh, che ha denunciato quello che è successo alla figlia nel XIX arrondissement di Parigi. “Aspettava l’autobus con un’amica. Quando è arrivato, l’autista si è fermato, le ha guardate ed è ripartito senza aprire”. Il conducente ha detto alla figlia di Bencheikh, che portava la minigonna: “Vestiti come si deve”. 

Intanto, nello studio del talk-show  “Touche pas à mon poste!”, la madre di Samara ieri ha cambiato versione contro “lo sfruttamento della sofferenza di mia figlia da parte dell’estrema destra”. “Siamo una famiglia musulmana, mia figlia è praticante e pia, osserva il digiuno e prega cinque volte al giorno”. Autocritica maoista e comunitarista. E’ sempre più buio nei territori perduti della Repubblica.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.