Zone sismiche e preparazione. Lezioni da imparare a Taiwan

Giulia Pompili

Il giorno dopo il terremoto. Nove vittime confermate per ora. L'ultimo sisma nel 1999 e i protocolli perfezionati del governo di Taipei 

Erano quasi le otto del mattino in Taiwan, quando la città della costa orientale Hualien è diventata l’epicentro di un terremoto di magnitudo 7,2, che l’altro ieri ha provocato almeno nove morti, novecento feriti. Una cinquantina di persone sarebbero ancora disperse. L’ultimo terremoto così forte sull’isola di Taiwan c’era stato il 21 settembre del 1999: il sisma aveva colpito di notte, e i morti erano stati 2.415. Ieri le immagini che circolavano sui media taiwanesi erano impressionanti: un edificio parzialmente crollato a Hualien, diverse frane attorno al Parco nazionale di Taroko, vicino alla città, che hanno impedito l’accesso dei soccorritori a chi era nell’area a fare trekking – si parla di almeno cinquanta persone ancora intrappolate. Perfino TSMC, la più grande azienda produttrice al mondo di semiconduttori avanzati, ha sospeso le sue operazioni.

 

Nella capitale Taipei il sisma ha avuto una magnitudo di 5, la gente è scesa in strada preoccupata, ma già nella serata di ieri in molti minimizzavano: questa scossa è stata più forte, certo, ci ha spaventati, ma siamo abituati ai terremoti. In particolare nell’area di Hualien, una meta turistica molto popolare: nel 2018 un terremoto di magnitudo 6,5 nella città aveva fatto 17 vittime, la maggior parte delle quali in un edificio di dodici piani che era parzialmente collassato. L’anno successivo, Hualien era stata colpita da un sisma di magnitudo 6.1: non c’era stato nessun morto, solo qualche ferito. C’è un dato significativo che racconta Taiwan oggi: rispetto al sisma devastante di venticinque anni fa, la differenza di vittime e di danni subiti è significativa – per non parlare di un eventuale paragone con terremoti anche di minore intensità in Italia. Il fatto è che il governo democratico di Taipei, nel giro di un quarto di secolo, ha messo in piedi un protocollo d’emergenza efficace, imparando dal Giappone – il migliore del mondo su questo tema – e dai propri errori, investendo in prevenzione, comunicazione, risposte immediate. Nel 1999 non esistevano nemmeno, ma oggi le squadre di ricerca e soccorso urbano taiwanesi sono considerate tra le migliori al mondo: fanno esercitazioni regolarmente, e si addestra anche la popolazione civile. Anche il governo ha cambiato protocollo: ieri poche ore dopo il sisma la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e il suo gabinetto, con il gilet rosso indossato, che rappresenta l’emergenza, erano tutti presenti al Central Emergency Operation Center, una specie di Situation Room della Casa Bianca che però coordina la risposta agli eventi catastrofici. E’ stato chiesto ai cittadini di non fare viaggi non necessari nelle aree montuose, anche se domani si celebra la festa di Qingming, il giorno degli antenati, e si va a trovare i propri morti. La macchina contro la disinformazione si è attivata immediatamente. Il rischio è sempre lo stesso: che Pechino possa usare lo status di emergenza per aumentare l’offensiva anche comunicativa sui taiwanesi. Ma il governo di Taipei conosce le sue mosse in anticipo. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.