Gabriel Attal - foto Ansa

L'editoriale del direttore

Trattori ma non solo. La lezione di Attal per non regalare ai populisti le rivolte antisistema

Claudio Cerasa

Dall'agricoltura alla globalizzazione, dal debito pubblico all'immigrazione. Il primo ministro francese offre qualche spunto utile agli europeisti dogmatici: capire le paure dei cittadini per trasformarle in un motore del cambiamento europeo

"La ricerca della felicità” è il titolo di un bellissimo film girato nel 2006 da Gabriele Muccino. Il protagonista del film, Chris Gardner, interpretato da Will Smith, è un brillante venditore che si ritrova in difficoltà economiche dopo un investimento finito male e che cerca di rimettersi in gioco attraverso il meraviglioso e dolce coraggio infusogli  dal figlio Christopher. La trama del film è più romantica della storia che vi stiamo per raccontare ma il titolo del film di Muccino, con una piccola variante, può aiutarci a curiosare tra le righe del discorso di insediamento tenuto la scorsa settimana a Parigi dal nuovo primo ministro francese Gabriel Attal. Il messaggio del primo ministro francese è stato valorizzato in virtù del suo contenuto per così dire mucciniano perfettamente sintetizzato nella frase di Attal che ha fatto più notizia: “Essere francesi nel 2024 significa, in un paese che, solo dieci anni fa, era ancora diviso sul matrimonio per tutti, poter essere primo ministro assumendo apertamente la propria omosessualità. Da tutto questo vedo la prova che il nostro paese si sta muovendo, la prova che le mentalità stanno cambiando”.

La potenza della frase di Attal, primo capo di governo di un paese del G7 apertamente gay, ha portato a distogliere l’attenzione da altre frasi altrettanto importanti pronunciate dal primo ministro francese, utili a indicare una strada non per ricercare la felicità personale ma per affermare una verità politica. Se il protagonista della pellicola di Muccino dovesse un giorno dedicarsi all’interpretazione di un film dedicato al tema della ricerca della verità in politica dovrebbe prendere il discorso di Attal e trasformarlo nella bozza di una nuova e formidabile sceneggiatura. La ricerca della verità da parte di Attal è un manifesto politico da studiare per una ragione diversa rispetto ai contenuti di successo veicolati dal primo Macron. Il presidente francese, nume tutelare naturalmente di Attal, ha fatto di tutto per essere uno specchio per mostrare ai populisti la loro costante incompatibilità con la realtà. Il primo ministro francese, invece, ha scelto, in sintonia con Macron, di fare un passo in avanti per provare a cavalcare una nuova ambiziosa ma necessaria avanguardia: spiegare ai cosiddetti antipopulisti che molte battaglie politiche cavalcate dai populisti dovrebbero essere strappate ai populisti. Ricercare la felicità con un nuovo bagno di realtà. 


Il primo tema importante affrontato da Attal riguarda la protesta degli agricoltori. Il presidente Macron, preoccupato dalla nuova ondata di rivolte nel paese, ha scelto di non sfidare il popolo dei trattori, assecondando alcune richieste degli agricoltori e scegliendo di non ingaggiare con i gilet verdi lo stesso duello ingaggiato anni fa con i gilet gialli. Attal, nel suo discorso, con furbizia, ha dunque cercato di far propria la cornice della comprensione macroniana e ha provato a utilizzare la rivolta per offrire un messaggio agli europeisti: anche se non siete d’accordo con il popolo della protesta, trovate un modo per non demonizzare quella protesta e per poterla anestetizzare cavalcando una nuova proposta. “I nostri agricoltori – ha detto Attal – si interrogano sul funzionamento dell’Unione europea  e non accettano parte della sua pesantezza. Ognuno dei nostri concittadini condivide il desiderio di respirare, di liberarsi da procedure inutili, di vedere le proprie iniziative liberate dalla burocrazia. I nostri connazionali si identificano con questa domanda. I nostri compatrioti sanno benissimo che siamo più forti con l’Europa ma chiedono un’Unione europea più vicina, più efficace e più protettiva”. Dunque: le proteste antisistema dei contadini possono essere trasformate in istanze europeiste se si riesce a trasformare la protesta dei contadini in una molla utile per lavorare a un’Europa più efficiente, più snella, più veloce e meno ostaggio della burocrazia.

