Manifestazione in Israele per chiedere le dimissioni del premier - foto LaPresse

Editoriali

Un popolo, due piazze: così Israele si mette in discussione e si rafforza

Redazione

La piazza dei manifestanti arrabbiati con Netanyahu e quella delle famiglie degli ostaggi si sono unite. Ma quando il paese si pone delle domande, per i suoi nemici è una cattiva notizia

Fino alla scorsa settimana c’erano due piazze in Israele, comunicanti, ma diverse. Domenica si sono mescolate, unendosi in un’alchimia non condivisa da tutti all’interno di una società che assieme lotta, assieme protesta, assieme si rivoluziona e mette in discussione quel che ormai era consuetudine tanto radicata da diventare legge, come la fine dell’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshivot. Una piazza era quella sopita dopo il 7 ottobre, ma poi tornata in forze, che chiede le elezioni anticipate e le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu. L’altra piazza era quella delle famiglie degli ostaggi, arrabbiate con il governo perché gli oltre centotrenta rapiti rimasti nella Striscia ancora non tornano e i negoziati non si sbloccano ma che mai avevano desiderato di tingere con colori politici le loro richieste vitali. L’unione delle due piazze non è piaciuta a tutti, alcuni familiari hanno paura della strumentalizzazione, credono che non sia giusto trasformare in politico qualcosa che ha a che fare con la vita e la morte di chi è stato rapito.
 

Qualcuno invece ritiene che così la protesta assumerà più forza e se i negoziati non si sono sbloccati è colpa del premier onnipresente, che litiga con gli americani, che teme che la sua sopravvivenza politica sia ormai legata alla guerra. Oggi delle fonti anonime vicine ai negoziatori israeliani hanno detto ai media che ci sono stati dei progressi nei colloqui. Netanyahu avrà pur legato la sua sopravvivenza alla guerra, come sarebbe capitato a qualsiasi leader di guerra, ma finora le speranze di avere un accordo si sono infrante tutte con i “no” di Hamas, che nonostante militarmente sia sfinito nella Striscia, non ha intenzione di soccombere. Le divisioni israeliane per i terroristi son sempre una buona notizia. Quello che Hamas non coglie però è che lo stato ebraico più si mette in discussione più si rafforza.

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