Dopo il consiglio europeo

I ritardi dell'Ue e i negoziati infiniti che l'Ucraina non si può permettere

David Carretta

Il veto di Viktor Orbán capitola dopo pochi minuti sul pacchetto di 50 milioni di aiuti a Kyiv grazie alle pressioni degli altri 26. Alla fine il suo sì è arrivato senza nulla in cambio. Il tempo perso e ciò che resta da fare

Bruxelles. Ci sono voluti pochi minuti a Viktor Orbán per rinunciare al suo veto sul pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro per l’Ucraina, capitolando di fronte alle pressioni e alle minacce degli altri ventisei leader dell’Unione europea. Il sostegno “incrollabile” a Kyiv era messo in discussione da un mese e mezzo di dramma provocato dal premier ungherese, quando a dicembre ha bloccato la revisione del bilancio 2021-27 dell’Ue. La credibilità degli europei era in gioco, così come la determinazione occidentale di non permettere a Vladimir Putin di vincere la sua guerra di aggressione. Paralizzata dall’Ungheria su una minaccia esistenziale, l’Ue ha usato le maniere forti: minacce di sabotaggio economico, di sospensione di fondi e di diritto di voto. “Non c’è stanchezza dell’Ucraina, c’è la stanchezza di Orbán”, ha detto il premier polacco, Donald Tusk. “La posta in gioco per Budapest, per Viktor Orbán, è essere dentro o fuori la comunità. In gioco ci sono gli enormi fondi disponibili per ogni paese che rispetta i nostri interessi europei comuni. È lui che deve trarre la conclusione”. 

 

 

Orbán ha tratto la conclusione. Ha tolto il veto, senza ottenere nulla di concreto in cambio. Nessun veto annuale sugli aiuti all’Ucraina. Nessun rinvio oltre il 2026 delle scadenze del Pnrr di Budapest. Gli euro per l’Ungheria saranno sbloccati sulla base delle riforme. “La risposta semplice è no”, ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ai giornalisti che le chiedevano se ci fosse un accordo sottobanco per scongelare i soldi per Orbán. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha potuto dichiarare trionfalmente “missione compiuta”. L’accordo a ventisette “garantisce finanziamenti costanti, a lungo termine e prevedibili per l’Ucraina. L’Ue sta assumendo la leadership e la responsabilità nel sostenere l’Ucraina: sappiamo qual è la posta in gioco”, ha detto Michel. La realtà è meno rosea di come la descrive il presidente del Consiglio europeo. L’Ue sull’Ucraina proclama e promette molto, ma fa e mantiene poco. È l’altro problema che si è posto al vertice di ieri, al di là della “fatica di Orbán” (che è destinata a restare). Sugli aiuti militari a Kyiv gli europei fanno troppo poco e troppo tardi.
 

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, pur ringraziando gli europei, lo ha ricordato nel suo intervento in videoconferenza. “Soprattutto quest’anno, è essenziale e decisivo dimostrare la totale affidabilità dell’Europa e l’efficacia delle sue decisioni”, ha detto, ricordando che l’Ue sta perdendo la battaglia per le munizioni e i missili con la Corea del nord che rifornisce la Russia.
 

Un anno fa, l’Ue aveva lanciato un piano per fornire un milione di munizioni entro la fine di marzo 2024. Il risultato è un mezzo fallimento. Gli stati membri non sono riusciti ad aumentare la produzione o a dirottare gli ordinativi verso l’Ucraina. Solo la metà delle munizioni sarà consegnata alla scadenza (il milione sarà raggiunto a fine 2024). In due anni di guerra l’Ue e i suoi stati membri “hanno erogato 28 miliardi di euro di sostegno militare all’Ucraina”, ha spiegato l’Alto rappresentante, Josep Borrell. Gli impegni per il 2024 ammontano a 21 miliardi. Ma sono stati presi solo da una decina di stati membri (la Germania è in prima linea con 8 miliardi). Inoltre, la cifra è gonfiata dai caccia F-16.
 

Nelle conclusioni del Consiglio europeo c’è la promessa di riformare la European Peace Facility per aumentare il sostegno militare all’Ucraina, in particolare con acquisti congiunti di armamenti. Zelensky ha chiesto “non meno di 5 miliardi di euro all’anno, per una durata di 4 anni. Una chiara priorità”. Ma il Consiglio europeo non ha preso una decisione sull’ammontare degli stanziamenti. Michel ha assicurato che saranno 20 miliardi in quattro anni, ma gli stati membri sono divisi. Le capitali si scontrano anche sull’esigenza posta dalla Francia: riservare i fondi della European Peace Facility per l’industria europea. La coppia Macron-Michel spinge a favore del “Buy European”. Germania, nordici e baltici sono contrari, perché è una perdita di tempo. “Non possiamo trascorrere mesi a negoziare se un cannone debba essere comprato in Francia o in Corea”, dice un diplomatico. L’Ucraina non può permettersi il lusso europeo dei negoziati infiniti.

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