Il secondo fronte importante individuato da Attal per declinare la sua avanguardia riguarda un doppio terreno su cui gli europeisti hanno scelto colpevolmente, secondo il primo ministro francese, di regalare ai populisti spazi eccessivi: l’ambiente e la globalizzazione. “Il grido di rabbia dei nostri agricoltori”, dice Attal, “è anche un appello alla comprensione, a essere capiti, di fronte a coloro che li trattano come inquinatori o carnefici, ne fanno facili capri espiatori e li incolpano di tutti i mali”. E ancora: “Dobbiamo stare al fianco dei nostri agricoltori e non possiamo noi stessi mettere loro le catene sotto i piedi in una competizione globale”. Attal spiega che compito delle forze antipopuliste non è assecondare le politiche ambientaliste ideologiche, quelle cioè che fanno della distruzione del nostro benessere, della nostra economia e della nostra industria l’unica forma di difesa dell’ambiente compatibile con l’agenda climatica. E lo fa articolando il suo discorso in modo convincente: ricordando, cioè, che l’Europa, compresa la Francia, fa già moltissimo per ridurre le emissioni di gas serra e ricordando che quando si parla di transizione occorre tenere in considerazione tre princìpi non negoziabili: attenzione al cambiamento climatico, certo, ma “senza brutalità, senza invettive, senza decrescita”. Paure da capire, non da demonizzare.

Sulla globalizzazione, Attal  pensa che esista un modo per provare a competere con i populisti anche su questo terreno e per offrire una risposta a chi la globalizzazione la teme. E il modo è questo: non demonizzare le paure di chi si sente travolto dalla competizione globale, stando attenti però a non demonizzare la globalizzazione. E l’unico modo non populista per farlo è “dire a queste donne e a questi uomini che il loro disagio è legittimo e che è nostra responsabilità rispondervi, riducendo i pesi che gravano sulla loro vita quotidiana”. Vale per gli agricoltori, vale per gli anti globalizzazione: l’unico modo che ha la politica per rappresentare le vostre paure senza fuggire dalla realtà non è quello di alzare muri ma è quello di rimuovere le barriere all’ingresso, per dare più opportunità a tutti.

Il terzo fronte aperto da Attal, a proposito di ricerca della verità che in questo caso potrebbe anche coincidere in modo simmetrico con la ricerca della felicità, è il dovere del capo di un governo di usare un linguaggio non demagogico e truffaldino sul tema del debito pubblico. E qui Attal usa l’unico argomento possibile a sua disposizione per trasformare la riduzione del debito pubblico in una battaglia necessaria non per assecondare le teorie del rigorismo ma per non mostrarsi disinteressati rispetto al futuro delle nuove generazioni e persino delle classi medie. Il ragionamento di Attal è convincente: sappiamo che i giovani sono preoccupati, sappiamo che la classe media è angosciata, ma sappiamo anche che per proteggere chi oggi non vede di fronte a sé un domani non c’è altro modo che togliere dal loro orizzonte i macigni che gravano sulle loro spalle. Per questo, dice, “dobbiamo dimostrare un’impeccabile responsabilità di bilancio”. Perché “il debito pubblico è una spada di Damocle al di sopra del nostro modello sociale, al di sopra della capacità di agire delle generazioni più giovani”. Ed “è una grave minaccia per le nostre classi medie, che sarebbero le prime vittime di una massiccia austerità”.

Infine, l’immigrazione. Negli ultimi mesi, la Francia ha scelto di seguire una linea dura sull’immigrazione, al punto che il governo si è visto respingere poche settimane fa dal Consiglio costituzionale del paese alcuni articoli del progetto di legge sull’immigrazione. Attal, su questo tema, insiste e cerca di portare avanti un’operazione ambiziosa, che parte dalle stesse premesse delle altre: non demonizzare le paure. E lo fa, il primo ministro, provando a rubare ai populisti alcune parole chiave: “Il mio principio è accogliere meno per accogliere meglio… La nostra sovranità nazionale significa anche rispetto dei nostri confini”. Ma le paure legittime dei cittadini, dice, si affrontano e si governano non chiudendo i confini o alzando i muri, ma facendo leva su un sovranismo maturo: “La nostra sovranità nazionale è ancora la nostra sovranità europea. E l’Europa ora deve scegliere tra la debolezza dell’isolamento e la forza del collettivo”.

In politica, la ricerca della felicità è difficile, utopistica, forse impossibile da realizzare. La ricerca della verità, forse, è  una strada muccinianamente percorribile e Attal ci ha offerto spunti utili per aggiornare il macronismo e capire come non regalare ai populisti battaglie che dovrebbero diventare in fretta patrimonio degli antipopulisti. La strada è chiara: smettere di negare le paure dei cittadini e provare a capirle; non per assecondare le loro angosce ma per trasformare le loro preoccupazioni in un motore del cambiamento europeo. Lezione utile. E per una volta, più per gli antipopulisti che per i soliti populisti. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.