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Dopo il 7 ottobre

Oltre le parole di Lula. L'antisemitismo nell'America del sud

German A. Duarte

Il sentimento antisraeliano dilaga nell'america latina e in alcuni paesi sfocia in manifestazioni di antisemitismo. Dall’inizio del conflitto la posizione della Colombia di Gustavo Petro è la più aggressiva nei confronti dello stato ebraico ma non è la sola 

Gli attacchi terroristici del 7 ottobre in Israele hanno fatto riaffiorare un vecchio pregiudizio latino-americano, ereditato dalla dittatura cubana. La Cuba di Castro non ha mai riconosciuto lo stato di Israele e, così facendo, ha segnato le relazioni diplomatiche tra i governi latino-americani di sinistra e lo stato ebraico. Sembra  che questa politica sia principalmente da leggere in chiave antistatunitense, una politica che si è poi estesa a tutti i paesi entrati nella sfera d’influenza cubana. Le recenti, sfortunate parole del presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva – appena dichiarato persona non grata in Israele, ha comparato le operazioni militari in corso a Gaza all’Olocausto – sarebbero allora un prodotto di questa ormai vecchia tradizione della sinistra latino-americana. 


Purtroppo, le  parole offensive pronunciate da Lula rispecchiano nitidamente il modo in cui il conflitto esploso in medio oriente a seguito degli attentati di Hamas il 7 ottobre è presentato all’opinione pubblica latino-americana. Il sentimento antisraeliano dilaga nella regione, e in alcuni paesi sfocia in  manifestazioni di antisemitismo. L’epicentro di quest’onda che comincia a prendere proporzioni continentali lo si trova nel Venezuela di Nicolás Maduro e nella Colombia di Gustavo Petro, entrambi considerati i continuatori delle politiche castro-chaviste e, di conseguenza,  eredi di tutta una serie di relazioni, stabilite da Hugo Chávez, con paesi e gruppi che tradizionalmente si sono opposti all’esistenza dello stato d’Israele. Proprio con Chávez, il Venezuela ha costruito una rete di alleanze con l’Iran e gruppi di potere libanesi, sotto osservazione già ai tempi dell’Amministrazione di George W. Bush. Queste alleanze hanno avuto alcuni esiti interessanti, con ricadute non solo a livello continentale. Si pensi alla catena di televisione iraniana Hispantv che operava da Caracas, in lingua spagnola, per tutta l’Ibero-America. Ed è proprio Hispantv il mezzo che è servito da trampolino a Pablo Iglesias e a Podemos, il partito spagnolo che negli ultimi dieci anni ha avuto una forte influenza sui governi iberici. Lo stesso Iglesias, nato come presentatore per la televisione iraniana Hispantv, pochi anni dopo ha ricoperto l’incarico di vicepresidente del governo spagnolo. E Podemos, la forza politica da lui creata, non solo è divenuto un attore influente nell’ambito della politica nazionale spagnola, ma è stato in molti casi capace di influire sulle linee dell’azione politica del Parlamento europeo. Ma se nei primi anni Duemila le simpatie del Venezuela per l’Iran erano esibite alla luce del sole, e oggi sono ostentate dal regime di Maduro, un po’ meno ostentate sono le presunte partecipazioni, nel governo di Maduro, di noti e rilevanti esponenti del baathismo. Tra questi, figura Tarek el Aissami, che ha ricoperto diversi ruoli governativi, come vicepresidente e ministro dell’Industria. Oggi el Aissami è incluso nell’Ice Most Wanted List, ed è soggetto a una serie di investigazioni internazionali relative alla corruzione e al traffico internazionale di stupefacenti.


Il caso della Colombia è leggermente diverso, benché anche qui la propaganda antisraeliana si stia radicando in maniera sempre più manifesta. La Colombia è probabilmente il paese della regione che ha avuto relazioni più fruttuose con Israele, in particolar modo in materia di sicurezza. Sofferenti della stessa terribile malattia – il terrorismo – i due stati hanno negli anni stabilito una serie di scambi di tecnologia militare e informazioni mirati alla lotta contro il terrorismo. I colpi che il governo colombiano è riuscito ad assestare ai gruppi terroristi nei primi anni Duemila (tra cui la liberazione della senatrice Ingrid Betancourt) sono tra i frutti di questa ricca collaborazione con Israele. Non a caso, dopo aver sciolto le relazioni diplomatiche con Israele, Hugo Chávez non ha mai smesso di definire la Colombia “l’Israele dell’America Latina”, ritenendo che questo non potesse essere che un’offesa e non, come invece lo si comprendeva nella Colombia di inizio secolo, un apprezzamento. Oggi le cose sono cambiate. Dall’inizio di questo nuovo conflitto in medio oriente, la posizione della Colombia di Gustavo Petro è la più aggressiva nei confronti dello stato ebraico. Dal 7 ottobre la Colombia ha preso una direzione contraria rispetto alla sua tradizionale amicizia con lo stato di Israele. Bisogna ricordare che il presidente Petro, negli anni Ottanta, faceva parte di un gruppo terrorista, il M-19, e che questo gruppo, nel 1982, ha compiuto un attacco terrorista all’ambasciata di Israele a Bogotá. Ed è forse in quell’attentato che possiamo incontrare le prime manifestazioni di antisemitismo del presidente colombiano, che oggi, quarant’anni dopo, in compagnia di Roger Waters, organizza eventi anti Israele, contro cui guida una campagna, talvolta dai toni chiaramente antisemiti. Per il momento, Israele ha sospeso gli scambi con la Colombia in materia di sicurezza, ma si presume che la risposta diplomatica possa divenire ancora più dura. 

La campagna di Petro non è  isolata. Oltre alla Colombia e al Venezuela, anche la Bolivia, il Cile e, come si accennava, il Brasile di Lula esprimono posizioni anti israeliane. Tutti paesi che attualmente sono amministrati da governi di ispirazione castro-chavista e che oggi, nel rispetto di una deplorevole tradizione iniziata da Fidel Castro, stanno creando nell’opinione pubblica del continente una  situazione complessa che potrebbe sfociare in atti di violenza antisemita.