Scordiamoci il 2020

Trump sceglie la vendetta come strategia, ma conviene poco persino a lui

Paola Peduzzi

Com'è cambiato l'anniversario del 6 gennaio in questi tre anni e i limiti dell'analisi: è come nel 2020. Alcune rilevazioni, alcune indicazioni elettorali e il senso del primo mandato di Biden

Al terzo anniversario dall’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 non ci sono più infingimenti: Donald Trump definisce gli assalitori “ostaggi”, chiede al presidente in carica Joe Biden di liberarli – se dovesse essere rieletto, è pronto a graziarli – perché si trattò di una protesta “pacifica e patriottica”, dice che l’insurrezione non fu quella di allora, ma quella che il Partito democratico e Biden organizzano oggi per levarlo dalla corsa presidenziale di questo 2024.

Nel 2022, a un anno dall’assalto, Trump aveva pianificato una conferenza stampa nella sua residenza di Mar-a-Lago per denunciare la commissione parlamentare che indagava sul 6 gennaio e la coalizione politico-mediatica che continuava a sostenere “il crimine del secolo”, cioè i brogli (mai provati, nonostante il grande impegno trumpiano) alle elezioni del 2020. Quella conferenza stampa non si tenne, ma la settimana successiva, a un comizio in Arizona, Trump ripeté la sua litania.

L’anno scorso, quando al secondo anniversario del 6 gennaio alcuni trumpiani avevano manifestato davanti al Campidoglio urlando contro “l’impostore” Biden,  Trump era stato, se possibile, più silente: la campagna per le elezioni di metà mandato del novembre precedente era andata male per i suoi candidati. Il Partito repubblicano aveva vinto di poco alla Camera dei rappresentanti e aveva perso al Senato, soprattutto gli elettori avevano mostrato che della “grande bugia” trumpiana ne avevano avuto abbastanza.

Oggi Trump urla di nuovo, nonostante i processi, nonostante il suo appoggio (l’istigazione deve  ancora essere dimostrata in tribunale) all’insurrezione stia perturbando in modo devastante la sua stessa corsa presidenziale di novembre. Questo livore vendicativo è la strategia scelta da Trump per il 2024, almeno fino a ora: l’ex presidente sa che rabbia e vittimismo sono un motore per la sua base e conta in questo modo di arrivare alle scadenze processuali con un bottino elettorale abbastanza cospicuo da strattonare i dettami costituzionali che comunque, su questo suo  caso tanto peculiare, sono da interpretare. Questa strategia funziona e probabilmente funzionerà alle primarie, cioè per far fuori i suoi rivali interni che nei sondaggi sono molto svantaggiati e che pagano il fatto che il Partito repubblicano, pur avendo capitalizzato molto poco dal punto di vista elettorale, non ha saputo – né voluto – governare l’anomalia eversiva trumpiana. Ma la base elettorale di Trump non è sufficiente per vincere alle elezioni di novembre, perché negli stati in bilico l’ex presidente dovrebbe conquistare elettori che nel 2020 avevano votato per Joe Biden e che quindi sono quei moderati che anche alle elezioni di metà mandato hanno scartato i candidati trumpiani.

Quando diciamo che il 2024 è una fotocopia del 2020, ci limitiamo a constatare che i contendenti saranno, con tutta probabilità, gli stessi: questo non depone a favore di nessuno dei due, non di Trump certamente ma nemmeno di Biden, che sconta il fatto di essere anziano, di non aver promosso un rinnovamento della classe dirigente dentro al Partito democratico e di essersi intestardito – chissà se a ragione – su una ricandidatura  contestata dal suo stesso partito. Permane anche un elemento strutturale importante uguale a quattro anni fa: Biden si fa custode della democrazia americana contro un ex presidente che ha più volte dimostrato di coltivare pulsioni illiberali di cui va fiero, e lo ha fatto durante il suo mandato ma soprattutto dopo. La corsa elettorale “fotocopia” però può anche fermarsi qui, perché nel frattempo  è trascorso un mandato in cui certo sono scoppiate due guerre – che Biden gestisce con una coerenza coriacea e determinata: gli alleati non si sentono perennemente in bilico come con Trump – ma in cui l’economia e la società americane hanno fatto passi in avanti corposi, evitando la recessione, arrivando a un tasso di disoccupazione considerato fisiologico, avviando la transizione energetica a un ritmo sostenuto e diminuendo la diseguaglianza tra redditi alti e redditi bassi che è uno dei tormenti di questo secolo di tutte le sinistre occidentali.

Secondo una rilevazione pubblicata domenica dalla Cbs, il 78 per cento degli americani non sostiene gli assalitori del 6 gennaio, e il 52 per cento li disapprova ampiamente: tra questi il 32 per cento si dichiara repubblicano, il 54 si dichiara indipendente. Il 6 gennaio “eroico” resta una fissazione di Trump e dei suoi sostenitori esagitati, e nelle urne finora sono stati minoranza.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi